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EL BRUNO S'EN VA IN CITTA'

Aveva raggiunto il limite.
Prese il giaccone dal vecchio attaccapanni, i guanti, il cappello e indossando il tutto in maniera disordinata e frettolosa sbatte la porta di casa. Respirò l’aria umida e fredda che l’inverno aveva disteso sui campi, come un velo impenetrabile dai raggi del sole.
Lo sguardo si disperse sulle colline abitate dagli sparuti vigneti. I rami, nodosi, attendevano con pazienza la potatura.
Anch’egli sentì il bisogno della soppressione dal lordume che la vita gli aveva, suo malgrado, donato.
Strinse il mazzo di chiavi nella mano callosa, la riaprì per guardarle un ultima volta, quasi a salutarle. Il lancio fu preciso, al centro del corso d’acqua, gonfio delle piogge dei giorni trascorsi.
Il sentiero, tra i campi, con i suoi canali scavati dai trattori, ormai ricordi di un autunno laborioso, gli argini di acciottolati ai lati del torrente, fatiche di un’estate calda e promettente,
si seppellivano, ad ogni passo, sotto una coltre infinita di rabbia.
Camminava col bastone in spalla ed un fagotto legato ad una estremità contenente tutto il suo futuro.
Oltrepassò le corti, abbandonate da tempo. L’aia che aveva accompagnato la sua crescita nei giochi adolescenziali non gli inebriava più ricordi. L’aria di feste danzanti di tante mietiture erano effluvi scomparsi per sempre.
Tutto dava la sensazione di una pagina letta e girata, ogni passo cancellava un rigo dal libro che inesorabilmente sarebbe tornato bianco. Era esattamente ciò che Pietro anelava, il bianco mentale.
Aveva più volte pensato al suicidio ed aveva anche studiato come impiccarsi attaccato alla carrucola che usava per attingere acqua dal pozzo, ma aveva un terrore irrefrenabile della morte.
Non tanto per l’atto, di per se violento ma breve, bensì lo spaventava il buio nell'aldilà.
L’impossibilità di vedere la natura che cresce e si riproduce intorno a lui, il sole all’alba che lo sveglia con i suoi raggi, sfiorandogli la faccia, con il suo calore, come piccole carezze di un neonato. Rincorrere d’estate le lepri tra i filari di grano sapendo che mai le potrà raggiungere,
sdraiarsi sull’erba, all’ombra dei platani, dissetarsi dal pozzo con l’acqua gelata, ascoltare il canto degli uccelli, fare il verso al tacchino come da bambino, sorridere a crepapelle senza motivo, senza compagnia, senza.
La strada saliva e scendeva, attraversò la vecchia ferrovia. Si fermò su di un binario con i piedi per ghermire un eventuale lontano tremore, ma nessun treno passava da lì da più di venti anni.
Si girò, guardò la fattoria compagna da sempre, chiuse l’ultima pagina del suo libro bianco, lo bruciò nella mente, oltrepassò i binari, calò la vecchia sbarra del passaggio a livello e s’incamminò fischiettando. Era un motivo, tornatogli in mente, che cantavano le mondine alle feste della vendemmia, “ El Bruno s’en va in città”.
Le colline fiancheggiavano la strada stringendola in strette curve che Pietro avrebbe potuto tagliare per i campi incolti ma la mancanza di una meta non gli imponeva fretta. Il suo sguardo era oramai dritto avanti a se, la strada era il filo logico da seguire. Arrivo' al bivio che immetteva nel paese. Un vecchi cane gli si avvicinò,annusandolo mosse la coda, quasi l’avesse accettato, e tornò velocemente all’ombra di una vecchia tettoia. Il paese si inerpicava su di un colle, le case avevano l'aspetto di un'era passata, le prime persone che incontrò lo rallegrarono con il loro fare gioioso. Entrò nella vecchia taverna che esponeva il cartello "vini da Rolando", ordinò un quarto di rosso e si sedette all'esterno, sulla stretta via, il passaggio delle persone lo attirava. Aveva vissuto troppo a lungo isolato nelle campagne, adesso provava il piacere della compagnia dei suoi simili. Gli era sufficiente vederli indaffarati nelle loro attività per farlo sentire vivo.
D’un tratto il suo corpo iniziò a tremare, sempre con maggior violenza, le sedie si sollevarono da terra e così il tavolino, le insegne del vinaio furono assorbite da un vortice così come il sentiero su cui si era incamminato ed il paese tutto fu assorbito in una gigantesca spirale al centro della quale si intravedeva un punto bianco.
Poi il vortice iniziò a girare alla rovescia, decuplicando tutti gli oggetti che incontrava ma coprendoli col bianco che dal centro si dilatava a dismisura, un lampo immenso di luce, poi un’altro.
Pietro vedeva delle grandi facce, chine su di sé, intente ad osservarlo, ed alle loro spalle tanti fasci di luce.
Poi un suono, una voce sconosciuta “ Pietro? Ci sei Pietro? Fai un gesto con la mano se mi senti.”
Pietro non capiva più quale fosse la realtà ed il sogno, ma questa nuova situazione in cui si ere venuto a trovare lo attraeva di più e decise di restarvi, c’era molta luce e lui odiava il buio.
Dal vetro fuori dall’unità di rianimazione Miriam piangeva, ma il suo non era il pianto di disperazione delle giornate precedenti, bensì il pianto di gioia per il miracoloso ritorno alla vita del suo amato compagno, dopo due mesi di coma profondo.




Signorini Paolo




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Racconto scritto il 30/12/2014 - 11:46
Da paolo signorini
Letta n.1142 volte.
Voto:
su 4 votanti


Commenti


Ciao Gabriele ho scritto altre poesie con sfondi presi da Livorno e dintorni. Alcune le ho già inviate a Oggiscrivo e per renderle riconoscibili ho scritto Livorno a lato del titolo. Dario

Dario Menicucci 04/02/2015 - 20:37

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Un racconto scorrevole e coinvolgente, molto bravo Gabriele.
Ciao Elisa

elisa longhi 30/12/2014 - 22:09

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BUON ANNO E BUONA PENNA A TUTTI GLI SCRITTORI ED ALLA REDAZIONE CHE HA IL COMPITO INGRATO DI SOPPORTARCI.
GABRIELE SIGNORINI

gabriele signorini 30/12/2014 - 21:25

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Bellissimo racconto con finale a sorpresa
molto ben descritto,complimenti GaBRIELE
BUON ANNO

genoveffa 2 frau 30/12/2014 - 21:16

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