Una data particolare, certo, soprattutto perché entro la fine dell’anno dovevano essere finite le operazioni concorsuali per l’assunzione alla USL 13.
Il fatto era che una legge finanziaria bloccava le assunzioni pubbliche dall’anno successivo, salvo che le procedure non terminassero entro l’anno in corso.
Ancora con il pranzo di Natale sullo stomaco arrivai, verso le sette, la mattina del 27 dicembre con un altro paio di migliaia di candidati, al Palasport di Livorno. Ci accolse una timida alba di fine anno, un bel freddo intenso, e il servizio di sorveglianza.
Controllo accurato dei documenti, della lettera d’invito e finalmente dentro, nel tepore del Palasport, dove ognuno era smistato secondo la lettera iniziale del cognome, in un settore, sorvegliato a vista perché non potesse “migrare” verso amici, parenti o consulenti.
I sorveglianti, con le loro belle fascette rosse con la scritta “USL 13” ci controllavano, orgogliosi come dei caporali di servizio.
Rigidi e inflessibili, immersi nel loro ruolo.
Ci fu consegnata una tavoletta bicolore di plastica durissima che avrebbe fatto da scrittoio improvvisato per rispondere alle domande del quiz che ci avrebbero “somministrato, ” e una penna.
La commissione si riunì dopo che tutti fummo dentro, in modo da evitare uscite di notizie preventive.
Le prime due ore furono ritenute da tutti un tempo giusto per predisporre il materiale, ma dopo cominciarono a serpeggiare i primi malumori.
Alla terza ora la situazione cominciò a farsi calda, l’attesa iniziava a scocciare; i sorveglianti non erano informati di quello che stava succedendo e la commissione non diffondeva notizie.
Alle 11.00 la comunicazione ufficiale, visto il protrarsi delle operazioni di redazione del test, ci davano appuntamento alle 15.30 del pomeriggio in modo che, per quel tempo, sarebbe potuto partire il concorso.
Male di poco, per chi era di Livorno! Purtroppo per chi era venuto da fuori si ritrovò in un quartiere periferico senza neanche un bar nelle vicinanze, ad assaltare negozi di generi alimentari per farsi fare un panino e bere qualcosa. Di freddo!
Alle 15.30, finalmente, nuovo ingresso nel palazzetto con la speranza di fare alla svelta.
Speranza vana perché, purtroppo, le cose continuavano ad andare per le lunghe.
Ora anche i sorveglianti, prima ligi al dovere, cominciarono a scocciarsi e si tolsero le fasce rosse dal braccio, che erano state il loro orgoglio, unendosi alla progressiva protesta di tutti.
Dopo due ore di attesa venne anche il turno della polizia, carabinieri e vigili, poiché vacillava anche l’ordine pubblico.
Ormai il palazzetto era divenuto un girone infernale, un due giugno, un otto settembre, ormai erano entrati, anche parenti, fidanzati, amici e curiosi dalle porte di sicurezza aperte dall’interno. La bolgia era totale, adesso sembrava di essere a una partita di pallacanestro: urla, cori all’indirizzo della commissione. Il palazzetto aveva gli stessi umori dell’agonismo esasperato dei derby.
Ecco che, a un certo punto, dopo le 19.00 appare, come una visione, un omino che parte da una curva e traversa tutto il campo da basket per andare al microfono dalla parte opposta.
E’ il presidente della commissione esaminatrice che pronuncia poche, ma sentite parole che diffondono la calma negli astanti:
“Stiamo lavorando per voi, se volete annullare il concorso, non ci sono problemi, lo faremo.”Vuol dire che il lavoro non v’interessa!”
Fannulloni e sfaccendati ancor prima di essere assunti!
Se l’andatura dell’andata era stata fatta alla velocità di un attacco a difesa schierata, il ritorno fu fatto a velocità doppia, quasi un contropiede, sotto una marea d’improperi e soprattutto in un diluvio delle pericolose tavolette bicolore di plastica dura che gli arrivavano addosso dagli spalti.
Riuscì a guadagnare l’uscita scortato dalle forze dell’ordine.
Era tutto finito, la prima prova del concorso annullata per motivi di ordine pubblico, dopo tredici ore di vana attesa, senza aver risposto neanche a una domanda del quiz.
All’uscita, ci accolse la notte precoce di fine dicembre, c’eravamo giocati le ore di luce della giornata.
L’unica cosa che guadagnai quel giorno, fu la tavoletta bicolore bianca e rossa che mi portai a casa, e dopo venti anni è ancora lì….
A proposito, dov’è che l’ho messa?
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