Improvvisamente cadde un fulmine con un frastuono secco. Giacinta sentì i canarini, che teneva in cucina, agitarsi dentro la gabbia. Sbattevano le ali contro le barrette di alluminio. Pensò di alzarsi per rassicurarli, ma l'idea di uscire dal letto la fece desistere.
Attese ancora qualche minuto e i canarini si acquietarono. Seguirono attimi di sospensione, poi ecco lo scroscio impetuoso, una caduta d'acqua verticale, senza un filo di vento e cominciò la pioggia per l'intera notte. La primavera calda portava questi cambiamenti repentini. La giornata era stata molto afosa, ma ora sembrava che fuori casa si presentasse l'autunno.
Giacinta si chiuse tutta sotto le lenzuola, raccolse le ginocchia contro di sé e rimase ad ascoltare il rovistare della pioggia, il martellare delle gocce contro la grondaia e l'abbondanza d'acqua che in men che non si dica iniziò a sfogare dal vecchio tubo, per finire in un bidone addossato all'angolo dell'edificio. Non aveva paura del maltempo, si sentiva al sicuro nella casa dove abitava sola, dopo che via via, prima i fratelli poi i genitori, se n'erano andati sia per avventura sia per mala sorte.
" Devi avere una vita tua ", le vennero alla mente le parole di sua madre, quando anni addietro la rimproverava di starsene troppo in casa, di non avere amiche.
" Siamo preoccupati per te! " le sussurrava il ricordo del padre all'orecchio. Sentiva la voce di lui come se fosse stato davvero accanto, chino vicino al guanciale.
Nella vita di Giacinta tutti erano convinti che ella avesse sacrificato l'esistenza per accudire i genitori, che avesse consunto la propria giovinezza dietro ai loro anni. Per molti era rimasto un mistero come mai quella ragazza alta, dal collo sottile e con bei capelli ramati, non avesse trovato un fidanzato, un marito. Perché nella mente dei più, lei era una ragazza adatta ad un onest'uomo, destinata ad un uomo per bene. Giacinta era stata farmacista, aveva lavorato a lungo nella farmacia della cittadina, quella sita in piazza, vicino allo studio notarile. Un palazzotto d'epoca un poco pretenzioso.
" Devi avere una vita tua... siamo preoccupati per te..."
" Non è questo il momento adatto, Giacinta - le aveva risposto il segretario del notaio, un giovane che vestiva sempre inappuntabile ( forse le cravatte di tinta un poco spenta... unico piccolo neo).
" E quando posso parlarti, allora? - aveva chiesto lei, fissandolo con i suoi occhi nocciola, non capendo perché mai Sergio - il segretario si chiamava Sergio - volesse rinviare il colloquio.
" Non mi posso interessare di questa cosa, Giacinta- ripetè il giovane, seccato. E nel dire questo battè i palmi aperti delle mani contro la scrivania. Le penne tintinnarono nel portapenne argentato.
" Questa cosa, dici? - rispose Giacinta con un sussulto della voce - ma aspetto un bambino Sergio... non è una cosa, come dici tu..."
Sergio la guardò in modo interrogativo, le trasmetteva con gli occhi tutta la sua impotenza, la sua negativa meraviglia.
" Non sono in grado di affrontare questa situazione, come te lo devo dire?" e già s'era alzato, perché il notaio lo chiamava dal suo studio. " Arrivo subito con la pratica, dottore!", rispondeva il giovane, allungando il collo verso il corridoio che dava accesso alla stanza del suo principale.
" Per favore Giacinta, adesso va via". Le parlò dolcemente. Anzi lei si ricordava che l'aveva sostenuta all'avambraccio, accompagnandola alla porta.
" Devi avere una vita tua... siamo preoccupati per te".
Quella "vita sua" , era iniziata con Sergio, quand'ella era giovane di oltre trent'anni prima, in una storia d'amore un poco brutale, che ora Giacinta non vedeva affatto come amore, ma solo come una storia di corpi e di desiderio, nel quale essa stessa s'era trasformata, al punto da non capire, non vedere come Sergio fosse soltanto materialmente attratto, egoista ed affamato di lei. Che cosa avessero davvero vissuto assieme, lei lo capì soltanto quando s'accorse d'essere incinta. Ricordava che s'era osservata la piccola pancia, chinando la testa su di essa e tenendo avvolte contro il petto le gonne. " Non credevo mi potesse succedere", s'era detta. Di certo non pensava affatto, a questa eventualità, mentre Sergio la sospingeva con foga contro il muro della vecchia fornace dismessa, il loro luogo d'appuntamento preferito, sussurrandole parole assurde, pesanti, che poi, in altri momenti, negava di averle detto. " Io ti ho detto così? Ma che dici Giacinta..." - negava l'amante stupito, non per il gusto di negare, né per vergogna, ma proprio perché non ricordava.
Le era costato molto disfarsi del bambino. Ne aveva sofferto più nel tempo, nel passare dei giorni, che non in quel 23 maggio, giorno in cui aveva preso il treno di prima mattina e s'era recata in una città lontana dal suo paese, nel grigio ambulatorio di un medico frettoloso, che a malapena le aveva rivolto la parola e dato istruzioni in caso si fosse avveduta di perdite sanguinolente. Aveva pagato una grossa cifra, quasi tutti i suoi risparmi. Ricordava come avesse allungato una busta gialla, gonfia di biglietti da diecimila lire, lungo il ripiano lucido della scrivania del medico. Lui aveva preso il danaro, nemmeno fece il gesto di contarlo, ma infilò la busta in uno stipetto. Una pendola appesa al muro batteva insistente il tempo tra di loro. Un lunghissimo tempo.
Quel pomeriggio Giacinta era rientrata a casa frastornata e stanca, sotto una pioggia battente. Trovò la madre sulla soglia, con un'espressione apprensiva in viso, a chiederle dove mai fosse stata, visto che l'avevano attesa invano per il pranzo e anche oltre.
Giacinta aveva risposto che non si sentiva bene, che desiderava solo andare nella sua stanza. Anche allora un temporale durò tutta la notte e sconvolse il giardino.
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Il tema. Spesso è sulle donne che grava la scelta che poi, altrettanto spesso diviene un peso incancellabile. Complimenti.
Complimenti!
Ciao Elisa