Ero ancora sconvolto, quando presi il cellulare e selezionai il numero del mio amico Silvio Tintori.
- Ciao, Beppe! – disse lui con calore.
- Ciao a te. –
Notai che la mia voce era spenta. Infatti mi domandò:
- Qualcosa non va?
- Dove sei?
- A Sondrio, naturalmente. Sono appena sceso dal treno.
- Allora ti posso parlare con comodo.
- Certo, Beppe! Per oggi ho finito.
Il mio amico Silvio Tintori è macchinista. Anch’io lavoro in ferrovia: faccio il capostazione. Attualmente sono in servizio ad Ardenno-Masino, diciannove chilometri dal capoluogo valtellinese.
- Mi è capitata una cosa strana – annunciai. - E visto che in qualche modo c’entri anche tu, te ne vorrei parlare.
- Sto andando al bar a farmi bianchino. Dimmi tutto.
Entro cinque minuti sarebbe passato il diretto regionale Milano-Sondrio delle 18.12, e Giuseppe (per gli amici Beppe) sapeva che in cabina c’era Silvio. Estrasse una sigaretta con l’idea di fumarsela sul marciapiede, in attesa di fare un salutino al macchinista.
La stazione, in quel momento, era deserta. Dal locale per Lecco, che vi aveva fatto sosta un quarto d’ora prima, erano scesi solo due passeggeri. C’era ancora luce, in quella sera di febbraio, ma la visibilità era leggermente offuscata da una nebbiolina che si alzava dal fiume Adda. Sulla statale, oltre il muretto della stazione, transitavano veicoli con i fari accesi.
Quando fu sulla soglia, l’accendino in mano, rimase di stucco. Per poco la sigaretta ancora spenta non gli scivolò dalle labbra. Sul binario principale c’era una elettromotrice ALe 883-007, nel suo tipico marrone chiaro, con due altri pezzi a rimorchio.
Impiegò un bel momento a rendersi conto della cosa. Lui era il capostazione, doveva sapere tutto sul movimento e sul transito dei treni. Pensò a un possibile trasferimento di materiale storico, visto che l’elettrotreno ALe 883-007 non era più attivo da circa trent’anni. In tal caso, perché non l’avevano avvertito del suo arrivo? E si trovava proprio sul binario destinato al transito del diretto per Sondrio.
Procedeva poco più che a passo d’uomo, ma non era in procinto di fermarsi. Le luci erano accese e si vedevano ai finestrini le teste di alcuni passeggeri. Sembrava proprio che fosse in servizio.
Quando Giuseppe andava a Milano per il corso di capostazione, all’inizio degli anni ottanta, gli capitava spesso di viaggiare su quel tipo di treno. Il vederselo ora lì, a pochi metri di distanza con i suoi motori ronzanti, gli mise addosso un brivido doloroso.
Andò subito con lo sguardo alla cabina, ma non riuscì a distinguere il volto del conducente. Allora gettò a terra la sigaretta ed emise una specie di urlo da ragazzino isterico, gesticolando come un forsennato. In tutta risposta, il treno cominciò ad accelerare.
Sfuggiva non solo al suo controllo, ma anche alla sua residua capacità di comprensione. E poi lo vide acquistare velocità, in direzione Milano. Quindi si trovava in perfetta linea di collisione con il regionale per Sondrio, guidato dal suo amico Silvio Tintori. Ma pensò che forse quest’ultimo doveva essere stato fermato nella precedente stazione di Morbegno, per incrociare la vecchia elettromotrice. L’enormità della cosa gli balzò comunque agli occhi. Sapeva che il regionale era in perfetto orario e sarebbe transitato di lì a un paio di minuti.
Corse nel suo ufficio. Cercò di raccapezzarsi, ma era del tutto confuso, in preda a un’agitazione incontrollabile. L’unica cosa che gli restava da fare era prendere il telefono e chiamare Morbegno, e magari anche Sondrio… Ma a che sarebbe servito? Se era stato commesso un errore, ormai era irreparabile. Proprio nella lunga galleria, poco oltre la stazione di Ardenno, ci sarebbe stato lo scontro. Afferrò la cornetta nello stesso istante in cui udì echeggiare un fischio lontano.
Si precipitò fuori e guardò lungo le rotaie, verso ovest. Due fari erano in avvicinamento, proprio sull’unico binario che aveva visto transitare da poco la ALe 883-007.
Quello che vedeva adesso era ancora più incredibile.
Il convoglio transitò a novanta all’ora: era il solito regionale diretto a Sondrio. Non ebbe neanche il tempo (o non ci pensò) di andare con lo sguardo alla cabina dove si trovava il suo amico Silvio Tintori.
- E questo è tutto. Che ne dici?
La voce di Silvio tardò a farsi udire. Pensai che fosse rimasto ammutolito per lo sconcerto.
- Ohè, mi senti? – lo richiamai.
- Certo, Beppe… ti sento.
- Che ne dici di questa storia?
Lo udii schiarirsi la voce con un certo imbarazzo. - È strano…
- Mi dici solo questo? È incredibile, letteralmente assurdo. – Esitai. – Adesso penserai che ho le traveggole, che mi sono immaginato tutto… chessò… che mi sta venendo l’altzeimer. Ma ti giuro che ciò che ho visto è stato reale come è reale questo telefonino che tengo in mano. Mi dispiace solo che non c’era nessuno alla stazione, in quel momento. Nessun passeggero in attesa; e come ben sai, non ho personale, sono solo e faccio tutto io. Può darsi che qualcun altro abbia visto lo strano convoglio, qualcuno che passava nella strada adiacente o che guardava dalla finestra delle due case vicine. Ma come faccio a verificare?
Silvio borbottò qualcosa di incomprensibile.
Avevo proprio l’impressione che fosse turbato. Non veniva da lui alcun commento di scherno.
- Ti rendi conto – continuai - che un vecchio elettrotreno avrebbe dovuto scontrarsi con il tuo in galleria.
Dopo un attimo di silenzio, Silvio disse:
- Anche a me è successo qualcosa di strano, poco prima di uscire dal tunnel… Una forte vibrazione ha scosso il mio treno. Mi sono spaventato e ho pensato che stesse per deragliare. Ma il fenomeno è durato un attimo. Poi ho fischiato. E quando siamo transitati in stazione, ti ho visto sul marciapiede… Giravi su te stesso come una marionetta.
- Avevo dunque ragione nel dire che la cosa riguarda anche te?
- Sì.
- Allora mi credi?
- Sì.
- E che cosa è successo, secondo te?
- Non lambiccarti inutilmente. - Poi, dopo una breve pausa, con voce grave aggiunse: - La prima che ho guidato è la ALe 883-007, proprio su questa linea, alla fine degli anni ‘70. Per tutto un inverno, mi pare nel ’79, andavo a Milano con il diretto, che passava da Ardenno alle 18.10. Di solito incrociavamo lì. In altri casi si faceva solo un rallentamento, e al segnale di via libera davamo tutta manetta perché l’altro treno, in ritardo, ci avrebbe aspettato a Morbegno.
Un brivido mi percorse la schiena. Guardai fuori dalla finestrella.
Le tenebre stavano scendendo, ma la nebbiolina si era diradata.
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Luciano è uno che scrive bene, lo so per certo, e pure con trame interssanti, spero che prima o poi voglia pubblicare i suoi lavori... buona serata. uè!
@ Gennarino - Grazie per il tuo commento. La narrazione conta molto, certo. Se una bella trama non indossa un buon vestito, lascia poco segno. A volte può capitare il contrario. Comunque ha ragione Luciano: il racconto andrebbe un po' ampliato. Per quanto riguarda il suo significato, mentre lo scrivevo pensavo non a un treno fantasma ma a una interferenza spazio temporale.