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Il Simbolo del Nulla

Era assurdo, semplicemente senza senso.
Un tempo l’aveva fatta sentire così bene che per un po’ null’altro esistette. Solo lui. Solo loro, mischiati come il sacro e il profano, la notte e il sole, l’amore e l’odio.
Non aveva idea del perché ma se qualcuno glielo avesse chiesto lei avrebbe risposto che con quell’ammasso di muscoli che sembravano montati al contrario, come quando si mette insieme un armadio comprato da poco e a poco prezzo senza guardare il manuale, si sentiva come quella ragazza in un racconto da due soldi che pur di andare avanti a leggere un libro screanzato ed insulso, aveva smesso di dormire la notte, di pensare ai barboni ubriachi durante il viaggio in metropolitana che la portava tutte le mattine al suo monotono lavoro, e perfino di controllare se nella moca il caffè fosse stato bevuto tutto prima di riporlo nel mobile pensile vicino alle tovaglie per gli ospiti.
Le conseguenze erano state le stesse. Ogni cosa era stata macchiata.
La coscienza e la stoffa erano diventate la stessa cosa. Candide quasi del tutto, e quel quasi era una macchia scura e opaca.
Si stava per chiedere chi delle due giovani donne stesse impersonando in quel momento. Poi si riscosse. La coscienza non si macchia di caffè, purtroppo.
E adesso lui si era fatto vivo, di nuovo, quasi per indicarle ancora una volta quali in un cielo di colpe appartenevano a lei. Tutto ciò era assurdo.
Adesso esisteva solo l’odio, la notte e il profano.
Le venne voglia di piangere, come probabilmente venne a quella ragazza quando rinunciò al suo libro perché la stava facendo impazzire. Saggia scelta, le dissero gli altri. Si ritrovò di nuovo ad affrontare una crisi d’identità non capendo se lei era quella del libro oppure quella reale che aveva rinunciato alla sua felicità, a lui, solo perché qualche ignobile voce interna bisognosa di sfogo glielo aveva ordinato. O forse era stato qualcun altro ad obbligarla. Non se lo ricordava nemmeno più. Era un altro di quei ricordi perduti raccattati da chissà chi in chissà quale posto immaginario.
L’aveva anche avvertita una volta, dicendole che se avesse spifferato tutto sarebbero stati guai per entrambi, in entrambi i sensi. Lo avrebbe perso, la sua fonte di gioia e di vita, insieme a tutto quello che nel tempo avevano costruito. Era un muro fragile, troppo come poi si rivelò, costruito da inutili dolci frasi e sentimenti mal celati, ma soprattutto da buche che nessuno dei due si era curato di colmare. Uno scossone e tutto era crollato come se altro non fosse che un castello di carte.
Oltre a ciò avrebbe perso anche la sicurezza. Quella stessa che solo il Simbolo del Nulla sapeva potergli dare.
Questa volta in uno stato di semi-coscienza, scoppiò in una risata isterica, assurda come tutta quella storia si era rivelata essere.
La sicurezza del Simbolo del Nulla era esattamente quello che tutti, grandi e piccoli, ricercavano ossessivamente, per poi rimanere chiusi in una stanza che sapeva con certezza di cosa quel nulla era fatto.
-Di tempo … - sibilò lei- il Nulla è fatto dell’Incanto del Tempo …
Già, del tempo che avrebbe potuto utilizzare meglio anche se in maniera meno fruttuosa.
Ma il tempo era crudele quanto il Simbolo del Nulla. Tutti e due facevano impazzire, anche se qualcuno riusciva a sfuggirgli dalle grinfie,come lei, come la ragazza del libro …
Adesso ebbe la certezza di chi fosse realmente.
La ragazza era stata forte, era fuggita dall’Incanto del Tempo. Lei no, era finita in pieno nella ragnatela del Simbolo del Nulla. E dell’amore.
Si sarebbe potuta riassumere la cosa in una semplice parola: un colpo.
Di fulmine per lui, di una banca per il Simbolo del Nulla, il quale entrambi aveva fatto finire nel Regno del Nulla.
Ricordava solo a spezzoni quello che era accaduto. Quel che mancava, era finito, insieme alle bambole di quando era piccola, nel Luogo del Chissà.
Loro erano smaniosi di aggiungere tanti Simboli del Nulla al conto corrente, tanti zeri.
Lei lo era altrettanto di dire a qualcuno di lui, di loro. Lo fece con una donna, un’amica diventata tale in un solo pomeriggio, che poi si era rivelata una di quelle tipe che al mondo non dovrebbero esistere. Non parlava delle suocere, no. Si riferiva alle donne-sbirro. Le aveva detto qualcosa di troppo, che presto l’aveva fatta finire nel Regno del Nulla, una carcere vera con vere sbarre e veri muri ricoperti di nulla.
Ci era finito pure lui, con una promessa, che un giorno l’avrebbe rivista di persona e allora …
Ma lei non possedeva paura bensì amore, tanto da potersi affogare in una piscina vuota. Anche se non lo fece, perché l’amore non ne è capace.
Quelli che possono farlo sono solo l’Incanto del Tempo e … e il Simbolo del Nulla.
Adesso aveva sia tempo che nulla, e li usava per leggere libri che parlavano di sciocche ragazze che amavano troppo qualcosa o qualcuno, come la ragazza della macchia di caffè.
D’improvviso capì. Lei e lei. Loro. Erano la stessa persona.
Non appena ebbe finito di formulare tal pensiero, si ritrovò, assurdamente, trasformata in parole a coprire un foglio nel quale un attimo prima non esisteva altro che il Nulla.



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Racconto scritto il 29/09/2015 - 00:30
Da Sara Toffaldano
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