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Il protettore d'uomini

-No, no, no, Dio mio...-


Filtrava una luce debole e polverosa dalle tapparelle.


-Cosa faccio? Dove vado? Dove?-


Dalla porta della sua camera si sentì bussare. Non poteva più aspettare, doveva agire subito. Non poteva uscire semplicemente dalla porta, no: lo aspettavano proprio lì. Dalla finestra? No, neanche. Potevano essere anche là. Doveva nascondersi, ma nessun posto era adatto.


-Il muro!-


Prese a scavare il muro con la forza che aveva nelle mani. Vedeva le unghia scoticarsi, il sangue fluiva dalle sue mani, ma era come se non sentisse il dolore. Che importava del dolore! Quel muro lo avrebbe salvato! Così solido e resistente, un riparo più che valido in cui sparire.


-Non va, non funziona!-


Ben presto ogni sforzo si rivelò inutile. Sembrava non ci fosse via d'uscita. Un lampo, però, squarciò il buio della sua mente annebbiata: aveva la pistola.


-Ma certo! Certo, certo...-


Rise freneticamente. Dietro la porta bussarono con più insistenza.
L'aveva lasciata sulla scrivania, come se lo avesse previsto. Si compiaceva di questo suo colpo di genio: poteva scappare senza che nessuno potesse prenderlo. E per sempre! Un eterno latitante.
Si gettò sul ripiano del mobile, tastandone la superficie alla ricerca dell'arma. Avvertì il metallo gelido sotto la sua mano; afferrò quindi la pistola e la puntò alla tempia.


-Tutto ritroverà il suo equilibrio, tutto!-


Rise per un'ultima volta, mostruosamente, delirante. La risata fu zittita da uno sparo, seguita da un tonfo sordo.


-Dio mio, Alessandro!- urlò suo padre. Sentiva venir meno le forze, ma, con uno sforzo estremo, sfondò la porta. La madre, dietro, era bianca e muta per la paura.


-A-Alessandro?- balbettarono entrambi. Speravano di illudersi, di non aver sentito quello sparo, ma il silenzio li disilluse. Si sentiva odore di morte, misto a polvere da sparo, in quella stanza. La luce non venne accesa, la verità li avrebbe irrimediabilmente accecati.


Era una fresca giornata di inizio primavera: i ragazzi uscivano felici dalle scuole, pronti a godersi una bella giornata. Si sentivano in lontananza i rombi dei loro motorini consunti.
Il suono delle sirene spezzò questa mondana armonia. Gli inquilini del piano di sotto avevano sentito le urla e, di conseguenza, avevano chiamato la polizia.
Quando sentì bussare alla porta, il padre si sollevò da terra con fatica e andò ad aprire. Gli agenti entrarono,gli rivolsero qualche domanda e si diressero nella stanza di Alessandro. Fecero allontanare la madre, accasciata a terra e singhiozzante. Videro il corpo riverso a terra e presero la pistola con cui Alessandro si era ucciso. Diedero un'occhiata alla stanza e notarono il muro graffiato e insanguinato. Si meravigliarono di come la scrivania fosse in perfetto ordine rispetto al letto, totalmente devastato.
Alla fine, il suicidio venne confermato.


Due giorni dopo si celebrarono i funerali. Erano presenti tanti parenti, di amici ce n'erano pochi. Era noto che Alessandro fosse un tipo riservato. Curiosamente tragico era un altro funerale, che si celebrava in quel momento: un oceano di persone seguiva la bara di un ragazzo, anche lui morto in modo violento: era stato ucciso.
Tragicamente curioso era che venisse seppellito proprio davanti alla tomba di Alessandro.


-Ma è uno scherzo?- si chiesero i genitori allibiti, davanti alle iscrizioni sulle lastre di marmo:


ALESSANDRO GUERRA
13/02/1996 - 15/02/2015


CESARE PACE
11/01/1996 - 15/02/2015


Da quando aveva attraversato le tempeste adolescenziali, Alessandro non era stato più lo stesso. Era diventato molto più chiuso, cupo nel volto, nello sguardo. Parlava poco, sembrava avesse quasi paura di farlo. I suoi avevano divorziato e viveva alternativamente dalla madre e dal padre. Aveva poche amicizie, che teneva strette. Non era di certo il più brillante a scuola, ma sapeva farsi valere. Era uno studioso incallito, comunque. Aveva avuto poche relazioni amorose, che finivano sempre in un nulla di fatto, sia per il suo poco coraggio sia perché le stroncava sul nascere.
Era insoddisfatto della sua vita. Sentiva che più cresceva, più l'enorme mondo nel quale viveva diventava inutile e insensato.
Eppure ebbe, per un periodo, un rimedio a questo mal-di-vita: aveva conosciuto, incredibilmente, una ragazza, in uno dei tanti corsi di studio che aveva intrapreso. Era solare, felice, in una parola viva. In lei Alessandro vedeva quello che non era, o quello che era stato o, ancora, quello che avrebbe voluto essere. Comunque lo si pensasse, in lei c'era un pezzo di lui, un pezzo così significativo da dar valore alla sua esistenza.
Cominciarono a parlare, certe volte passarono anche pomeriggi insieme. In lui risorgeva quell'armonia scomparsa da così tanto tempo che credeva non fosse mai esistita.
Usciti una sera e parlando del più e del meno, la ragazza gli confidò di avere un flirt piuttosto serio con un ragazzo, un certo Cesare.


-Hai presente Cesare? Frequentava il nostro stesso corso! Io già lo avevo notato e, a quanto pare, anche lui me. È davvero un bravo ragazzo, sembra avere tutto ciò che cercavo!-


Sentì la terra svanire dai suoi piedi.
Certo che sapeva chi fosse Cesare: il ragazzo più geniale, nonché bello, della loro scuola. Socievole e aperto, disponibile e alla mano, deciso nelle sue azioni e nei suoi pensieri, atletico, attivo. Non c'era chi non lo conoscesse per almeno una di queste qualità. Conquistava le persone, come ben descriveva il suo nome. Era tutto ciò che Alessandro non riusciva ad essere e forse non voleva essere.
L'uscita, di lì, proseguì con la descrizione di una giornata-tipo tra lei e Cesare. Intanto Alessandro si sorprese di come riuscisse a celare la sua disperazione. Finita la serata e tornato a casa, si gettò a letto, trattenendo le lacrime a stento.
Da quella sera in poi, non si sentirono più e non uscirono: di lei non rimanevano che briciole, scaglie di vetro, sprofondate nella zona più scura della sua anima.
Era ritornato alla stessa malinconia di prima, allo stesso male di vivere, acuito dalle lotte tra i suoi genitori.
Tra l'altro, a scuola si era diffuso il pettegolezzo della serata che lei aveva passato con Alessandro: la ragazza, dal canto suo, negava recisamente che fosse successa una cosa simile e che non conoscesse nemmeno "questo Alessandro". Povero, aveva creduto di essere se stesso in qualcuno che lo considerava niente! Era diventato niente!
Per giunta, oltre ad essere niente era anche uno zimbello. Si sentiva depresso, umiliato e terribilmente solo. Voleva riscattarsi, ma non aveva la forza. Si sentiva malato, incurabile, non capiva il perché.


Qualcosa, però, cambiò in un attimo.
Facendo una delle sue lunghe passeggiate, per non essere oppresso a casa, incontrò una persona mai vista. Questa sosteneva di conoscerlo sin dalla sua nascita, così come, a suo dire, conosceva Cesare. Sapeva cosa aveva fatto Cesare, sapeva cosa sentiva Alessandro.
Come poteva conoscerlo? Forse da qualche festa? A Natale con i parenti? No, non ricordava.


-Tieni, prendi questa e riscattati. So che vuoi questo, ti conosco abbastanza da saperlo-.


Gli porse una pistola. Alla sua vista rimase inorridito, non tanto perché lo spingesse all'omicidio, quanto perché uno sconosciuto sapesse ciò che desiderava nel più profondo. Anche da questo fu inorridito: sentiva che aveva voluto che succedesse. Il fatto che glielo stesse consigliando un tizio qualunque lo faceva sentire,in qualche modo, meno in colpa.
Prese la pistola con sé e la figura misteriosa sparì dietro un angolo.
Da quel giorno, Alessandro cominciò a pedinare Cesare. Aveva scoperto dove abitava, si svegliava all'alba per vedere a quale orario uscisse da casa per andare a scuola, studiava i luoghi in cui passava i pomeriggi. Osservava, nascosto, gli attimi felici che trascorreva con quella persona che un tempo Alessandro aveva sentito come l'immagine di se stesso. Questo lo riempiva di tristezza, ma l'eccitazione di ciò che aveva intenzione di fare lo rendeva straordinariamente attivo.
Decise in che giorno si sarebbe consumato il delitto: il 15 marzo. Una data simbolica per Cesare. Doveva stare all'erta per quel giorno! Bruto era alle sue spalle.
Scelse di colpire la mattina. Cesare sarebbe uscito alle 6:30 da casa. Fremeva, già vedeva i suoi occhi tremanti.
Questa volta chi è il più forte?


Sentì il portone scrosciare nel chiudersi. La strada era ancora solitaria, si sarebbe popolata tra poco.
Lo lasciò camminare per un po' e, non appena fu nelle vicinanze di un vicoletto, lo spinse là dentro. Nonostante Cesare fosse molto muscoloso, all'avversario costò poca fatica trascinarlo lì, avvantaggiato dall'effetto sorpresa. In realtà Cesare, dopo aver visto la pistola, rimase paralizzato. Lo pregava, singhiozzava:


-Per favore, non farlo... Credimi, non ho niente nei tuoi confronti per quel pettegolezzo... Non ce l'ho con...-


Scoppiarono gli spari. Uno sparo dietro l'altro, veloce, potente e assordante. Sentiva di avere il potere tra le mani. Gli equilibri dell'universo erano stati scossi da lui.
Finalmente, finalmente si era riscattato, in quel 15 marzo primaverile.




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Racconto scritto il 05/04/2015 - 19:07
Da Gianluca Geraci
Letta n.1120 volte.
Voto:
su 1 votanti


Commenti


Non sapevo che Dalla avesse scritto una canzone simile, ma è incredibile la somiglianza! Comunque, Glauco, ti ringrazio per il tuo giudizio!
Se posso, vorrei chiarire quelle cose che non ti hanno convinto: i nomi dei ragazzi sono "parlanti", ho voluto dar loro dei nomi che li descrivessero ancor prima delle loro azioni; per quanto riguarda l'uomo che offre la pistola, anche quello fa parte di una metafora. In verità, tutto il racconto vuole essere una metafora
Grazie a tutti!

Gianluca Geraci 08/04/2015 - 10:42

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La trama mi ricorda molto il testo di una canzone di Dalla scritta con Paoli, "non sono matto ( o la capra elisabetta)" sulla vendetta da parte di un illuso fidanzato verso quello reale dopo la rivelazione (il rivale ucciso a sassate in una ambientazione rupestre).
Mi piace il titolo legato al protagonista, meno, devo dire le due lapidi con i cognomi Pace e Guerra che trovo didascalici, mentre il nome Cesare per la vittima ed il rimando alle idi sono nelle righe.
A me piace molto, poi, l'epilogo tragico, solo qualche dubbio sulla consegna della pistola, ma sono gusti. Consistente.

Glauco Ballantini 08/04/2015 - 10:33

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Storia molto ben raccontata!
Ma forse, più di un lettore... avrebbe voluto un epilogo diverso!
Comunque... l'autore dell'opera, credo volesse esortare a positività!
Molto buono!

Maria Valentina Mancosu 06/04/2015 - 22:05

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Grazie per il tuo commento, Vera! Scrivendo, non avevo in mente il concetto della dipendenza, ma potrei approfondirlo comunque!

Gianluca Geraci 06/04/2015 - 11:41

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Cosa terribile la DIPENDENZA! Un poco almeno, la sperimentiamo tutti. Mai abbastanza la COMBATTEREMO!
Positività, Amici cari, per dura che sia la vita! A viverla, cerchiamo di essere sempre NOI!
Vera

Vera Lezzi 06/04/2015 - 11:38

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