Le storie della sera
– Perché raccontare favole rappresenta un momento di particolare intimità tra paperottole come te e vecchie persone come me che vogliono rimanere nei loro ricordi.
– Tu non sei vecchio
– Lo sono piccola, fisicamente sono vecchio, ma sono le persone come me che riescono a creare quello straordinario momento che acquista una grandissima importanza per tutti e due. Per me è l'occasione per fare due chiacchiere con il mio più grande amore… per te è il momento di gustare quella tranquillità che hai atteso per tutto il giorno e entrare in una galassia in cui principi, fate e streghe, gnomi e piccoli maghi, spalancano l'universo della fantasia…
– E’ vero nonno, ma tu cosa ci guadagni a perdere il sonno con me?
– Ah ah ah... sei esattamente come tua madre, cercate per prima cosa l'interesse… non è vero che ci perda del sonno… anzi mi rende felice e poi per me è un ritorno alle origini, al tempo della mia infanzia…
– Non immaginavo fosse così… ho sempre pensato che le fiabe servissero a far addormentare i bambini…
– Beh non nego che a volte sia quello il fine, sei ancora troppo piccina per comprendere certi meccanismi, ma non ti sto ingannando
– Ti andrebbe di raccontarmi una favola?
– Sei una furbacchiona, non hai sentito cosa ha tetto tua madre? Domani sveglia presto per andare ad accompagnare tuo padre all’aeroporto… e poi credo di avere esaurito tutte quelle che conoscevo
– No, ti prego… inventane una per me
– Va bene, forse ne ho ancora un'altra, ma questa non è una storia inventata e spero possa piacerti
– Che bello… dai non ti trastullare!
– «Questa è la storia di un ragazzo non troppo fortunato, ma di cui non ti dirò il nome. Un bimbetto che aveva perso la mamma prima ancora che potesse capire cosa avesse perduto. Visse con il papà, una brava persona, ma che poteva offrirgli molto poco del suo tempo, e quella mancanza, senza che nessuno potesse accorgersene, segnò l'animo del ragazzo poiché in pochissimo tempo gli vennero a mancare ambedue i punti di riferimento su cui era basata la sua giovane vita. Fin dalla sua fanciullezza un'innaturale calma apparente lo distinse dagli altri ragazzi della sua età. Era un bel ragazzo, forte, ordinato, ma molto silenzioso, praticamente non aveva amici, ma non si rifiutava mai di dare una mano agli altri. Soltanto una cosa gli faceva difetto, l’assoluta incapacità di fondersi con ciò che lo circondava. Preferiva disertare la realtà e le amicizie, per vagare in un mondo ricco di quei sogni e di quegli affetti che gli erano sempre stati negati, limitandosi a chiedere qualcosa da mangiare quando non riuscirà a procurarsene. Non era un cattivo ragazzo, era soltanto molto timido e soprattutto molto orgoglioso. La vita lo spaventava ed egli si rifugiava in quel suo mondo di sogni, rinunciando così a ciò che gli sarebbe spettato. Tuttavia, anche coloro che inizialmente lo aiutarono, pian piano lasciarono che percorresse da solo la sua strada… e un brutto giorno, la morte del padre lo spinse ad allontanarsi dal suo paese in cerca di qualcosa che non trovò mai. E così attorno a lui il vuoto divenne sempre più ampio. Per un po' di tempo visse come un randagio assieme ad un cagnolino che aveva trovato per la strada, ma poi accadde che fu preso da alcune persone che gli fecero molto male fin quando non riuscì a fuggire nascondendosi a tutti... Aveva pressappoco la tua età quando si trovò solo a dover dare un senso alla propria vita, e non riuscì a farcela con le sue sole forze. Un giorno fù trovato quasi agonizzante per la strada. Alcune persone caritatevoli lo portarono nella loro casa e lo curarono… furono in molti ad incoraggiarlo ed aiutarlo, ma lui non era capace di stare con gli altri e soprattutto il suo orgoglio gli impediva di chiedere un aiuto. Man mano che la malattia si fece più grave, egli comprese che non ce l'avrebbe fatta... Il suo cuore soffrì più del suo corpo per quella sofferenza, e ad un certo punto non volle più vivere mettendo perfino in pericolo la sua vita. Fu salvato ancora una volta e trascorse lunghissimi giorni in sofferenze, ma alla fine la sua forte fibra riuscì a sconfiggere il male e questo accadde proprio quando nell’aria s’iniziava a sentire il tepore della primavera. Le prime immagini che lo riaccostarono alla vita furono gli oggetti noti della sua stanza, lo specchio, il tavolo, la sedia all’angolo, il lavabo, ma soprattutto quel vaso sulla mensola di legno posta di fianco la finestra. Durante i lunghissimi silenzi delle giornate d’inverno, quando la malattia lo aveva maggiormente tormentato, il suo sguardo si era posato spesso su quella mensola dove erano stati dimenticati alcuni vasi, da cui si ergeranno pochi sterpetti senza vita. Con l’avanzare della buona stagione le giornate si fecero man mano più lunghe e luminose e un giorno, quando l’aria si era fatta più tiepida, benché su quei vasi non giungesse nemmeno un raggio di sole, il ragazzo iniziò a vedere alcune foglioline spuntare e ricoprire come una peluria di velluto quei tristi sterpetti. Da quel giorno egli seguì con trepidazione la lotta che quell’esile piantina combatteva, giorno dopo giorno, per sopravvi¬vere e quando una mattina aprendo gli occhi vide alcune di quelle foglioline intristire e qualche rametto accasciarsi ingiallendo di morte precoce, ne provò una tale pena da sentirsene male. In lui nacque forte il desiderio di fare qualcosa per aiutarla, magari spostandola dove il sole avrebbe potuto darle vigore, ma le sue forze non gli permisero di scendere dal letto. Pianse per la sorte av¬versa che aveva colpito la sua compagna, e fu così grande il dolore per quella perdita, che il male riprese vigore facendolo scivolare in un lungo delirio comatoso. Trascorsero molti altri giorni e quando ormai anche i medici cominciavano a perdere la speranza di vederlo guarire, il ragazzo riaprì gli occhi. La prima cosa che volle fare fu di voltarsi verso la finestra per salutare la sua compagna, ma purtroppo l’irruenza luminosa del sole lo costrinse a chiudere gli occhi. In quei pochi istanti mille pensieri affollarono la sua mente moltiplicando l’ansia, e quando finalmente trovò il coraggio per riaprirli e vide che alcune coraggiose foglioline della sua compagna, in uno sforzo poderoso erano riuscite a lambire la parete e guizzare oltre il legno antico della finestra, per affacciarsi ridenti verso il sole, egli proruppe in un alto grido di gioia. Con quel poco di forze che erano tornate si alzò dal letto e con fatica raggiunse la finestra. Versò nel vaso una piccola quantità d'acqua e poi tornò sfinito nel letto. Nella solitudine dei pigri giorni della convalescenza, il ragazzo osservò con paziente curiosità la lotta che la piantina sostenne per la conquista della luce e del sole. E allora anche lui volle vivere. Da quel momento iniziò a combattere per conquistare la sua parte di sole, e quando guarì completamente, prima di uscire dalla stanza, si accostò ad accarezzare la piantina vittoriosa.»
– Nonno mi hai fatto piangere
– Mi dispiace tesoro, non era quella la mia intenzione
– Dimmi come andò a finire la storia
– Finì bene, anzi finì molto bene, perché quella piccola pianta mi rivelò finalmente il valore della vita, m'insegnò che anche per me, solo che lo avessi voluto, fuori, nella lotta, ci sarebbe stata la luce e una mano pronta ad aiutarmi.
– Nonno! Tu eri quel bambino!
– Si, ti ho raccontato una piccola parte della mia vita
– Oddio… ora mi metto a piangere di nuovo… non puoi farmi questo!
Ti prego nonno abbracciami!
(Tratto da Le storie della sera di Mcb)
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