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Seduta su una valigia

Sistemo le ultime camicie in una valigia già stracolma, ed ecco che ora sì, beh, è arrivato il momento di chiuderla. Sfodero una trovata geniale e vecchia come il mondo, quindi con l’aiuto dell’innegabile peso piuma del mio non proprio minuscolo didietro, che in altri momenti mi fa disperare ed in questi casi ringrazio le circostanze genetiche che hanno voluto che lo avessi, sormonto il malcapitato bagaglio e la cerniera lampo va che è una bellezza. Rimango seduta per un po’ in questa posizione, a metà tra un pensatore e ciò che sono veramente, cioè una perfetta idiota che rimane col sedere poggiato su una valigia fissando il pulviscolo.
Eccolo lì, sta salendo, rapido come un freccia rossa.
Oh no proprio adesso, accidenti! Non l’ho avvertito fino a questo momento, ed ora che ho così tanto da fare.. ma sì, me lo godo questo magone improvviso ma nient’affatto inaspettato.
Mi aspetta un viaggio lungo 6 mesi, 10 giorni e oltre 2000 km, che ho atteso a piena gioia e a pieno tutto, capa fresca compresa. L’ho atteso perché sarà la mia prima volta lontana da casa.
Lontana dal rumore della moka che sibila e sbuffa al mattino presto, perché a mia madre piace alzarsi di buon’ora e far trovare pronta una tazzina di caffè caldo con un goccio di latte perché sa che papà la adora. E, diciamolo, perché a rigirarsi nel letto alzando ogni tanto gli occhi al soffitto e fantasticare non riesce proprio a starci. Mia madre è quella classica mamma rompicoglioni, che ripassa il mocio sul pulito, che sistema i libri sulla mia scrivania secondo il suo ordine e mandando in tilt il mio. È una donna che ha fatto della polemica la sua arma vincente e anche il suo mezzo punitivo, mediante la quale però dimostra piena compartecipazione ai problemi che riguardano la propria famiglia. È quella classica persona che quando lavora vuole prendersi i giorni di malattia e quando si ammala vuole lavorare. Insomma, come ho detto all’inizio, una rompicoglioni. È colei che crede a tutte le scemenze tipo la metempsicosi, i sogni premonitori, le apparizioni dei santi e simili.
Ma un giorno, prontissima e in tremendo ritardo per andare al cinema, bella e profumata com’era, corre verso di me, mi abbraccia e quasi commuovendosi mi dice «Sei la mia vita, ricordalo». Questa è mia madre.
Chissà perché la prima cosa che mi è venuta in mente, nel fluire magico di questa improvvisa nostalgia che pesa sul diaframma, sia stato il caffè. E l’odore del macinato che pervade le narici non appena si solleva il coperchio del barattolo di latta nel quale è conservato.
Ecco, il diaframma si fa sempre più carico, e mi sovviene un altro ricordo piacevole, il pizzicare delle corde di una chitarra classica. E vedo mio padre seduto sulla sua poltrona girevole, nel piccolo studio adibito a sala concerti, che si immerge totalmente con la mente, le mani e il resto del corpo nella musica degli artisti che adora, cercando non semplicemente di imitarli, ma di possederli, di sentirli suoi. Mio padre è così, è un fluido morbido e delicato che si insinua nelle fenditure e negli anfratti, ma non lo fa mai passivamente, li modifica a proprio piacimento senza per questo rovinarne l’armonia d’insieme. Lui è la diplomazia che mia madre non avrà mai, è la razionalità che io invidio, è l’artista con la testa dovunque tranne dove dovrebbe stare, che dall’età di 20 anni si fa crescere i baffi, forse, aggiungo io con un pizzico di sana cattiveria, per compensare i capelli che cadono.
Papà è quello che mi ha dato un ceffone una sola volta in vita sua perché aveva capito che avevo bisogno di prenderle di santa ragione. E so che questo gesto non se lo perdonerà mai, ma ignora forse che io sono convinta di averlo meritato. Sì, mio padre è quello che si dispiace dopo aver fatto la voce grossa. Ma è anche quello che finge di ascoltarti quando di quello che dici non gliene importa una mazza. Vabbé, nessuno è perfetto.
Intanto che la mia posa rimane sempre la stessa, mi domando quale musica mi accoglierà nella tromba delle scale quando, dopo le uscite serali, rientrerò nella casa dove andrò ad abitare nei prossimi 6 mesi. La risposta mi giunge repentina: il trillo del citofono. O, se sono fortunata, del telefono. Un particolare a cui non ho pensato è che la mia futura maison potrebbe non essere dotata di rampe di scale, quindi non avrei affatto bisogno di una colonna sonora al mio rientro a casa.
Ok, basta, devo alzarmi da questa valigia, mi fa pensare a cose stupide.
Aspetta! Quasi dimenticavo. Lei. Quella che ha il mio stesso sangue e che volevo fosse gettata in un cassonetto una volta nata, perché ero convinta che dalla pancia mia madre potessero fuoriuscire molti altri oggetti di gran lunga più interessanti, tipo un cane. E io un cane lo volevo disperatamente, dopo aver letto Snoopy.
Cosa posso dire della secondogenita? Mia sorella è sempre stata disciplinata in tutto. Bravissima a scuola, negli sport, nelle lingue straniere. Ordinata, precisa, rigorosa, matura. Insomma, una Montalcini in miniatura. Immaginate me, che da piccola paragonavano alla fontana di Trevi perché mi cadevano sempre dei lacrimoni grossi così, accanto a questa mini creatura semi perfetta. Un incubo, vero? Ebbene NO.
Mia sorella è stata, ed è tuttora, tutto quanto. È mia mamma, è mio padre, è la mia amica più cara, è il mio sprone nei momenti di abbattimento totale, è la mia enciclopedia, il dizionario, il computer e pure la stampante quando serve. È il mio divertimento e il mio tormento, e quando soffre per qualcosa o qualcuno, patisco insieme a lei. Più cresciamo e più sento che il gruppo sanguigno non è l’unica cosa che condividiamo. Mi mancheranno i suoi temibili predicozzi prima di un esame, le sue battute sui miei gusti discutibili in fatto di ragazzi e…. i suoi vestiti. Oh sì, adoro indossare i suoi abiti, le sue borse, i suoi trucchi.. lei diventa una furia quando lo faccio, ma non sa che è un modo che ho per cercare di portare sempre con me un pezzo di lei.
Caspita. Quel peso sullo stomaco è sparito. Ora, paradossalmente, vorrei quasi che ritornasse. Stavo così bene qui, seduta, l’armadio beige che puzza di vecchiume davanti a me.
La mia contemplazione viene interrotta da mia madre che piomba nella stanza accompagnata dal suo inseparabile amico aspirapolvere.
«Che fai lì impalata ad ammirare l’anta dell’armadio? Hai la sindrome di Stendhal?». Mia madre che fa una battuta semi-divertente. Mi sento quasi male.
«Chi lo sa? Potrei. Tu invece, quale parte della stanza superpulita hai deciso di ripassare con il tuo fedele compagno?». La smorfia di disappunto sul volto di mamma mi fa capire che è giunto il momento di abbandonare il campo.
Mi sollevo finalmente dalla valigia, il sedere con sopra stampata la scritta “samsonite”, e faccio per uscire dalla mia camera. Sento la mano di mia madre che mi prende un braccio, e mi fermo.
«Che c’è?» sbuffo. Mi interrompo, vedo che ha gli occhi lucidi.
«Sei la vita mia, ricordalo» dice. Così all’improvviso, e mi verrebbe anche da ridere a vederla che dice una cosa così solenne con addosso il tutone delle pulizie, il mollettone piazzato sopra la testa e l’aspirapolvere in posizione di guerra.
Ma non lo faccio, e la stringo forte.
Ora il magone sta ritornando, ma che importa? Per qualcuno sono importante quanto la vita stessa.



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Racconto scritto il 03/03/2015 - 01:21
Da Rosalba Caraddi
Letta n.1303 volte.
Voto:
su 5 votanti


Commenti


Salve a tutti. Era da un po' di tempo che non mi connettevo al sito, ed oggi ho ricevuto questa gradita sorpresa. Ringrazio tutti voi per i commenti, per me sono fondamentali.
A presto, spero, con un nuovo racconto.
Rosalba

Rosalba Caraddi 17/04/2015 - 00:29

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Mi è piaciuto molto il tuo racconto, Rosalba, coinvolgente e con una bella chiusa! Buona serata,

Chiara B. 07/04/2015 - 18:46

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Rosalba, complimenti per il riconoscimento, il tuo racconto è molto bello.

Anna Rossi 04/04/2015 - 21:03

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Rosalba, complimenti. Luciano

luciano rosario capaldo 04/04/2015 - 17:51

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molto bello , sei veramente brava a raccontare!CIAO

Anna Rossi 03/03/2015 - 20:28

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Racconto coinvolgente fino alla fine,complimenti,letto con piacere

genoveffa 2 frau 03/03/2015 - 19:27

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Racconto perfetto dall'inizio alla fine che non lo avrei saputo immaginare scritto meglio in un solo passaggio!
Eccellente!

Maria Valentina Mancosu 03/03/2015 - 15:54

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Mi ha emozionato questo scritto. Con poche righe hai tratteggiato persone vive, le ho davanti come se le conoscessi. Ben scritto. Saluti, Fabricio

Fabricio Guerrini 03/03/2015 - 14:26

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