Buon Natale papà
Dalla finestra della mia stanza d'ospedale osservo gente che si muove, saluta.
I bambini fanno più chiasso del solito, li osservo incantato domandandomi se anch'io ero così.
Chissà, forse è lo spirito del Natale a confondere anche me e magari ti scrivo una lettera.
E dire che più di una volta ho provato l'impulso di farlo senza tuttavia trovare mai una giustificazione che fosse in grado di battere il mio orgoglio.
Tu cosa ne dici? Non sarebbe stupendo se un giorno il nostro spirito (tu lo chiami anima) riuscisse a comunicare con il cervello? Te lo immagini? Chissà quanti dei mali che da sempre affliggono l'umanità svanirebbero come nebbia ai primi raggi di un nuovo sole.
Utopia, semplice concezione di un'idea non suscettibile di realizzazione. Ma cosa vuoi farci, mi conosci, io sono un oggetto misterioso perfino per me stesso.
Dunque, perché ti scrivo?
L'ho già detto, non lo so, però giacché lo sto facendo, lascia che almeno questa volta possa parlarti con il cuore in mano (È pazzesco, te lo immagini tuo figlio con il cuore in mano? Dio come sono cambiato!).
Tu sai quanto poco creda in quell'intima forza (Tanto cara a Socrate) responsabile della capacità di dialogare. Tu conosci bene il mio pensiero; io non credo che quella forza esista e sebbene a volte essa compaia, manifestandosi in alcuni individui, sono certo che non possa trattarsi d’altro che di pura e semplice necessità fisiologica.
Ad ogni modo questa volta non ho l'intenzione di entrare in competizione con te, no, questa volta voglio capire, magari denudandomi ed entrare nel tuo mondo indossando le vesti dell'ortodossia comune.
Per una volta almeno vorrei mettere alla prova quello che tu definisci “il comune senso del normale”.
Resta pure tranquillo, non tenterò di barare come ho fatto le altre volte, no, non lo farò, ma almeno lascia che trovi il modo meno doloroso per dirti ciò che sta accadendo in me e che da un po’ di tempo mi pesa terribilmente.
Però ti prego, non credere che io possa essere cambiato più di tanto, no, questo non è vero, anzi, è vero il contrario, continuo ad essere certo che gli anormali siate tu e gli altri, voi che avete negato a gente come me il diritto di esistere, che avete fatto del vostro modello la regola universale.
Noi non siamo diversi, siamo soltanto uomini e donne dotati di sentimenti differenti, forse un po' trasgressivi, se vuoi, ribelli che preferiscono seguire quello spirito che la natura ha imposto loro, gente perennemente alla ricerca della propria identità, ma pur sempre dotata di un cuore, di qualche litro di sangue, di cervello quanto basta, di gambe e braccia più o meno simili alle vostre e come voi con tanta necessità di dare e ricevere amore.
Chi sono io?
È una domanda che da troppo tempo mi angoscia e alla quale non ho mai saputo dare una risposta onesta, ma se ciò che sento in me è vero, allora sono tuo figlio.
Va bene, analizziamo prima cosa sei tu. (Mi sembra giusto se voglio concludere l'analisi su me stesso)
Tu sei esattamente quello che io non sono mai stato, l’uomo che da bambino ho amato più di me stesso e odiato con tutta la mia intelligenza.
Ricordi la tua vecchia storiella sui giovani che non hanno le palle per vivere come uomini? Troppe volte ho dovuto ascoltarla, tu eri convinto che avremmo dovuto vivere la vita di cinquanta o cento anni fa per comprendere cos’è veramente un uomo.
Bene! E allora facciamola questa prova e chissà che non accada che noi; quei quattro pezzenti che vivono al di là del fosso che voi avete scavato, non riescano a modificare qualcosa di essenziale e magari riuscire a rendere migliore il nostro secolo, compresi noi.
Ti prego, non saltare in piedi e soprattutto non cominciare a smadonnare, ricordati dove ti trovi. Proprio non ce la fai ad ascoltarmi? Su, fa il bravo, torna a sedere e per una volta concedimi la possibilità di aprirti il mio cuore, ma tu non fare il fesso, guardaci dentro, ti prego, è il cuore di tuo figlio. Provaci, non chiuderti ancora, io come vedi lo sto facendo, ci sto provando.
Dunque, ti sei calmato? Bene! Allora riprendiamo,
Tu chi sei?
Sei mio padre e non il peggiore degli uomini, no, tu sei un uomo del tuo tempo che non può (Non ho detto che non vuole) comprendere ciò che evidentemente non corrisponde ad alcuna misura del tuo metro.
Ma porco mondo! Almeno questa volta vuoi chiuderlo quel benedetto (o maledetto) metro. Riponilo nel profondo di una delle tue tasche e prova a seguirmi, magari prendendomi per mano come facevi quand'ero piccino, quando ancora nulla ci divideva e tu eri il mio destriero, il mio gigante buono.
So bene d'aver deluso ogni tua aspettativa, non sono stato quel figlio che avresti desiderato io fossi.
E' vero, non ho mai avuto voglia di studiare, però l'ho fatto e sai perché? Per capire se avessi ragione tu.
Non mi piaceva stare in casa, ma l'ho fatto per capire dove fosse la differenza.
Detestavo lavorare, ma l'ho fatto per comprendere perché non mi piacesse.
Non amavo le tue regole, ma le ho rispettate fin quando ho potuto, per comprendere quanta ipocrisia vi fosse e questo è stato il mio errore, poiché gli uomini non conoscono né la giustizia né l’amore.
Ho detto di voler scrivere con il cuore in mano, però mi accorgo che sto bagnando il foglio su cui scrivo. Sto piangendo e cosa strana non me ne vergogno.
Questa volta l’ho fatta grossa e credo d’essere proprio nei guai, i medici dicono che mi rimane poco da vivere, me lo hanno comunicato senza nemmeno tentare un piccolo conforto, però non m’importa, non m’importa più di nulla, ormai è da tanto che mi sento come morto, forse è dal giorno che tu m’imponesti di lasciare la tua casa, ricordi?
Che grande litigata quella volta e tutto a causa dei nostri caratteracci.
Ne è passata d’acqua sotto i ponti, ma quel dolore, quel maledetto giorno, non è più uscito dal mio cuore e mi fa ancora un male del diavolo.
Oh, ma non temere, vedrai che riuscirò a terminarla questa lettera e quando la riceverai, di me sarà rimasta soltanto un'immagine scattata tanti anni fa, quando pretendevi d’insegnarmi a cacciare, ricordi?
Neppure su quello eravamo d'accordo, tu dicevi che un uomo non è uomo se non sa cacciare, ed io ti accusavo di non capire la natura.
Ricordi le nostre interminabili partite a pallone sul prato dietro casa? E la volta che distrussi la tua bici?
Quella volta ero veramente infuriato con te, mi avevi negato il permesso di andare in gita con gli amici, ed io ero troppo stupido per comprendere che era soltanto un problema economico. Che pazzo fui, ma ero talmente carico di rabbia che volli credere che lo avessi fatto per punirmi e cercai la vendetta.
Di quel danno non ho mai voluto chiederti scusa, neppure quando compresi il mio errore.
Dio quanto tempo abbiamo perduto a rinfacciarci ogni gesto, ogni parola pronunciata in balia della nostra follia, troppo!
Però non rimpiango nulla di quella che è stata la mia vita, tu compreso. Sì, è così, il tuo ricordo è stata la mia rabbia, l'ombra che mi ha seguito ovunque e dovunque abbia calcato il piede quell'ombra mi ha spronato dandomi il coraggio per non arrendermi. Volevo dimostrarti di valere qualcosa, però sono riuscito soltanto a dare una mano a chi stava peggio di me.
In Bosnia non è stato facile, ma ti giuro d’aver fatto quanto la mia coscienza ha preteso da me, ed è lì che ho scoperto di averle quelle palle, lo leggesti sui giornali immagino. Però, quando rientrai in Italia, sul ponte della nave, assieme a tanti altri ragazzi che salutavano c’ero anch’io, tuo figlio, un ragazzo che non aveva nessuno da salutare. Sapessi quanto ho pregato di vederti tra quella gente, avevo bisogno del tuo conforto.
Mio Dio, ma perché non sei mai venuto a cercarmi? Perché non l'hai fatto? Sapessi quante notti ho sperato di udirti urlare sotto la finestra per dirmene quattro, e quante volte mi sono affacciato immaginando ciò che avrei risposto.
Perché non sei mai venuto?
Caro papà,
ecco, avrei voluto iniziare la lettera con queste due parole, ma non ero certo che sarei riuscito a scriverle. Sapessi com'è strano leggerle, mormorarle a bassa voce assaporandone il senso. Avevo dimenticato quanta magia sanno scatenare.
Che bestia sono stato a lasciar cadere in mare queste emozioni. Giuro che se mi fosse concessa un'altra opportunità saprei rinunziare a tutto, ma non a te.
Scommetto che stai credendo ch’io sia in pieno delirio, vero?
Forse, ma ormai non potrò più farti incavolare e tu non potrai più dirmene di tutti i colori e questo è un vero peccato.
Sapessi com'eri buffo e terribile quando mi rincorrevi lungo il viottolo dell'orto.
Tu conosci il mio pensiero; non ho mai creduto che possa esserci una vita che segua la morte, ma mi auguro d'aver commesso un errore e ci sia data la possibilità di tornare sul quel prato dietro casa per dare ancora due calci al pallone.
Non badare alla mia calligrafia, ho la mano stanca e attorno a me tutto si muove danzando. Il tempo che m'è rimasto sta volando via troppo in fretta, ed io avrei ancora tante cose da dirti. Ma prima di porre un punto desidero confessarti ciò che più mi preme; ora so perché ho provato il desiderio di scriverti, ho voluto chiederti scusa papà e confessarti che ti ho sempre avuto nel cuore.
Bene! Ora credo sia giunto il momento di mettere quel punto.
Chiuderò questa lettera e sulla busta scriverò semplicemente “A mio padre”, sperando che qualcuno comprenda e la deponga sulla tua tomba come un mazzo di fiori, quei fiori che in tanti anni non ho mai saputo offrirti.
Ciao papà, buon Natale e ovunque tu sia, resta li, non te ne andare, tuo figlio sta arrivando, tra poco potremo riabbracciarci in qualche posto dove saremo tutti uguali.
Tuo figlio Massimo
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