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La minigonna

LA MINIGONNA



Manuela Lovati era una ragazza bionda, molto carina, occhi verde mare.
Consapevole della sua bellezza, camminava con un’andatura fiera, sempre un po’ sculettante. Spesso faceva ondeggiare la sua capigliatura dorata, soprattutto quando passava vicino alle persone che dovevano assolutamente accorgersi del suo aspetto attraente, oppure quando girava d’improvviso la testa, interrompendo la comunicazione con qualcuno.
Aveva diciassette anni, uno in più dei sui compagni di classe. Era stata bocciata in prima perché aveva dimostrato poca voglia di studiare. I suoi interessi erano la moda, il ballo, lo shopping e le lunghe passeggiate cittadine in compagnia delle amiche. Andava a scuola per necessità, soprattutto perché lo volevano i genitori. Loro ritenevano opportuno che studiasse e andasse all’università; lei accarezzava il sogno di partecipare al concorso di Miss Italia.
Manuela aveva tanti ammiratori, ma anche gelose rivali. I maschi, intorno a lei, sembravano insetti sul miele.
Anche i professori, a modo loro, non rimanevano insensibili al suo fascino. Il professor Lucidini, per esempio, ostentava una finta noncuranza, evitando perfino di guardarla in faccia durante le interrogazioni; la professoressa Parmigianni l’ammirava con la complicità di una sorella maggiore; l’Adelminelli, invece, la richiamava in continuazione, soprattutto quando la bella ragazza si muoveva con la sua grazia provocatoria. Così, quell’acida docente dimostrava di essere in qualche modo invidiosa.
Ma colui che si comportava nel modo più imprevedibile era Virdichicchi, l’insegnante di scienze naturali. A volte la prendeva in giro per la sua vanità; in altre occasioni le lanciava frecciatine, ma spesso la lodava con ironica galanteria. Insomma, con lui Manuela si sentiva particolarmente a disagio.


-Wow! – fecero in coro Licia Pasotti e Lidia Posatti, quando la videro togliersi il cappottino all’ultima moda.
La bella compagna le ignorò. Spinse indietro i capelli con un aggraziato movimento del capo e appese l’indumento all’attaccapanni.
- Sei un vero schianto! – dichiarò con sincera ammirazione Licia Pasotti.
- Certo che hai del fegato – fece eco la Posatti, gli occhi fissi sulle gambe di Manuela, inguainate in un collant bianco ghiaccio, tessuto in un sottile reticolo che si percepiva solo da vicino.
La ragazza era ormai sulla porta dell’aula e si accingeva a fare il suo trionfale ingresso.
Si girò verso le due compagne e disse in modo scanzonato:
- Questa mattina non trovavo i calzoni adatti, quindi me ne sono guardata bene dall’uscire in mutande.
Entrò nell’aula, seguita dalle due compagne che si scambiavano risatine d’intesa.
Tra esclamazioni e fischi, Manuela andò dritta al suo banco.
Mentre sfilava i libri dallo zainetto e si preparava per la prima lezione, appariva soddisfatta. Accavallò le gambe sotto il banco, attirando automaticamente l’attenzione dei due compagni più vicini.
L’entrata del professor Lucidini mise fine all’incanto.


- Perché ti sei messa la minigonna? – domandò Elena Clementi, la sua vicina di banco, dopo che l’ora di latino fu conclusa. - Sembri pronta per andare in discoteca. Comunque ti sta bene con quel golfino attillato. Non sembri per niente volgare. Hai buon gusto, ma anche del coraggio.
Manuela abbozzò un sorriso ironico.
- E te lo puoi permettere – soggiunse Elena - con quelle gambe che ti ritrovi…
- Ma non è solo questione di gambe – si intromise Luca Furetti, che aveva intercettato la conversazione.
- Che cosa intendi dire? – domandò Manuela. Si aspettava il tipo di risposta. Fissò il ragazzo con provocante civetteria.
Il compagno deglutì e disse d’un fiato:
- I fianchi, le tette, il culo…
Manuela sembrò divertita.
- Sì, voglio dire - si corresse il ragazzo, - la minigonna ti sta bene perché sei fatta bene, non solo nelle gambe.
- Grazie – disse Manuela, sgranando i suoi occhi da bambola.
- Ma non provi fastidio ad essere osservata? – domandò Elena.
- No – rispose lei, guardando in faccia Furetti.
Solo dopo un prolungato silenzio, mentre sosteneva con fierezza lo sguardo del compagno, Manuela si rivolse a Elena:
- Questa mattina non corro alcun pericolo: i ragazzi come Luca sono sinceri e in fondo sono miei complici; il Lucidini non ha visto altro che il suo latino, mentre il Banti è miope come una talpa. E poi, durante le due ore di compito in classe della professoressa Parmigianni, chi avrà il tempo di guardare la mia minigonna?
In quel momento entrò la bidella. Tutti capirono che c’era qualche novità, perché il professore di fisica, Ludovico Banti dagli spessi occhiali con la montatura nera, era fortemente in ritardo.
Con voce da cornacchia, la bidella annunciò:
- Il professor Banti è indisposto. Ha telefonato poco fa in segreteria. Il preside mi manda a dire che salirà al più presto il professor Virdichicchi. Farà lui l’ora di supplenza.
- Si levò, dalla scolaresca, un brusio di compiacimento.
Manuela, invece, sbiancò.


Virdichicchi il brillante, l’ironico, l’imprevedibile.
Quando Manuela lo vide salire in cattedra, si strinse nelle spalle, cercando di nascondere le gambe a ridosso della sedia della compagna seduta nel banco davanti.
Il professore cincischiò a lungo con il registro di classe. Si capiva che stava inseguendo i propri pensieri. A un certo punto disse:
- A quest’ora avreste dovuto sciropparvi il professor Banti, non è vero? Invece passerete un’ora insieme a me.
Si alzò e andò a mettersi davanti alla cattedra, girando lo sguardo in un’ampia panoramica della classe. Soffermò lo sguardo su Manuela, procedette oltre per ritornare subito alla stessa. Nel silenzio generale, la ragazza ebbe la netta sensazione che l’insegnante avesse notato il suo abbigliamento.
Virdichicchi si passò una mano sul mento e disse:
- Miei cari ragazzi, bisogna fare tesoro del tempo in più che ci regala la provvidenza. – Emise un inquietante grugnito e soggiunse: - Direi che sarebbe utile ripassare la classificazione generale del regno animale. – E ignorando il brusio di disappunto: - Prendete un foglio e preparatevi a ricopiare lo schema che Lovati ci farà alla lavagna.
Tutti si girarono di scatto verso la bella compagna.
Manuela si sentì perduta.
Poiché indugiava ad alzarsi, paralizzata dall’improvvisa tensione, Virdichicchi l’apostrofò:
- Beh, la signorina vuole essere accompagnata per mano?
Come un automa, Manuela uscì dal suo banco e si avviò lentamente verso la lavagna. In un silenzio siderale passò davanti al professore e si fermò accanto alla pedana.
- Prego – la invitò Virdichicchi, accompagnando la parola con un gesto di esagerata galanteria.
Manuela ormai non aveva scampo. Salì sulla piattaforma e non poté fare a meno di arrossire, perché si sentiva osservata come una ragazza sul cubo, in discoteca. Ebbe anche la sgradevole sensazione di essere spogliata con gli occhi da almeno i tre quarti della componente maschile.
Da parte del professor Virdichicchi, nulla. Si limitava a incrociare le braccia con aria pensosa.
- Scrivi – ordinò, andando a sedersi in cattedra.
Manuela afferrò un mozzicone di gesso.
L’insegnante cominciò a dettare lo schema del regno animale, ma quando vide che la ragazza aveva scritto le prime parole a metà della nera superficie, le fece notare:
- Se cominci lì, lo schema non ci sta tutto. Non vorrai continuare sulla parete?
- Mi scusi – mormorò la studentessa. Passò il cancellino e tornò a scrivere un po’ più sopra.
- Ma allora non ci capiamo!
- De… devo scrivere ancora più in alto?
- Certamente.
- Qui?
- No, più su.
- Proprio in cima alla lavagna?
- Lo schema che voglio dettare è piuttosto lungo, tiene tutta la superficie.
Manuela deglutì con evidente sforzo. Lanciò una breve occhiata ai compagni, che apparivano immersi in un silenzio carico di aspettativa. “Ommioddio sto diventando rossa” pensò “vorrei nascondere queste mie gambe, o meglio, scomparire del tutto. Virdichicchi mi sta giocando un brutto scherzo. Sento che mi farà fare una figura di merda davanti a tutti” . Poi guardò l’insegnante, che si era lasciato andare contro lo schienale della sedia e si guardava intorno con espressione sorniona.
- La signorina vuole sbrigarsi, oppure intende fare la bella statuina fino alla fine dell’ora?
Manuela si accorse che qualcuno, nell’aula, stava reprimendo una risatina.
“Ebbene” considerò “visto che sono in ballo, mi conviene ballare.
Allora, con un improvviso ed aggraziato movimento del capo, fece ondeggiare la bionda chioma, mise il petto in fuori, tirò un profondo respiro e si eresse sulla punta dei piedi per iniziare a scrivere.
La minigonna, come da copione, si tese e lasciò scoperto l’ultimo tratto di coscia.
Un caloroso applauso si levò dalla parte maschile della scolaresca.
- Oeh! Siamo forse a teatro? – tuonò il professore con falso sdegno, perché si aspettava quella reazione.
Manuela si girò e vide che tutti, anche gran parte delle compagne, la guardavano con simpatia. Poi, rivolta all’insegnante: - Devo continuare?
- Posso continuare io? – si offrì a sorpresa Furetti, che era il più alto della classe.
Virdichicchi fu colpito da quella richiesta come da un pugno in faccia. Osservò lo scolaro con aria un po’ stranita, poi rivolse lo sguardo a Manuela, che stava con il gesso in una mano e l’altra vezzosamente appoggiata su un fianco.
Furetti si dirigeva già alla lavagna.
- Va bene – non poté che dire il professore, con un filo di voce.
Il ragazzo tese la mano alla compagna, e lei gli diede il gessetto, sorridendogli riconoscente.
E così Manuela tornò al posto, camminando sulle sue gambe superbe, sotto lo sguardo complice dei compagni e quello incupito di Virdichicchi, professore di scienze naturali.




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Racconto scritto il 02/10/2015 - 21:24
Da Giuseppe Novellino
Letta n.2316 volte.
Voto:
su 7 votanti


Commenti


Davvero fresco questo racconto anche se, gusto personale, non avrei permesso a Furetti di interrompere. L'insegnante poteva ben dire di no, concludendo che la Lovati aveva il palcoscenico...

Glauco Ballantini 04/10/2015 - 09:46

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