Vita vissuta. Quando l\'emigrante ero io.
Gli anni sessanta mi videro giovane migrante allontanarmi dalla Sardegna. Partivo per la Germania dove avrei lavorato come operaio in un cantiere edile.
Prima della partenza erano d’obbligo diversi accertamenti medici. Oltre agli esami di routine: polmoni, cuore, sangue, mi esaminarono la dentatura. “Come fossi un cavallo”. Avevo detto agli amici parlando della visita dentistica e del fatto che avrei dovuto affrontare una spesa non indifferente per mettere due denti che mi mancavano. Non potevi partire se non avevi una sana e robusta costituzione fisica; tanto meno se ti mancava anche un solo dente.
“A caval donato non si guarda in bocca.” Avevano ironizzarono gli stessi sfruttando la mia esternazione, e giocando sul fatto che Donato è il mio nome. Rammento di aver accennato un sorriso, mentre pensavo a ciò che avrebbero potuto escogitare se fossero venuti a conoscenza di quello che per me era stato ben più di un’imbarazzante controllo medico. Il dottore mi aveva “esaminato” il posteriore. (Non ricordo se a tal proposito già sapessi che quella visita viene fatta anche ai cavalli) Rammento però che il mio orgoglio maschile e non solo ne ebbe a soffrire.
Espletate le varie prassi burocratiche partii fiducioso. Come bagaglio a mano portavo con me una semplice valigia di cartone legata stretta con dello spago: custodiva i pochi indumenti personali, e, (quasi un lusso per quel periodo) pane e salsiccia per sostentarmi durante il viaggio. La mia destinazione era la città di Riegel. Il supporto mia sorella,la quale mi ospitò giusto il tempo di trovare un alloggio.
Lo trovai una settimana dopo, in una cittadina di nome Freiburg im Breisgau, nell’albergo ristorante denominato il Ghestans, dopo aver pattuito con il proprietario, un affitto mensile di duemila lire. Nell’albergo, tre volte a settimana si esercitava una banda musicale. In quei giorni il frastuono era tale da ostacolare il sonno per cui alla mattina mi alzavo più stanco di quando avevo appoggiato la testa sul cuscino. In seguito per assurdo mi abituai a convivere con il rumore così da non riuscire a dormire quando c’era silenzio.
Non parlando tedesco avevo difficoltà nel rapportarmi. Le maggiori complicazioni le rilevavo nella vita quotidiana. A lavoro andava meglio perché fra gli operai c’erano altri italiani.
Lavoravo quaranta ore settimanali. Percepivo centoquattro marchi alla settimana.“circa ottanta mila lire al mese”. Sessanta le inviavo ai miei. Un gruzzoletto da custodire che utilizzai poi per acquistare il terreno dove costruii casa: due stanze e un corridoio, il bagno all’aperto: una stanzetta con la turca e senza il tetto; quando pioveva dovevo aprire l’ombrello.
In seguito, sempre per la medesima ditta, mi trasferii in un'altra località. Come accordo avrei dovuto lavorare e rimanere al cantiere come guardiano per cinque marchi in più. Compenso che non mi fu mai accreditato nella busta paga.
Il cantiere dove mi trasferii era ubicato in una zona desolata. L’alloggio era un freddo container provvisto di una stufa a kerosene mal funzionante: due lettini con materassi logori (contavo le molle del mio materasso con la schiena) due coperte consunte e sporche, un fornello a gas, un tavolino e due sedie. Dividevo il container con un tedesco che tracannava costantemente birra e grappa e non si curava di emettere poi enormi rutti; non solo: mentre dormiva russava e scoreggiava rendendo irrespirabile l’alloggio. Quando andò via, pensai con una punta di cattiveria che al Kartofen preferivo la compagnia delle cornacchie di cui era infestata la zona.
La vita in Germania era dispendiosa. La banana il frutto meno caro. Una volta ne acquistai
“a prezzo stracciato” un intero casco da un italiano addetto allo scarico merci. Erano tantissime, le mangiai in meno di una settimana.
Un giorno mi lasciai tentare da una pianta di invitanti ciliegie che si trovava in un terreno poco distante al mio alloggio. Ero intento a farne una scorpacciata quando fui colto in flagrante dal proprietario che invece di aggredirmi si dimostrò magnanimo incitandomi a mangiarne ancora. Solo dopo, per puro caso, mi resi conto che erano infestate dai vermi. In seguito lo stesso proprietario mi accusò di avergli rubato delle patate. Ricevetti la visita della polizia la quale perquisì il container e fu solo grazie alla signora dove abitualmente le compravo che potei dimostrare la mia estraneità al furto ed evitare la prigione.
Alcuni tedeschi non mascheravano l’ostilità verso gli italiani, si rivolgevano a noi chiamandoci in modo dispregiativo “zigoina” zingari. Una volta, mentre viaggiavo in pullman, fui oggetto della prepotenza di alcuni giovani, i quali senza motivo mi aggredirono a pugni. Altri in un locale mi accusarono ingiustamente di aver vomitato sul pavimento del bagno. Pretesero che pagassi cinque marchi alla signora delle pulizie. Ero un ragazzo pacifico, rispettoso del paese ospitante, ero lì per lavorare non per mettermi nei guai. Per non fomentare una lite lasciai correre e pagai.
La nostalgia di casa era forte. Così ogni dieci mesi nel periodo in cui in cantiere scarseggiava il lavoro approfittavo per tornare e riabbracciare i miei. Mi fermavo due mesi, poi ripartivo.
Quando scendevo in Italia portavo con me l’ultimo stipendio. Per paura che mi derubassero; avevo ideato un taschino all’interno della canotta. Mai! Gli avrei custoditi dove disse di averli messi mio fratello durante un suo viaggio.
In confidenza, mi raccontò di una volta in cui: dopo aver per bene arrotolato i soldi, certo che mai nessun borseggiatore potesse mettervi mano, li aveva con un elastico legati al suo membro. Durante il viaggio, l’Efisietto “così da lui nominato” strozzato dall’elastico, si era tumefatto così tanto da divenirgli viola: si vedeva appena l’elastico. Così, quando sua moglie si era adoperata con delle forbicine per liberarlo dal cappio; egli aveva tremato al pensiero che la donna, per qualche ragione sua personale potesse decidere di salvare i soldi: piuttosto che il malconcio “Efisietto”.
Ora sorrido, rivedendo alcune vicende di quel periodo: la verità è, che oltre ad aver ingoiato tanti rospi e mangiato molte patate, l’esperienza lavorativa in Germania, contribuì a fare di me una persona tollerante e responsabile. Quando partii ero un ragazzo. Rientrai che ero un uomo. Con qualche sogno in più e l’opportunità; seppur piccola, di intraprendere un percorso di vita nella mia amata terra.
Prima della partenza erano d’obbligo diversi accertamenti medici. Oltre agli esami di routine: polmoni, cuore, sangue, mi esaminarono la dentatura. “Come fossi un cavallo”. Avevo detto agli amici parlando della visita dentistica e del fatto che avrei dovuto affrontare una spesa non indifferente per mettere due denti che mi mancavano. Non potevi partire se non avevi una sana e robusta costituzione fisica; tanto meno se ti mancava anche un solo dente.
“A caval donato non si guarda in bocca.” Avevano ironizzarono gli stessi sfruttando la mia esternazione, e giocando sul fatto che Donato è il mio nome. Rammento di aver accennato un sorriso, mentre pensavo a ciò che avrebbero potuto escogitare se fossero venuti a conoscenza di quello che per me era stato ben più di un’imbarazzante controllo medico. Il dottore mi aveva “esaminato” il posteriore. (Non ricordo se a tal proposito già sapessi che quella visita viene fatta anche ai cavalli) Rammento però che il mio orgoglio maschile e non solo ne ebbe a soffrire.
Espletate le varie prassi burocratiche partii fiducioso. Come bagaglio a mano portavo con me una semplice valigia di cartone legata stretta con dello spago: custodiva i pochi indumenti personali, e, (quasi un lusso per quel periodo) pane e salsiccia per sostentarmi durante il viaggio. La mia destinazione era la città di Riegel. Il supporto mia sorella,la quale mi ospitò giusto il tempo di trovare un alloggio.
Lo trovai una settimana dopo, in una cittadina di nome Freiburg im Breisgau, nell’albergo ristorante denominato il Ghestans, dopo aver pattuito con il proprietario, un affitto mensile di duemila lire. Nell’albergo, tre volte a settimana si esercitava una banda musicale. In quei giorni il frastuono era tale da ostacolare il sonno per cui alla mattina mi alzavo più stanco di quando avevo appoggiato la testa sul cuscino. In seguito per assurdo mi abituai a convivere con il rumore così da non riuscire a dormire quando c’era silenzio.
Non parlando tedesco avevo difficoltà nel rapportarmi. Le maggiori complicazioni le rilevavo nella vita quotidiana. A lavoro andava meglio perché fra gli operai c’erano altri italiani.
Lavoravo quaranta ore settimanali. Percepivo centoquattro marchi alla settimana.“circa ottanta mila lire al mese”. Sessanta le inviavo ai miei. Un gruzzoletto da custodire che utilizzai poi per acquistare il terreno dove costruii casa: due stanze e un corridoio, il bagno all’aperto: una stanzetta con la turca e senza il tetto; quando pioveva dovevo aprire l’ombrello.
In seguito, sempre per la medesima ditta, mi trasferii in un'altra località. Come accordo avrei dovuto lavorare e rimanere al cantiere come guardiano per cinque marchi in più. Compenso che non mi fu mai accreditato nella busta paga.
Il cantiere dove mi trasferii era ubicato in una zona desolata. L’alloggio era un freddo container provvisto di una stufa a kerosene mal funzionante: due lettini con materassi logori (contavo le molle del mio materasso con la schiena) due coperte consunte e sporche, un fornello a gas, un tavolino e due sedie. Dividevo il container con un tedesco che tracannava costantemente birra e grappa e non si curava di emettere poi enormi rutti; non solo: mentre dormiva russava e scoreggiava rendendo irrespirabile l’alloggio. Quando andò via, pensai con una punta di cattiveria che al Kartofen preferivo la compagnia delle cornacchie di cui era infestata la zona.
La vita in Germania era dispendiosa. La banana il frutto meno caro. Una volta ne acquistai
“a prezzo stracciato” un intero casco da un italiano addetto allo scarico merci. Erano tantissime, le mangiai in meno di una settimana.
Un giorno mi lasciai tentare da una pianta di invitanti ciliegie che si trovava in un terreno poco distante al mio alloggio. Ero intento a farne una scorpacciata quando fui colto in flagrante dal proprietario che invece di aggredirmi si dimostrò magnanimo incitandomi a mangiarne ancora. Solo dopo, per puro caso, mi resi conto che erano infestate dai vermi. In seguito lo stesso proprietario mi accusò di avergli rubato delle patate. Ricevetti la visita della polizia la quale perquisì il container e fu solo grazie alla signora dove abitualmente le compravo che potei dimostrare la mia estraneità al furto ed evitare la prigione.
Alcuni tedeschi non mascheravano l’ostilità verso gli italiani, si rivolgevano a noi chiamandoci in modo dispregiativo “zigoina” zingari. Una volta, mentre viaggiavo in pullman, fui oggetto della prepotenza di alcuni giovani, i quali senza motivo mi aggredirono a pugni. Altri in un locale mi accusarono ingiustamente di aver vomitato sul pavimento del bagno. Pretesero che pagassi cinque marchi alla signora delle pulizie. Ero un ragazzo pacifico, rispettoso del paese ospitante, ero lì per lavorare non per mettermi nei guai. Per non fomentare una lite lasciai correre e pagai.
La nostalgia di casa era forte. Così ogni dieci mesi nel periodo in cui in cantiere scarseggiava il lavoro approfittavo per tornare e riabbracciare i miei. Mi fermavo due mesi, poi ripartivo.
Quando scendevo in Italia portavo con me l’ultimo stipendio. Per paura che mi derubassero; avevo ideato un taschino all’interno della canotta. Mai! Gli avrei custoditi dove disse di averli messi mio fratello durante un suo viaggio.
In confidenza, mi raccontò di una volta in cui: dopo aver per bene arrotolato i soldi, certo che mai nessun borseggiatore potesse mettervi mano, li aveva con un elastico legati al suo membro. Durante il viaggio, l’Efisietto “così da lui nominato” strozzato dall’elastico, si era tumefatto così tanto da divenirgli viola: si vedeva appena l’elastico. Così, quando sua moglie si era adoperata con delle forbicine per liberarlo dal cappio; egli aveva tremato al pensiero che la donna, per qualche ragione sua personale potesse decidere di salvare i soldi: piuttosto che il malconcio “Efisietto”.
Ora sorrido, rivedendo alcune vicende di quel periodo: la verità è, che oltre ad aver ingoiato tanti rospi e mangiato molte patate, l’esperienza lavorativa in Germania, contribuì a fare di me una persona tollerante e responsabile. Quando partii ero un ragazzo. Rientrai che ero un uomo. Con qualche sogno in più e l’opportunità; seppur piccola, di intraprendere un percorso di vita nella mia amata terra.
Racconto scritto il 25/05/2015 - 13:59
Letta n.1739 volte.
Voto: | su 6 votanti |
Commenti
Complimenti meritato brava
barbara lai 15/06/2015 - 19:42
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Bravissima Claretta! Complimenti!
Millina Spina 04/06/2015 - 12:30
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Brava Claretta meritato vincita. Complimenti!
Milly Rosy 03/06/2015 - 23:02
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Brava Claretta meritato vincita. Complimenti!
Milly Rosy 03/06/2015 - 23:01
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È sempre un piacere leggerti. Bravissima
Complimenti per il riconoscimento
Complimenti per il riconoscimento
Daniela Cavazzi 03/06/2015 - 22:44
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Grazie,Rocco,Luciano,Anna,Dario per le congratulazioni,le mie vanno a voi e ai quanti sono stati selezionati.Scusate se in questi giorni non sono molto presente,ma ho degli impegni che davvero mi rubano molto tempo. Un abbraccio a tutti Claretta.
Claretta Frau 03/06/2015 - 21:36
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Brava Claretta. Complimenti
Dario
Dario
Dario Menicucci 03/06/2015 - 20:08
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Le mie congratulazioni per una vittoria meritatissima.Grande è la mia stima per un'autrice della tua bravura.Ciao Claretta
Anna Rossi 03/06/2015 - 19:53
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Il mio scrosciante plauso per sì meritato encomio...
Rocco Michele LETTINI 03/06/2015 - 16:18
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Carissima Claretta , complimenti sinceri per il primo posto.
luciano rosario capaldo 03/06/2015 - 15:58
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Claretta, hai fatto un resoconto simpatico di quel dramma che in tanti hanno vissuto in quegli anni, l'abbandono della propria terra in cerca di "fortuna" e per noi sardi questa partenza forse è stata ed è tuttora ancora più dolorosa, perchè quel mare meraviglioso diventa una lama tagliente, uno strappo sanguinante...
Davvero pittoresco l'"efisietto"...
Davvero pittoresco l'"efisietto"...
Millina Spina 26/05/2015 - 19:13
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Grazie ragazzi per i vostri commenti. Luciano,non penserei mai una cosa simile anche perchè lo stesso altrimenti dovreste pensare per i miei commenti,la verità é che a me piace commentare una passione quella di provare a fare la versione in prosa alla poesia,che te la fa vivere e in piú stuzzica la fantasia,mi dispiace solo che non posso farlo con tutti perché non ho sempre molto tempo a disposizione. Ciao a presto leggervi.
Claretta Frau 26/05/2015 - 17:30
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Claretta, può sembrare che ti commenti per cortesia da ricambiare. Null'affatto,mi piace seguirti ma lascio i racconti sempre alla fine perché richiedono un po' più di attenzione e tempo. Ho letto il tuo racconto di storia vera. E mi hai fatto pensare ai miei cari nonni . Io sono della Lucania terra di briganti e migranti. Conosco bene queste realtà egregiamente narrate da te con dovizia di particolari . La cosa che ho apprezzato è stata anche andare un po' fuori le righe parlando di una situazione imbarazzante che la dice tutta. Una grande morale. Un tempo si doveva crescere in fretta; oggi....
Bravissima Claretta *****
Bravissima Claretta *****
luciano rosario capaldo 26/05/2015 - 16:46
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La storia è toccante, sia per gli alloggi fatiscenti che l'immigrante è destinato ad abitare, che per le vicende non propriamente simpatiche a cui si incorre in paesi stranieri, sopra ben descritte dall'autrice. Ma il motivo ancor più terribile è abbandonare la propria terra, i propri affetti e quindi la famiglia.
Scritto molto apprezzato.
Lodi
Scritto molto apprezzato.
Lodi
Paolo Ciraolo 26/05/2015 - 16:45
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Grazie Rocco,questa é una storia vera, ho solo cambiato nome al personaggio per poter parlare della imbarazzante visita medica.
Claretta Frau 26/05/2015 - 07:45
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Partii... ero un ragazzo.
Rientrai... che ero un uomo.
Responsabilità... et sacrifici... per un gaudio futuro.
Rientrai... che ero un uomo.
Responsabilità... et sacrifici... per un gaudio futuro.
E' l'historia di vita di tanti... brillantemente costrutta... Il mio elogio Claretta
Rocco Michele LETTINI 26/05/2015 - 06:44
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