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L'ultimo di loro

La sera scende in fretta a dicembre. In ufficio, davanti al computer, gli occhi si sono stancati. Li stropiccio e, quando li riapro, mi accorgo che l’oscurità ha riempito la stanza. Torno a guardare il monitor sbattendo le palpebre per la luminosità. Le 17.30. Avrei concluso il servizio ma ho ancora qualche dato da inserire. Dove ero rimasta? Il PC dà un messaggio di errore. Impreco ad alta voce accorgendomi di non aver salvato. D’un tratto il monitor si fa più luminoso mentre mi avverte che si è verificato un problema e che il programma verrà chiuso. Resto lì a fissare lo schermo, irritata, mentre sento che qualcosa è cambiato nella stanza. L’aria intorno a me sembra più fredda. Mi viene da muovere un braccio ma è come bloccato. Stendo le dita, a prendere una penna ma la scrivania è diventata immensa. I suoi bordi si perdono nel buio. La penna mi sfugge e, dopo un’eternità, cade a terra. Senza un suono. Alle mie spalle una porta si sta aprendo. Non sarebbe così terribile, se non fosse che là dietro c’è solo una parete di cartongesso. La porta, in realtà, sta alla mia destra, ma ho quasi paura di guardarla perché so che potrei non trovarla.
La porta, quell'altra, si apre, dunque. Un fascio di luce illumina il soggiorno davanti a me e all’improviso tutto mi è chiaro: un’altra stanza si sta sovrapponendo. Una stanza che conosco bene… le due poltrone e i mobili di ciliegio. Sul tavolo due piatti di dolci coperti con tovaglioli odorano di vaniglia. E l’ultimo di loro entra.
Nel far questo, deve aver urtato gli altri, ma il loro sonno è così pesante che non si sono accorti di nulla. Il nuovo arrivato sta cercando un posto, lo sento muoversi. Provo un vago disagio mentre mi accorgo che sta facendo attenzione a non calpestare nulla. Non ho voglia di salutarlo ma sento che, se non lo faccio adesso, potrei persino dimenticarmene. Lui, d'altronde, non sembra cercare molta attenzione, ma solo un cenno, come dire? di riscontro. Con un sospiro, lo cerco nella penombra...
Ora posso vederlo. Ha trovato un posto ma è rimasto in piedi, la testa inclinata di lato, come in attesa. Sembra molto discreto. Addirittura più di quello dell'anno scorso. Quasi infastidita dalla sua mancanza di iniziativa gli faccio cenno di sedersi su un pacco non ancora scartato. Non è vestito in modo classico. Niente ricchi tessuti né scintillii dorati. E' vestito di foglie secche. Verosimilmente le ha raccolte dai marciapiedi. Le ultime, prima che ci arrivasse il vento o la ramazza. Ha una collana di frutta secca e mandarini. Mi preparo a conversare ma lui si limita a sfiorare con lo sguardo le cose degli altri passando dagli addobbi già allestiti ai regali già scartati. Approfitto per guardarlo meglio. Il viso ha qualche ruga d'espressione e l'attaccatura dei capelli rivela che li tinge. Il silenzio sembra ingessare ogni cosa.
Tutto era diverso tanti anni fa. I primi di loro facevano una tale confusione quando arrivavano! Piombavano nella stanza senza guardare dove sarebbero atterrati. Ridevano e saltavano chiamandomi per nome e insieme cercavamo curiosi le meraviglie nascoste. Partivano i festeggiamenti e si mangiavano cose squisite e tutto sembrava brillare. Ogni anno ne arrivava uno ed io lo aspettavo con impazienza. Se mi concentro un attimo me li ricordo ancora: i primi erano piccoli e irruenti, poi arrivarono quelli più grandicelli ma ancora un po' infantili, poi quelli innamorati, che si sedevano appena al grande pranzo, e presto se ne andavano, ansiosi di correre incontro ai loro amori.
Sono passati gli anni e anche loro sono diventati adulti. E, anno dopo anno, arrivano sempre più in sordina. Non mi assillano più e si susseguono uno dopo l'altro, sempre più in fretta...
Attraverso gli occhi chiusi mi accorgo che l'ospite mi sta sorridendo. Mi sento quasi in colpa per la mia fredda accoglienza di poco fa, ma lui sorride. La conversazione è ancora nel campo delle possibilità ma entrambi sappiamo che non ce n'è più bisogno. Sappiamo già tutto l'uno dell'altro e c'è ricchezza anche in questa fatica...
D’impulso gli mando un pensiero: BENVENUTO, NATALE-DI-QUEST’ANNO. Lui annuisce e il suo sorriso scalda l’aria profumata di mandarino e penso che, forse, dopo tutto, farò l'albero e anche il presepe. Li farò prima che anche lui si addormenti, nel suo posto vicino agli altri. E, passata la festa, chiuderò la porta sui regali e sugli addobbi vecchi e nuovi. La chiuderò piano. Per non disturbare.
Lo squillo del telefono buca il silenzio e il mio braccio è di nuovo libero.
“…pronto?”
“ ci sei?!” - la voce di Mirella, la collega, reale, senza preamboli.
“sto scendendo”.
Mi chino a raccogliere una biro caduta a terra. Dal monitor i miei “preziosi” dati occhieggiano, sani e salvi. E anche la porta è dove deve essere.
Prendo la borsa ed esco. Fuori c’è aria di neve.



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Racconto scritto il 21/12/2015 - 14:14
Da maria clara
Letta n.1073 volte.
Voto:
su 3 votanti


Commenti


Molto bello. Sei riuscita a creare quell'alone di magia introspettiva, proiettandola fuori da te, come su uno schermo. Si vede che hai sentito molto l'aria natalizia, respirandola a pieno. Bravissima. bello stile nella scrittura. Ciao Maria

Gianny Mirra 24/01/2016 - 17:19

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Bellino, scritto bene. Una storia dal contenuto onirico (sembra il racconto di un sogno) che si muove rispettando i criteri del genere fantastico, con tanto di struttura circolare.
Sei riuscita a creare una certa attesa nel lettore.

Giuseppe Novellino 21/12/2015 - 18:20

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