LA ROTELLA
“E questo cos’è? Perché ha la rotella?” chiese la bambina troppo pulita per i nostri gusti, dentro un abitino rosa fatto di volants che sembrava una bomboniera, con scarpette e calzini immacolati come noi non riuscimmo a tenere neanche nel giorno della Prima Comunione e con i capelli biondi come il grano e lucidi come la seta raccolti in una ordinata coda, stretta da un inamidato fiocco di nastro violetto.
La bambina, ci dissero i grandi, era una parente venuta da lontano, da Trieste, una città che essendo noi in seconda elementare, non avevamo ancora individuato su una cartina geografica. A noi tutte le località sembravano lontane, se poi si parlava del Continente erano proprio fuori dal mondo.
La nostra parente ci guardava in attesa di una risposta alla sua curiosa domanda.
Io, mio fratello ed i miei cugini pigramente sdraiati sul muretto della porcilaia, luridi come i suoi occupanti dopo lo scorrazzare in campagna, la guardammo ed in cuor nostro avemmo la conferma che sì, veniva proprio da un altro mondo.
“Un maiale è!!” rispondemmo in coro, e lei felice per la nuova scoperta corse dalla madre strillando “Mamma, mamma vieni, lì c’è un animale con la rotella!”
La sua scoperta meritava un nome e siccome il maiale ne era sprovvisto decise di chiamarlo Giovannone, essendo di proprietà di Giovanni, mio nonno.
Per mesi chiamammo il suino con il suo nome, il cui destino però non sarebbe stato diverso dagli altri rimasti senza nome: sarebbe diventato succulente braciole, salsicce e prosciutti.
Naturalmente alla nostra parente facemmo fare il giro delle diverse sale di quel ricco museo: la stalla, dove si spaventò per le dimensioni degli occhi delle mucche ed il pollaio dove le offrimmo un uovo appena deposto come spuntino.
Siamo cresciuti, ci siamo persi di vista, ma che io sappia la bionda parente non è più tornata a casa dei miei nonni. Forse neanche in Sardegna.
Alle porte dell’inverno i grandi si consultarono per decidere una data per fare la festa a Giovannone; la giornata in genere era di sabato, perché mentre le donne della mia famiglia facevano le casalinghe, gli uomini avendo impegni di lavoro erano liberi il sabato e la domenica.
Per noi bambini la festa iniziava dal venerdi pomeriggio, quando iniziavamo ad invadere la grande casa colonica dei nostri nonni e la borgata, unendoci ai giovanissimi abitanti nei giochi e nei litigi. Ogni tanto ci procuravamo qualche ferita su cui mia nonna spruzzava una polverina miracolosa da un contenitore di plastica beige e che ci faceva dimenticare il sangue perso ed il dolore.
Il sabato mattina, giorno dell’evento, ci svegliava il profumo del caffè e l’aroma inconfondibile delle frittelle che mia nonna preparava dall’alba per offrire la colazione a tutta la numerosa famiglia. Non è mai stata una grande cuoca, ma con le frittelle avrebbe vinto qualsiasi sfida e nessuna delle figlie è riuscita ad apprenderne i segreti, compresa mia madre.
Fatta la gustosa colazione e strofinate le manine sul maglione ci fiondavamo fuori, pronti ad affrontare il mondo.
Sorvolerò, per non urtare la sensibilità dei lettori, i passaggi ed i gesti che gli uomini compivano entrando nella porcilaia per poi uscirne con il predestinato.
Ma chi ha avuto a che fare con la vita di campagna e con queste situazioni, sa cosa sto tacendo.
Ricordo che mentre noi, piccoli curiosi incoscienti, seguivamo gli adulti, mia sorella, adolescente ipersensibile si ritirava a piangere davanti al caminetto, tappandosi le orecchie con le mani, anche se a pensarci bene non l’ho mai vista piangere davanti ad una braciola o ad una salsiccia arrostita.
Io sarei diventata consapevole ipocrita qualche anno più tardi, quando avrei capito l’entità delle sofferenze procurate ai poveri animali. Ipocrita, perché nonostante l’avvento di questa sensibilità non sono diventata vegetariana.
Come quando si faceva il pane, il giorno in cui si ammazzava il maiale era una giornata memorabile per tutti: per noi piccole pesti, libere di correre, di gridare e di scoprire e per gli adulti che avevano occasione di raccontarsi, di spettegolare e di stancarsi.
Qualcuno non c’è più, un appartamento ha preso il posto della porcilaia e la fitta rete familiare si è un po’ smagliata, ma quando ci incontriamo ricordiamo con piacere e con tante risate certi eventi e spesso ridendo fino alle lacrime capiamo che oggi ci manca qualcuno e qualcosa. Forse anche qualche rotella!
La bambina, ci dissero i grandi, era una parente venuta da lontano, da Trieste, una città che essendo noi in seconda elementare, non avevamo ancora individuato su una cartina geografica. A noi tutte le località sembravano lontane, se poi si parlava del Continente erano proprio fuori dal mondo.
La nostra parente ci guardava in attesa di una risposta alla sua curiosa domanda.
Io, mio fratello ed i miei cugini pigramente sdraiati sul muretto della porcilaia, luridi come i suoi occupanti dopo lo scorrazzare in campagna, la guardammo ed in cuor nostro avemmo la conferma che sì, veniva proprio da un altro mondo.
“Un maiale è!!” rispondemmo in coro, e lei felice per la nuova scoperta corse dalla madre strillando “Mamma, mamma vieni, lì c’è un animale con la rotella!”
La sua scoperta meritava un nome e siccome il maiale ne era sprovvisto decise di chiamarlo Giovannone, essendo di proprietà di Giovanni, mio nonno.
Per mesi chiamammo il suino con il suo nome, il cui destino però non sarebbe stato diverso dagli altri rimasti senza nome: sarebbe diventato succulente braciole, salsicce e prosciutti.
Naturalmente alla nostra parente facemmo fare il giro delle diverse sale di quel ricco museo: la stalla, dove si spaventò per le dimensioni degli occhi delle mucche ed il pollaio dove le offrimmo un uovo appena deposto come spuntino.
Siamo cresciuti, ci siamo persi di vista, ma che io sappia la bionda parente non è più tornata a casa dei miei nonni. Forse neanche in Sardegna.
Alle porte dell’inverno i grandi si consultarono per decidere una data per fare la festa a Giovannone; la giornata in genere era di sabato, perché mentre le donne della mia famiglia facevano le casalinghe, gli uomini avendo impegni di lavoro erano liberi il sabato e la domenica.
Per noi bambini la festa iniziava dal venerdi pomeriggio, quando iniziavamo ad invadere la grande casa colonica dei nostri nonni e la borgata, unendoci ai giovanissimi abitanti nei giochi e nei litigi. Ogni tanto ci procuravamo qualche ferita su cui mia nonna spruzzava una polverina miracolosa da un contenitore di plastica beige e che ci faceva dimenticare il sangue perso ed il dolore.
Il sabato mattina, giorno dell’evento, ci svegliava il profumo del caffè e l’aroma inconfondibile delle frittelle che mia nonna preparava dall’alba per offrire la colazione a tutta la numerosa famiglia. Non è mai stata una grande cuoca, ma con le frittelle avrebbe vinto qualsiasi sfida e nessuna delle figlie è riuscita ad apprenderne i segreti, compresa mia madre.
Fatta la gustosa colazione e strofinate le manine sul maglione ci fiondavamo fuori, pronti ad affrontare il mondo.
Sorvolerò, per non urtare la sensibilità dei lettori, i passaggi ed i gesti che gli uomini compivano entrando nella porcilaia per poi uscirne con il predestinato.
Ma chi ha avuto a che fare con la vita di campagna e con queste situazioni, sa cosa sto tacendo.
Ricordo che mentre noi, piccoli curiosi incoscienti, seguivamo gli adulti, mia sorella, adolescente ipersensibile si ritirava a piangere davanti al caminetto, tappandosi le orecchie con le mani, anche se a pensarci bene non l’ho mai vista piangere davanti ad una braciola o ad una salsiccia arrostita.
Io sarei diventata consapevole ipocrita qualche anno più tardi, quando avrei capito l’entità delle sofferenze procurate ai poveri animali. Ipocrita, perché nonostante l’avvento di questa sensibilità non sono diventata vegetariana.
Come quando si faceva il pane, il giorno in cui si ammazzava il maiale era una giornata memorabile per tutti: per noi piccole pesti, libere di correre, di gridare e di scoprire e per gli adulti che avevano occasione di raccontarsi, di spettegolare e di stancarsi.
Qualcuno non c’è più, un appartamento ha preso il posto della porcilaia e la fitta rete familiare si è un po’ smagliata, ma quando ci incontriamo ricordiamo con piacere e con tante risate certi eventi e spesso ridendo fino alle lacrime capiamo che oggi ci manca qualcuno e qualcosa. Forse anche qualche rotella!
Millina Spina, 21 Ottobre 2015
Racconto scritto il 21/10/2015 - 22:26
Letta n.1349 volte.
Voto: | su 8 votanti |
Commenti
Grazie di cuore m c.
Sono felice del tuo graditissimo commento ed onorata per le emozioni e sensazioni che ho saputo suscitare in te.
Buona giornata!
Sono felice del tuo graditissimo commento ed onorata per le emozioni e sensazioni che ho saputo suscitare in te.
Buona giornata!
Millina Spina 02/12/2015 - 12:09
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Mi hai fatto tornare alla mente i quattro anni trascorsi nel Vermont negli anni 40/44
Un brano scritto veramente bene e sapere di condividere impressioni e sensazioni particolarissime, indimenticabili, mi ha fatto maggiormente godere di ogni riga.
Un brano scritto veramente bene e sapere di condividere impressioni e sensazioni particolarissime, indimenticabili, mi ha fatto maggiormente godere di ogni riga.
m c 02/12/2015 - 10:47
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Carissima Maria, sei sempre così presente ed attenta che stavo per bussarti alla porta e chiederti il motivo della tua assenza! Scherzo naturalmente! Ma non posso che essere felice del tuo costante passaggio e delle parole che esprimi con affetto e dolcezza.
Doppio grazie per i tuoi apprezzamenti.
Buona giornata!
Doppio grazie per i tuoi apprezzamenti.
Buona giornata!
Millina Spina 23/10/2015 - 11:06
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Grazie infinite Donato per l'attenzione e l'apprezzamento al mio nostalgico racconto.
Buona giornata!
Buona giornata!
Millina Spina 23/10/2015 - 11:02
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Tu sei davvero molto dolce nello scrivere i racconti..Mi piace questo tuo modo di catapultarci nei ricordi di questo tuo racconto... Complimenti Millina cara..... Senti faccio i complimenti anche a te per la tua scrittura screativa.. Ho letto sai.. davvero brava.. purtroppo da quella pagina non riesco a mandare i miei commenti.. c'è qualcosa che non va sul mio pannello personale.. e quindi perdonami se non mi trovi tra coloro che ti commentano.. ora ne conosci il motivo.. Ti abbraccio forte mia cara ciao.
Maria Cimino 23/10/2015 - 00:11
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Un racconto dall'anima dolce, con un po' di nostalgia dei bei ricordi. Molto bello complimenti.
donato mineccia 22/10/2015 - 19:02
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Grazie infinite Rocco per la presenza costante.
E' uno spaccato di vita vissuta da bambina ed i fili che mi legano a quel felice e spensierato passato tessono il mio presente fatto di sogni e di ricordi.
Grazie con il cuore!!
E' uno spaccato di vita vissuta da bambina ed i fili che mi legano a quel felice e spensierato passato tessono il mio presente fatto di sogni e di ricordi.
Grazie con il cuore!!
Millina Spina 22/10/2015 - 18:14
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Un ricordo che ritornerà sempre nella mente. La nostalgia non è sinonimo di oblio. Piacevole racconto costrutto con dedizione. Il mio lieto meriggio.
Rocco Michele LETTINI 22/10/2015 - 15:18
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Arcangelo caro, ebbene sì, è come sfogliare un album di fotografie e ricordare, ridere di certi ricordi impressi indelebilmente nel cuore e talvolta riderne fino alle lacrime che si fondono in un misto di simpatia e tanta, tanta nostalgia per quelle persone che non ci sono più e che tanto hanno dato e per tutte quelle situazioni che la vita moderna ha allontanato dalle nostre giornate.
Ma è bello ricordare gli eventi del passato pensando a quanto eravamo matti!
Buona giornata, caro!
Ma è bello ricordare gli eventi del passato pensando a quanto eravamo matti!
Buona giornata, caro!
Millina Spina 22/10/2015 - 11:09
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Grazie Glauco per il tuo commento.
Il sacrificio del maiale è tuttora, per chi ancora lo alleva, occasione di ritrovo con parenti ed amici. Che io ricordi Giovannone fu l'unico ad avere un nome, grazie alla bambina "continentale": gli altri li mangiammo con gustosa, perfida indifferenza.
Ciao!
Il sacrificio del maiale è tuttora, per chi ancora lo alleva, occasione di ritrovo con parenti ed amici. Che io ricordi Giovannone fu l'unico ad avere un nome, grazie alla bambina "continentale": gli altri li mangiammo con gustosa, perfida indifferenza.
Ciao!
Millina Spina 22/10/2015 - 11:02
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Dolcissimi ricordi di vita agreste che hai saputo trasmettere al cuore del lettore, cara Millina. Sono attimi che ben rimangono impressi nella mente perché fanno parte della stessa esistenza e fanno, a volte sorridere, a volte piangere, come quando ci apprestiamo a sfogliare un album di fotografie. E più ci pensiamo, più ci accorgiamo, ancora oggi, che qualcosa ci manca, forse anche "qualche rotella". Complimenti sinceri per la pubblicazione. Brava, come sempre!
Arcangelo Galante 22/10/2015 - 10:48
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Questo racconto mi ricorda un film di Ermanno Olmi "L'albero degli zoccoli" con le immagini del sacrificio del maiale. In "Croniche Epafaniche" gi Guccini si dice invece che non veniva mai dato il nome ai maiali proprio perchè si sapeva come finiva...
Glauco Ballantini 22/10/2015 - 10:19
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