Caro Hank, oggi ho deciso di scriverti di quando, due giorni fa, ho visto un cane. Era una cane randagio magro e tremolante, sembrava un ammasso di foglie secche pronto ad essere trascinato e sparpagliato qua e là dal vento. Il corpo denutrito ammantato dal pelo nero, le zampette anche esse magre che tremolano continuamente come uno storno che non riesce a volare, i peletti canuti sul muso umido; tutto questo, mio caro Hank, mi ha fatto pensare a te e alle tue miserie, miserie che in fondo sono anche mie. Questo cane però aveva qualcosa di diverso, e mentre accarezzavo i suo cranio ossuto ho visto i suoi occhi. Ah! Quegli occhi neri e grondanti di malinconia; lì dentro ho visto il mio cuore. Allora ho pensato che chissà se qualcuno accarezzerà me come io accarezzo questo cane, senza curarsi delle pulci e del pelo sporco. "Grida quando bruci" tu, caro Hank, dicevi. Forse devo imparare a fare urlare le mie parole, anch'io brucio come te, ma non urlo. Come questo cane zoppo e orgoglioso sono anch'io. Hank vorrei urlare, ma qualcosa mi trattiene, forse temo di svegliare le cicale che si riposano per la notte, forse ho paura che le mie urla suscitino l'ilarità di quelli che mi stanno intorno, che cosa orribile sarebbe... Forse non riesco a urlare perché le mie corde vocali sono logore. "Grida quando bruci" tu dicevi, caro Hank Camus brucia, brucia questo cane e brucio anch'io, anche se appena un gemito si diffonde nell'aria, appena uno sguardo.
Tanti saluti. Antonio.
Racconto scritto il 16/10/2015 - 22:04
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