È con una semplice cosa bella che cattura per un secondo la nostra attenzione, come una volta stellata in cui far perdere lo sguardo, che inizia il viaggio. Si passa dall'essere col naso in su a trovarsi in un punto indefinito dell'immensità dell'universo, ad osservare con placida immobilità quanto succede intorno e vediamo in lontananza, come migliaia di fuochi fatui ondeggianti sospesi nell'aria, le galassie distanti anni luce e di cui, con uno sforzo della vista, si riescono a distinguere gli uni dagli altri i bracci della spirale di una stessa galassia. Ci si ferma, per un tempo indefinito, a posare gli occhi su ciò di cui si è circondati, pianeti che senza alcuna fretta compiono il loro moto di rivoluzione attorno alla stella che li attrae, meravigliandosi della vastissima diversità di posizioni forme e combinazioni che questi pianeti formano insieme durante il loro incessante moto a causa della differente ampiezza di ogni traiettoria; si ha l'impressione, pur conservando uno stato di immobilità, di poter camminare con passo adagio e senza alcuna fatica affianco a quei pianeti, quasi come a prenderli per mano, e spingerli su quell'altalena che li porta ciclicamente vicini al loro Sole, poi lontani e poi ancora vicini. La stella al centro di quei movimenti si mostra in tutta la sua incandescenza, rilascia ondate di calore e gas di una potenza inimmaginabile ma guardarla non brucia gli occhi e non dà una sensazione diversa di quella di un piacevole e leggero tepore quando, smesso di camminare, ci si siede sul polo di quella stella infuocata ad ammirare di nuovo lo spettacolo dei pianeti, ad essere spettatore unico di qualcosa che, come tutto quello che accade al di fuori della nostra volontà, è fondamentale.
Racconto scritto il 18/01/2016 - 03:00
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