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In preda al passato ...

C’era solo una sedia in mezzo a quell’ enorme stanza. Ed io seduto senza far nulla. Senza muovere un muscolo. Senza proferire parola che potesse avere un senso. Completamente nudo.
Intorno al mio collo una catena chiusa con un lucchetto, pesante e che puzzava di metallo.
Non potevo scappare da lì. Non c’era via d’uscita.
Urlavo ma nessuno sembrava sentire le mie grida che si facevano doloranti e terribilmente strazianti.
Stavo male e non c’era nessuna medicina per guarirmi.
I miei movimenti sembravano quelli delle gocce di pioggia quando cadono sull’asfalto. Gesti a scatti senza il minimo controllo.
Non possedevo più la concezione di me stesso.
Mi faceva male la testa e con le mani me la reggevo per provare a sentire meno sofferenza.
Il mio cervello chiedeva perdono incessantemente ed io pregavo perché qualcuno mi considerasse.
Non c’era nessuno. Me ne convinsi.
Ero solo in quelle quattro mura.
Ma cosa mi sta succedendo? Il mio passato torna a farmi visita, dipinge la pareti di un blu scuro che non mi permette di distinguere ciò che ho dinanzi a me.
Voglio uscire! Fatemi uscire di qui! Vi prego!
Alzai lo sguardo, le lacrime scendevano come se non ci fosse altro nel mio corpo. Mi apparve il luogo del delitto! Quel delitto che aveva rovinato la mia vita! L’arma era lì e accanto ad essa … una persona che non aveva più la facoltà né di parlare né di respirare. Era morta.
Digrignavo i denti sentendomi preda di un ghiaccio sudore e il mio alito dava la nausea.
Di fronte ai miei occhi pallidi come la neve c’era mia madre che si faceva toccare senza pudore dal morto, in volto sfigurato e dal corpo putrefatto.
Volevo chiudere la mia vista ma non potevo. Era come se i muscoli si fossero bloccati.
Voglio andarmene! Per l’ amore di Dio liberatemi!
Il mio dorso nudo si riempì di cicatrici improvvisamente. Sanguinavano e il flusso del liquore rosso sembrava essermi entrato in bocca. Potevo sentirne il sapore ferreo.
Poi arrivò lei.
Si inginocchiò davanti alle mie gambe prive di anima e iniziò a toccarmi. Sul petto. In prossimità del linguine. Ovunque. E mi piaceva. Mi piaceva da morire.
Era un inferno … sì, io mi trovato all’inferno!
I suoi capelli riccioli lunghi percorrevano tutto il mio corpo facendomi sentire brividi di caldo … stavo bruciando!
Le sue dita magre accarezzano le mie braccia e il mio collo. La volevo fare mia. Volevo che lei bruciasse insieme a me!
Mi baciava. Sulla bocca. Sulle clavicole ossute. Sui miei capezzoli turgidi.
Lei mi guardava … sapeva chi ero. Sapeva ogni cosa su di me.
Ma qualcosa non andò … le sue carezze dolci divennero prese violente dalle quali potevo trarre solo male. Sofferenza fisica che non mi lasciava in pace.
Affondò i suoi denti nella mia carne scorticandola. E le dita, da prima sul mio torace, si spostarono e pigiarono violentemente sui nervi delle rispettive cosce.
Ti odio. Ti voglio. Mi odio. Mi vuoi morto. Mi voglio morto … ma cosa sono queste voci confuse che sento nell’aria? Cosa diamine sono?! Andate via per non far ritorno!


Tutto scomparve e la neve era ancora lì con me.
Lei non c’era più. Il morto era tornato nella sua bara. La madre mi aveva abbandonato ancora una seconda volta.
L’arma … mi aveva trafitto in pieno cuore e come un masso grosso ma vuoto al suo interno caddi all’indietro distendendomi sulle neve.
Non sentivo freddo … il mio passato, ancora una volta, mi aveva tenuto al caldo.




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Racconto scritto il 19/11/2014 - 21:54
Da FraAaron 759
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