IL RITORNO DELLE JANARE
Grossomodo, così esordiva mia madre quando iniziava il racconto; in genere dopo cena e prima di andare a dormire. Quattro figli ravvicinati, tre maschi e una femmina, aspettavamo di sentire questo e altri racconti, specie nelle lunghe serate d’inverno, quando magari nevicava e si stava bene vicino al camino. Non avevamo ancora il televisore, per fortuna, si direbbe oggi… (era una prerogativa delle famiglie più agiate).
“Il trisavolo stava in guardia perché si era accorto che gli animali della stalla erano nervosi e i cani abbaiavano di continuo. Poi, da qualche tempo c’erano stati infausti eventi capitati a certi poveri contadini del vicinato: Presso una stalla era nato un vitellino senza gambe, talché non si poteva alzare né allattare e perciò destinato a morire. Da un’altra famiglia, una bellissima bambina d’improvviso si vide spuntare orribili peli in ogni parte del corpo, compresa una barba simile a quella di un vecchio… e queste notizie si erano diffuse in un battibaleno.”
L’attenzione era alle stelle e, come sempre, scaturivano le solite domande:
“Ma... il vitellino si è salvato?” Oppure: “E la bambina... come ha fatto con i peli? Si faceva la barba? come a papa?.. ecc.”
“Il fatto è che le Janare nessuno le conosceva… perché erano donne come le altre, nel senso che di giorno erano persone normali. Erano contadine, magari un po’ cattive e arcigne, ma facevano le cose di tutti, o quasi. Le Janare si tramandano la magia di madre in figlia e, insomma, ci sono state molte generazioni di Janare e, di sicuro, sono ancora tra noi.”
La curiosità aumentava:
“Ma se anche adesso ci sono, e non si riconoscono.. significa che qualcuna che conosciamo, una vicina… può essere che sia una janara?”
E così via, fino alle considerazioni sulle contadine del posto, quelle conosciute, sulle quali ognuno esprimeva la sua ipotesi… sull’appartenenza o meno a quella malvagia categoria.
Ovviamente ci si ritrovava concordi nel ritenere che alcune di queste donne, note per il loro caratteraccio, sicuramente lo fossero.
Su questo punto mia madre era fermissima e, ogni volta, minacciava dicendo “se soltanto una volta vi sento dire che questa o quella è una di loro… vi faccio passare i guai! Queste cose non si dicono con nessuno, anche se c’è il sospetto, ve lo dovete tenere per voi, avete capito?”
Solo dopo essersi assicurata che nessuno ne avrebbe fatto parola, con tanto giuramento, continuava il racconto: “
“Sta di fatto che il trisavolo era furbo e fece finta di dormire, anzi, per simulare che stava dormendo, aveva messo un sacco di patate nel letto e una zucca sul cuscino. Così rimase nascosto dietro un’asse di legno tra il fienile e l’ingresso della casa, con il forcone a portata di mano, dopo aver legato il cane all’ingresso della stalla, così che potesse avvedersi d’ogni stranezza. E fu così che la vide: La janara uscì da sotto il granaio e, strisciando come un serpente, si stava dirigendo verso l’uscio di casa, dove riposavano la trisavola e i figli. Aveva capelli intrecciati e lunghissimi che scivolavano per terra, superando la stessa lunghezza del suo corpo, e indossava… un'orribile maschera.”
Da qui, interminabili discussioni, e persino qualche litigio tra fratelli grandi e piccoli… ma poi ci pensava mia madre a mettere le cose apposto proseguendo il racconto:
“Insomma, il nostro avo scattò come un lupo feroce; lanciò il forcone come fosse una lancia e infilzo i capelli della janara… e poi come un fulmine le taglio la lunga treccia infilandola nello zaino a tracolla. La strega fece un terribile urlo che fu udito per tutta la valle, e si mise a piangere, mentre il trisnonno, che ormai l’aveva in pugno, le strappò la maschera, e scoprì chi era… e cioè una vedova senza figli che viveva da sola e non parlava mai con nessuno. Ma questo è normale, perché si dice che dalle donne e uomini senza figli, non andare per soldi… né per consiglio”
E poi… e poi com'è andata a finire?
“Con il taglio della treccia di capelli, La janara aveva perso ogni potere, anzi, era nelle piene mani del trisavolo che poteva fare di lei quello che voleva… ma non era conveniente esagerare, come ucciderla o torturarla, poiché in tal caso le altre streghe si sarebbero di certo vendicate. A ogni buon conto, per lasciarla andare, la malefica fu costretta a promettere sotto giuramento che, per sette generazioni, lei o chiunque altra strega, non si sarebbe più avvicinata ai discendenti del nostro avo.”
“Ma, mamma… noi che generazione siamo?”
“Voi, voi… siete la settima generazione, figli miei, perciò adesso andate a dormire tranquilli! …a dormire ho detto! Senza chiasso o altre chiacchiere... avete capito?”
Questa è la storia di una janara.
Oh… se fossi in voi, mi guarderei intorno. Ci sono innumerevoli generazioni di streghe e janare pronte ad approfittare d’ogni vostra distrazione o leggerezza. Sono dappertutto ormai e si mimetizzano perfettamente. Alcune fanno ricorso persino alla chirurgia plastica, per addolcire i lineamenti; altre fanno la coda nei centri estetici per le medesime ragioni, e così via. Sono ben inserite nella società, alcune persino in politica. Mi viene da pensare alla Santanchè… ma, ovviamente, quest’ultima è solo un’impressione che non mi sognerei mai d’attribuire a una persona esistente… senza averne le prove. Penso di aver reso l’idea, ed è questa la cosa importante.
Le conseguenze delle vostre sottovalutazioni o noncuranze potrebbero esservi fatali!
Mi auguro che siate sempre attenti e accorti, specialmente se non avete una copertura che vi garantista l’immunità…
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gran bel racconto. Io non conoscevo l'esistenza di questa categoria: le Janare.
Forse non avrei dovuto nominarle per non soggiacere alle loro malefatte, o forse dovrei farmi un'assicurazione alle Generali? Ma a pensarci bene dai noi venivano i morti, nel giorno della loro festa, a controllare che i bambini dormivassero e le nostre madri che ci raccomandavano di farlo presto ad evitare che venissero a grattuggiare i piedi per punizione. Sta di fatto che i Pupi di Zucchero(in siciliano pupaccene),che decoravano la cesta piena di ogni ben di Dio non riuscirono mai a svegliarsi integri. Peccato di gola che sopravanza la paura.