verde e gialla
come l'erba ed il grano
stavi, intatta
a riposo nell'ombra
avida di fresco.
Squamosa come la pelle
dei vecchi, taciturna
come la nostra vergogna
mite e umile
come una giovane fanciulla,
come le sue umide labbra
rorida e splendente
appena respiravi
e oscillava sul tuo corpo il sole
spezzato tra il fremere nel vento
dei rami.
Schiva creatura
che solo il caso leva incontro
ai nostri giorni,
figlia di Pitone
che Apollo uccise
il Dio solare
che del cielo è auriga,
vorrei tendere la mano
e accarezzarti
il lungo corpo flessuoso,
appoggiare lentamente
la bocca alla piccola testa
e baciarti dolcemente
come un'amante nuda.
E tu sempre immobile,
sorella che dividi
con noi un pezzo di cielo
una manciata di terra,
ignara di un destino
che ti vide
condannata a strisciare
mangiando polvere e fango
sino al giorno estremo.
Compagna che percorre
la mia stessa parabola,
ignara di ogni risposta,
ma pronta a patire
a gioire gli attimi
che ti dona il destino.
Non ci rincontreremo
un giorno
ma ovunque andremo
lo stesso sole
accarezzerà i tuoi capelli,
la stessa pioggia
bagnerà le mie squame.
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