Mi si acquieta il respiro e reclino, dondolante,
il capo tra rumore e silenzio di una lirica opera
che mi investe nel rombo del nulla.
Cado in grembo a cemento corroso e sporcato da
figli vivaci e instabili genitori di
un sogno,
mi ubriaco di un vento africano che
ha strappato la pece dipinta nei volti sudati e
lo cucio nella mia tristezza di esser nato.
il capo tra rumore e silenzio di una lirica opera
che mi investe nel rombo del nulla.
Cado in grembo a cemento corroso e sporcato da
figli vivaci e instabili genitori di
un sogno,
mi ubriaco di un vento africano che
ha strappato la pece dipinta nei volti sudati e
lo cucio nella mia tristezza di esser nato.
Vorrei essere i versi che scrivo...
Vorrei migrare restando immobile
nella melma di un ignobil cielo...
Ignobile la sua indifferenza per la mia
carcassa intrisa di voglie...ignobili i miei versi
di cui vorrei vestirmi...
Poggio, inerme, raccolto come un mazzo di fiori,
su di un muro incrostato dal buio...le case
riposano dai padronali fasti...
sono un clochard con il naso
dipinto dall’inutil denaro.
Costellato da forme appannate
rifuggo i miei doveri che non devo a nessuno...
Vomito il libero arbitrio che mi costringe.
Scruto, distante, il cartone
che avvolge il mio corpo e la mia vita...
Piango la pioggia che mi bagna.

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