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Una giornata come tante

Rusinella voleva ritirare i BOT del valore nominale di un milione di lire che, in numero di dodici, aveva comprato trentacinque anni prima :il giovane impiegato impallidì e goccioline di sudore imperlarono la fronte dell’operatore che si accingeva a spiegare all’utente l’impossibilità di dar luogo all’operazione,trattandosi di titoli ormai scaduti per i quali bisognava rivolgersi alla sede centrale. La preoccupazione del pover’uomo fu legittimata dall’intervento di Tonin che mentre era intento a trasferire la patente di guida alla vecchia impiegata dell’Ufficio Postale,non si esentò da un’intelligentissima battuta:”Signò chist ve fann prima murì e po’ ve paven”:fu il caos! Le fazioni si formarono rapidamente, da un lato Gennaro o cuoco, Tonin 0 cammerier, Pascal o fruttaiolo e Caterina a giornalaia che probabilmente per appartenenza alla categoria, sostenevano le maleparole di Rusinella rinforzandole con varie “ave raggion povera vecchia”, “chi accumpagn a Napoli?””iamm, giuvinù facit o brav”… un “ tu guard sti strunz!” profferito da Pascal innescò reazioni a catena nell’altra fazione che vedeva schierati Luigi l’infermiere, Carmela impiegata d’anagrafe e Rino il ragioniere che difendevano la categoria dei poveri impiegati statali.
Angelo acquisì il ruolo di traduttore simultaneo e di paciere nel tentativo di risolvere rapidamente la questione che invece l’accompagnò all’ora di pranzo senza ancora aver concluso l’operazione.Erano ormai le 13,00 quando il fatidico 127 venne chiamato dall’impiegata che con movimenti coreiformi, praticamente contorcendosi sulla sedia, e con le mani che reiteravano lo stesso movimento da almeno dieci minuti, passando rapidamente dalla tastiera alle ricevute vomitate dalla macchina, si rivolse all’utente con lo sguardo di una belva ferita e profferendo la fatidica frase:”che dobbiamo fare?”
Solo dopo tre errori di trascrizione, un black out della durata di tre minuti,undici scricchiolii articolari delle povere dita della postelegrafonica, un indefinito numero di farfugliamenti da entrambi le parti che nella sonorità ricordavano bestemmie, maleparole,improperi e,a tratti, pie preghiere, Angelo riuscì a ritirare la somma di ottocentoquarantaseieuroetrentacentesimi che teneva tra le mani con la classica espressione del capitano della Nazionale italiana in possesso della coppa così faticosamente ottenuta dopo una partita particolarmente tesa, in cui aveva profuso tutte le energie possibili e con l’espressione che tradiva il disagio per la figura di merda che il carpentiere, centravanti della Slovenia, gli aveva consegnato:Angelo si diresse verso casa , poco distante dall’ufficio postale,con il suo trofeo….
All’ingresso trovò ad aspettarlo Miranda con le mani nei fianchi a mimare un’antica giara romana, in verità tale forma apparteneva alla moglie già da diversi anni, forma che però sfuggiva agli occhi di Angelo ancora occupati dall’immagine esile e slanciata di tanti anni prima quando l’aveva conosciuta sulla spiaggia di Sperlonca, con la pelle color miele d’acero, capelli lunghi corvini che le ammantavano le spalle ;le scapole ben evidenti come piccole ali d’angelo e le clavicole che sormontavano a mò di travi il seno piccolo e sodo la cui consistenza tanto stupiva lo studente universitario spesso perso nella profondità degli occhi neri che tanto contrastavano con il bianco perfetto dei denti piccoli e ordinati nella carnosa bocca.
Anche la voce della donna aveva subito con gli anni varie trasformazioni passando da una dolcezza infantile a un tono da soprano che rapidamente si era connotato di suoni gutturali attualmente prevalenti e fu proprio quella voce che colpì Angelo con tono di risentimento nel chiedere spiegazioni del ritardo che aveva costretto la mamma , destinataria della pensione, a lunga e vana attesa conclusasi in una telefonata esasperata alla figlia.
Era tanta la stanchezza che il professionista risolse la situazione con un laconico “c’era fila alla posta…”
Il pranzo era quello tipico del giovedi: riso al sugo e residui di carne che puntualmente erano rimasti dal giorno prima; fu al terzo boccone che il campanello annunciò la visita di Loredana, la nipote da parte paterna, figlia di Adriana, sorella di Angelo: una giovane di venti anni dai capelli castani continuamente tormentati dalle mani lunghe e affusolate che sembravano danzare con gli occhi che altrettanto rapidamente si muovevano nelle grandi orbite, il tutto a testimoniare il perenne stato di agitazione che la pervadeva sin da bambina,
Loredana aveva sperimentato un sistema infallibile per incontrare lo zio spesso in giro per lavoro e commissioni: beccarlo all’ora dei pasti! Sicuramente il piccolo fastidio che arrecava interrompendo l’alimentazione del parente veniva compensata dalla gioia di vedere la nipote spesso affetta da patologie stranissime come il dolore ai capelli, il bruciore alle unghie, il prurito migrante che dopo varie peripezie avevano portato Angelo alla diagnosi precisa di “Sindrome di Loi”, acronimo usato dalla vecchia cardiologa del San Paolo per significare “sindrome logorroica orchiclastica ittiopriva”,come amava definire persone con nessuna patologia ma con eccessiva loquela a suo avviso dovuta a mancanza di sesso e tendente a rompere le “scatole” . Sindrome che vedeva come utile terapia Filippo il muratore, unico pretendente di Loredana a cui lo zio tentava di sottoporla. Filippo da parte sua era afflitto da un sintomo più che da una patologia che qualche dotto collega avrebbe definito come “induratio penis”, punta della terapia pensata da Angelo.
Quel giorno i sintomi si erano normalizzati, si trattava di semplici dolori addominali accompagnati da emissioni di feci molli , nausea e vomito precisando la presenza di puntine biancastre nelle suddette feci come “chicchi di riso”, anamnesi che trovò immediato riscontro nella sospensione del pranzo, trascinando Angelo nell’attiguo studio perennemente occupato dai testi,computers, compact disk dei figli che non avevano omesso di lasciare altre chiare tracce della loro presenza come le calze da notte di Francesca e le scarpe di Andrea che avevano quell’odore caratteristico del formaggio mal conservato proprio della plastica di ottima qualità come affermava il figlio, orgoglioso del suo acquisto.
Dopo circa dieci minuti Loredana uscì con una ricetta tra le mani che reggeva come un trofeo e Angelo assunse un’espressione strana sul viso che l’assomigliava all’attore principale di un film di Dario Argento in cui il protagonista aveva appena massacrato la famiglia, compresa una nipote ventenne,all’ora di pranzo! Raggiunse di nuovo il desco quando già la caffettiera borbottava sul fornello emanando un profumo gradevole per le otto del mattino ma piuttosto antipatico per l’olfatto ancora impregnato dal sugo che aveva notevolmente aumentato le secrezioni gastriche di Angelo che solo dopo un primo momento di smarrimento, si era ripreso, da ottimo professionista, dalla descrizione fecaloide dell’amata nipote. Rapidamente finì il riso ormai freddo e le polpette altrettanto fredde con consistenza duro elastica che le assomigliava ,nella forma ma, ormai anche nella sostanza, a palle da tennis.
Le palle erano la maledizione di Angelo!
Dopo pranzo e, congedata la nipote, Angelo staccò il telefono della stanza da letto, spense il cellulare e si sdraiò per un meritato riposo pomeridiano.



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Racconto scritto il 26/05/2015 - 13:36
Da Antonio Gabriele Barca
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