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Questione di banco

Al funerale siamo stati grandi, la Terza A tutta all'ultimo banco, anzi in piedi, dopo l'ultimo banco in chiesa, da conquistare come a scuola.


Gli altri posti li abbiamo lasciati agli altri perché siamo entrati per ultimi, siamo rimasti accostati lungo il muro della chiesa, in fila per uno, come alle elementari.
Ad un certo punto mi sono sentito un braccio intorno al mio, di una compagna di classe con la quale, in cinque anni di liceo, avremo scambiato dieci parole alla settimana... però li... beh eravamo tutti in sospensione... se non fosse che era per una occasione così direi che meglio, tutti, non ci saremo potuti comportare... meglio che al tempo del liceo... C'è chi fa sempre l'ironico ma l'ho sentito che rompeva il fiato per non scoppiare... nessuno lo ha fatto.
Sobri come era lui.


Quando il sabato mi sono risvegliato dalla piccola pennichella e mi sono messo al computer per cazzeggiare quelli strani messaggi con il ciao che precedeva il nome... ma come, come può essere? Ed era così!
Allora mi sono venuti in mente quei tre anni di liceo, da compagni di banco in classe e di tanti pomeriggi passati a casa sua facendo finta di studiare, perché la grande terrazza sull'attico di via Doveri attirava di più con il suo canestro ad altezza tale, che sembrava di essere come i giocatori veri...
Prima della terrazza, però, c'era da vedere il Giro d'Italia sulla televisione a colori, una rarità nel '79, negli anni del duello tra Saronni e Moser che a maggio non si poteva perdere... insomma tutto valeva per non mettersi a studiare su "Living english structure for School"(se si scriveva così), un piccolo ed orrendo libro arancio pallido di esercizi di inglese del quale si sarebbe fatto volentieri a meno, come di "Aspettando Godot" del quale, furbi come volpi, avevamo comprato la versione italiana per tradurre meglio le pagine che la Neda ci assegnava...
Il teatro era dell'assurdo, ma anche le parole non erano tradotte alla lettera... fallimento!
L'inglese, come il francese, erano gli scogli duri, ma perlomeno il francese ci dette la scusa per la gita scolastica a Parigi di una settimana... "Parigi val sempre una gita". Con lo spettacolo alle "Folies Bergère", molto istruttivo, e la pizza mangiata da sedicenti ristoratori napoletani, dopo giorni di jambon cru e baguette.
Era buona per forza.
Per le lingue, no, ma sul diritto eravamo messi bene, quasi l'orgoglio del Simoni, anche perché lui, figlio di un noto avvocato, partiva avvantaggiato ed anch'io me la cavavo tra i negozi... giuridici.
Ed ad un compito decidemmo di farci male. Una specie di giuramento che non avremo copiato neanche un rigo, cosa invece facilitata dalla vista del buon Simoni, che non arrivava al confine della sua cattedra, per rispetto verso di lui.
Fummo i peggiori di tutta la classe in quel compito, con grande rammarico del professore:
"Da voi mi aspettavo di più.." ci disse.
E noi, la volta dopo, lo accontentammo e ci unimmo, nella copiatura, al resto della classe, con pure i commenti personali...
"Oh,... finalmente vi riconosco..."
Cosa si fa' per fare felice qualcuno... lo facemmo per non deluderlo, per onorare il suo: "Buongiorno ragazzi" che diceva ogni volta all'entrata della sua ora di lezione.


Ciao Piso.
Indimenticabile, come quegli anni.



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Racconto scritto il 13/07/2015 - 13:11
Da Glauco Ballantini
Letta n.1501 volte.
Voto:
su 5 votanti


Commenti


Grazie Coatanza del commento!

Glauco Ballantini 16/07/2015 - 14:50

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Mi piace soprattutto l'ultima parte, una buona idea (oltre che una verità). Anche il parallelismo tra i banchi di scuola e quelli della chiesa mi piace. Complimenti!

Costanza Tassoni 14/07/2015 - 16:01

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@ Giuseppe - Grazie per il commento e per le critiche, cerco di spiegare...
Nella prima frase la prima parola banco fa riferimento al banco scolastico, la seconda al banco della chiesa. mi piaceva il rimando con la considerazione che soggettivamente in chiesa conta più il primo, in classe per i ragazzi l'ultimo.
I puntini è vero che sono eccessivi, ma la spiegazione è che volevo dare la sensazione di sospensione, anche esplicitata "eravamo tutti in sospensione (come i puntini).
Grazie di nuovo.

Glauco Ballantini 14/07/2015 - 08:57

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Il ricordo di un compagno scomparso è un tema delicato, che qui viene trattato in modo personale e con accenti accorati e significativi.
Ti faccio notare le seguenti cose:
1) Nelle prime due righe c'è una ripetizione un po' fastidiosa;
2) nel primo paragrafo, secondo me, ci sono troppi puntini sospensivi;
3) la prosa, in alcuni punti, risulta un po' appesantita, poco fluida.
Comunque si legge con interesse e con piacere.

Giuseppe Novellino 13/07/2015 - 18:48

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