Cemento a destra. Svolta a sinistra. Cemento a sinistra. Svolta a destra. Cemento di fronte, re-tromarcia.
Anche macchine e persone, certo. Ma che ormai sembravano essere state ingoiate da tutto quel cemento.
Quindi si poteva parlare di macchine di cemento e gente di cemento.
Lo stesso Giovanni, oramai, era di cemento. Aveva persino difficoltà a respirare. Ogni tanto dove-va accostare, scendere dall’auto e cercare un posto dove riprendere fiato. Far arrivare ossigeno al cervello. Ed era difficile, perché era come se quest’organo così importante fosse….cementato.
Non è che ti potevi aspettare qualcosa di diverso. Vivendo in una grande metropoli, era inevitabile. E poi Giovanni era……
Bisognava sfruttare ogni metro quadrato a disposizione. Sovvertendo ed aggirando, magari, piani regolatori. Leggi regionali. Buon senso. Si, il buon senso. E chi lo conosceva più. Chi mai si poteva porre una domanda del genere di fronte alle opportunità che si offrivano ricoprendo di cemento per il lungo, per il largo ed in altezza, tutto quanto si poteva ricoprire. Anche le anime delle per-sone.
Giovanni, dentro sta gabbia di calcestruzzo, ci stava sempre peggio. La salute ne risentiva. Gli mancava il fiato. Il cuore batteva all’impazzata. Aveva fatto dei controlli medici: “stress, Giovanni, stress. Fatti qualche giorno di vacanza. E poi riparti. Intanto prendi queste gocce, per quando ti senti proprio a terra.”
Ecco, questo il suo amico dottore gli disse e gli diede. Lui qualche giorno di vacanza se l’era preso. Ma il pensiero di tornare in quel posto, lo faceva impazzire.
Giovanni è arrivato a destinazione. La sua azienda. O meglio, l’azienda per la quale lavora. Accer-chiata anch’essa da cemento. Entra nel suo ufficio . Si lascia andare sulla sedia. Un minuto dopo entra la sua segretaria. Neanche si accorge che Giovanni è pallido e completamente assente. An-che se respira e gli occhi sono aperti. Tanto basta. “Architetto, alle dieci abbiamo appuntamento con quei clienti, ricorda?” “ Si , Rosanna, ricordo.. Che ora è, per cortesia?” “Le nove, architetto” “ Bene. Ora io esco un attimo. Sarò di ritorno in tempo per l’incontro”. “ Ma architetto, dobbiamo mettere a punto le ultime cose. Lo sa che i signori russi avevano chiesto di poter disporre di qual-che metro cubo in più.” “ Si, lo so Rosanna. Non si preoccupi. Cominci pure lei, è così brava. “ Ma architetto…….” “ A dopo Rosanna”.
Scende. Prende la macchina e guida. Direzione laghi. Montagna. Ha deciso. Oggi è stato il suo ulti-mo giorno di lavoro. Qualche spicciolo lo aveva da parte. Avrebbe avvertito poi l’azienda. Per il re-sto, ne era certo, se la sarebbe cavata. L’ossigeno cominciava a tornare al cervello. Niente brividi, come venti minuti prima. Il respiro , ora, era regolare. Il cuore lo assisteva. Ogni volta che aumentava i battiti, era come se stesse urlando: “vattene, scappa, qui ci muori prima di cominciare a vivere sul serio”. Non pensava di essere un vigliacco.
Vigliacco si era sentito quando , anche lui, si schierava con coloro che amavano creare distese di cemento. Saltando, magari, qualche regolamento.
Ecco la montagna. Il lago. Scende dall’auto. Si sdraia sull’erba accanto ad una baita. E guarda il cielo. Ha recuperato tutte le sue funzioni, al cento per cento. Non sarà facile ricominciare, pensa. Ma che importa. Quassù, il cemento, non mi può raggiungere.
Anche macchine e persone, certo. Ma che ormai sembravano essere state ingoiate da tutto quel cemento.
Quindi si poteva parlare di macchine di cemento e gente di cemento.
Lo stesso Giovanni, oramai, era di cemento. Aveva persino difficoltà a respirare. Ogni tanto dove-va accostare, scendere dall’auto e cercare un posto dove riprendere fiato. Far arrivare ossigeno al cervello. Ed era difficile, perché era come se quest’organo così importante fosse….cementato.
Non è che ti potevi aspettare qualcosa di diverso. Vivendo in una grande metropoli, era inevitabile. E poi Giovanni era……
Bisognava sfruttare ogni metro quadrato a disposizione. Sovvertendo ed aggirando, magari, piani regolatori. Leggi regionali. Buon senso. Si, il buon senso. E chi lo conosceva più. Chi mai si poteva porre una domanda del genere di fronte alle opportunità che si offrivano ricoprendo di cemento per il lungo, per il largo ed in altezza, tutto quanto si poteva ricoprire. Anche le anime delle per-sone.
Giovanni, dentro sta gabbia di calcestruzzo, ci stava sempre peggio. La salute ne risentiva. Gli mancava il fiato. Il cuore batteva all’impazzata. Aveva fatto dei controlli medici: “stress, Giovanni, stress. Fatti qualche giorno di vacanza. E poi riparti. Intanto prendi queste gocce, per quando ti senti proprio a terra.”
Ecco, questo il suo amico dottore gli disse e gli diede. Lui qualche giorno di vacanza se l’era preso. Ma il pensiero di tornare in quel posto, lo faceva impazzire.
Giovanni è arrivato a destinazione. La sua azienda. O meglio, l’azienda per la quale lavora. Accer-chiata anch’essa da cemento. Entra nel suo ufficio . Si lascia andare sulla sedia. Un minuto dopo entra la sua segretaria. Neanche si accorge che Giovanni è pallido e completamente assente. An-che se respira e gli occhi sono aperti. Tanto basta. “Architetto, alle dieci abbiamo appuntamento con quei clienti, ricorda?” “ Si , Rosanna, ricordo.. Che ora è, per cortesia?” “Le nove, architetto” “ Bene. Ora io esco un attimo. Sarò di ritorno in tempo per l’incontro”. “ Ma architetto, dobbiamo mettere a punto le ultime cose. Lo sa che i signori russi avevano chiesto di poter disporre di qual-che metro cubo in più.” “ Si, lo so Rosanna. Non si preoccupi. Cominci pure lei, è così brava. “ Ma architetto…….” “ A dopo Rosanna”.
Scende. Prende la macchina e guida. Direzione laghi. Montagna. Ha deciso. Oggi è stato il suo ulti-mo giorno di lavoro. Qualche spicciolo lo aveva da parte. Avrebbe avvertito poi l’azienda. Per il re-sto, ne era certo, se la sarebbe cavata. L’ossigeno cominciava a tornare al cervello. Niente brividi, come venti minuti prima. Il respiro , ora, era regolare. Il cuore lo assisteva. Ogni volta che aumentava i battiti, era come se stesse urlando: “vattene, scappa, qui ci muori prima di cominciare a vivere sul serio”. Non pensava di essere un vigliacco.
Vigliacco si era sentito quando , anche lui, si schierava con coloro che amavano creare distese di cemento. Saltando, magari, qualche regolamento.
Ecco la montagna. Il lago. Scende dall’auto. Si sdraia sull’erba accanto ad una baita. E guarda il cielo. Ha recuperato tutte le sue funzioni, al cento per cento. Non sarà facile ricominciare, pensa. Ma che importa. Quassù, il cemento, non mi può raggiungere.
Racconto scritto il 13/07/2015 - 12:59
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Commenti
Grazie Giuseppe. Provvedo a correggere gli errori. Per i trattini non so. Sul mio file originale, da cui ho copiato il racconto, non erano presenti
Un abbraccio
Gabriele
Un abbraccio
Gabriele
gabriele marcon 13/07/2015 - 19:39
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L'idea è carina e l'impianto narrativo interessante. Dopo un avvio un po' pesante, il racconto decolla, anche grazie ai dialoghi ben strutturati.
Non ho capito quelle parole scisse, divise a metà da un trattino. E ti segnalo che i puntini sospensivi sono sempre tre, solo tre.
Non ho capito quelle parole scisse, divise a metà da un trattino. E ti segnalo che i puntini sospensivi sono sempre tre, solo tre.
Giuseppe Novellino 13/07/2015 - 18:29
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