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Specchio.

-Dicono che sia tutta questione d’esperienza-
-Cosa intendi?-
-Qualsiasi cosa-
-E pensi sia davvero così?-
-Non ne sono più tanto convinto. Altrimenti chi ha fatto di più dovrebbe essere il più bravo.-
-In quale ambito?-
-Qualsiasi ambito. Chi ha scritto di più, chi ha suonato di più, chi ha infornato di più, chi ha battuto di più il ferro-
-Quindi?-
-Bukowski scriveva: ”Grida quando bruci”-
-Allora lui aveva ragione?-
-Ci è andato vicino, ma non basta-
-Non lo so azzarderei l’amore, ma non sono del tutto convinto-
-E’ un paradosso!-
-Il fatto che parlo con uno specchio allora cos’è?-
-Formalità-
Mi distacco dal mio riflesso e poso gli occhi sulla vetrata ed oltre questa osservo gli operai come lavorano. Uno sta saldando un pezzo ad L ed è impaziente di andarsene. Lo so perché guarda ogni dieci secondi l’orologio. Salda e guarda l’orologio, aspetta le cinque e zero zero. Povero, non lui ma la sua condizione. Così non si gode la saldatura e magari la fa pure una merda.
Mi siedo sulla poltrona di mio padre e guardo la sua scrivania: carte ovunque, il monitor del computer acceso, il posacenere sempre devastata da centinaia di mozziconi. La cenere sembra quasi la sua. Del posacenere intendo. Infine noto un piccolo accendino a forma d’incudine di color rame. E’ un discreto accendino da scrivania, ben fatto. Da un lato si legge: “ L’AMICIZIA E’ SACRA” . Scritto proprio così grande. Dall'altro lato la marca di un’impresa di bacinelle di Lumezzane. Poi entra fumante mio padre:
-Allora andiamo? Ci aspettano gli avvocati.-
In macchina rapido mette il cellulare incandescente a caricare nella presa dell’accendisigari. Poi parte a tutta velocità. Lo soffro il suo modo di guidare. Mi porta alla nausea e poi tutto quel fumo, sempre. Nella guida scarica il suo stress e si sente, eccome! A tratti vomito.
-Pà puoi andare un po’ più piano?-
-Non c’è tempo. Non c’è tempo!-
Si esaurirono allora quattro ore in compagnia degli avvocati un po’ ascoltavo e un po’ pensavo di quali particolari dover scrivere. Ad esempio il modo di fumare dell’avvocato talmente aggressivo e verace che teneva la sigaretta stretta tra le dita non nella parte colorata di arancione ma vicino alla parte che brucia:
-Esatto. Grida quando bruci scriveva Bukowski. Ma dannazione manca qualcosa, te ne rendi conto che manca qualcosa?-
-Si.-
Mi rispondeva lo specchio, poi uscito dal bagno riprendevo ad ascoltare la discussione tra gli avvocati e mio padre. Morirono parecchie sigarette quel pomeriggio che poi divenne sera. Mio padre andò – un attimo al bagno aspettatemi qui- e rimasi in compagnia dell’avvocato.
Era un falco l’avvocato, la leggevo nei suoi occhi la rapidità di pensiero e di capirti, DI ASCOLTARTI DI NASCOSTO:
-E tu? Gridi quando bruci?- mi disse
-Cosa?-
-No dico, ti va di accompagnarmi dal tabaccaio dall'altro lato della strada?-
-Va bene.-
Erano pochi passi
-Tuo padre lo fa per voi, tutto questo. Perché oggi è così ma poi si litiga tra fratelli e familiari. Perché oggi è così ma poi diventa un casino, per non parlare di quando entrano in gioco le mogli-
-Si lo trovo giusto, tutto ciò.- conclusi.
-Un pacchetto di Diana rosse grazie. Tuo padre sta sempre al cellulare!-
-Si.-
-Sai, se avessi avuto un figlio non gli avrei mai consigliato giurisprudenza a meno che non l’avesse voluta lui talmente tanto da litigare con me.-
Era un colpo di fioretto ben assestato. Ma l’avvocato ti leggeva dentro:
-Perché non hai figli?- chiesi.
-Le mogli, i divorzi, sono cose complicate-
-Immagino.-
Raggiungemmo mio padre.
I due presero un caffè. Il terzo della giornata. Almeno dal pomeriggio, prima non so.
-No grazie io non bevo caffè-
Mi fa sempre strano dire che non bevo caffè. Qui a Napoli è quasi una bestemmia, spesso la gente mi guarda male oppure non sa che dire. Come se dicessi -No guarda non mi piace l’ossigeno- Sembra che il caffè qui è una cosa che non puoi farne a meno. Non bevi caffè allora sei un fottuto cazzone.
Per un periodo ho bevuto caffè per accontentare gli altri. Dovevo sempre correre al cesso e poi non mi piaceva, neanche quando scendeva giù negli organi interni. Stavo sempre nervoso.
Quindi ho smesso e va bene così. Fanculo gli altri che si ostinano a non capire. Capirmi.
-allora che prendi?-
-Una bottiglina d’acqua naturale.-
-Neanche gasata?-
-No.-
Accompagnammo l’avvocato alla sua macchina. Una Jaguar grigio metallizzato lucente. Bellissima. Tutto tornava, l’avvocato è un uomo sveglio, guarda che macchina. Dannato volpone, ti stimo e t’invidio. Poi però va oltre e si siede in un Fiat punto vecchia ed ammaccata. Anche l’avvocato doveva avere i suoi scheletri nell’armadio.
Durante il viaggio di ritorno mio padre guidava con più moderazione e ciò mi permise di rilassarmi un po’. Mi sentivo stanco. Il traffico volle che la nostra macchina si doveva fermare per qualche istante davanti ad una finestra con le inferriate arrugginite al cui interno dei bambini ballavano, ridevano e si divertivano.
A quel punto scattò qualcosa.
Eccomi allora, appena tornato a casa con la voglia irrefrenabile di andare in bagno:
-Ci sei?-
-Si- risponde lo specchio
-Bukowski aveva ragione ma io non capivo-
-Cosa?-
-Non è l’amore né tantomeno l’esperienza. E’ l’identità. Avere identità. Sta tutto lì. Non essere una copia di chi non siamo. Non vivere la vita nel falso riflesso di qualcun altro. Lo vedi specchio? Sono io.-
Lo specchio non rispose più.



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Racconto scritto il 14/02/2016 - 13:08
Da Bruno Gais
Letta n.968 volte.
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Commenti


Il racconto fila anche, ma la punteggiatura... è davvero "strana" a dir poco, e poi c'è un disordine descrittivo che non incita davvero alla lettura. Ciao Bruno non prendertela e riparti mettendo ordine a queste cosa.

Luciano Bellesso 15/02/2016 - 14:31

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