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Il pozzo

IL POZZO


Mi sto chiedendo il motivo di questa inquietudine, che si sta trasformando in vero terrore.
Non può derivare semplicemente dall’atmosfera del luogo che mi ospita: un’antica villa del Cinquecento, un po’ isolata, adagiata tra i colli fiorentini, oggi sede dell’associazione di cui faccio parte. Non è un luogo lugubre, ma offre la sua inequivocabile aura di severità. Due piani di stanze dai soffitti decorati, bui corridoi a volta, uno scalone imponente, un sotterraneo in gran parte inutilizzato, pieno di ombre e di ciarpame.
Mi trovo da solo, in questa tarda serata di settembre. Con facile spavalderia ho accettato di rimanere qui per tre giorni. Il custode ha ottenuto il permesso per una breve vacanza e con la famiglia se ne è andato in Liguria.
Per tutto il giorno sono rimasto tranquillo e di buon umore, concentrato sulle mie faccende. Solo verso le sette di sera, ho cominciato ad essere ansioso.
Che cosa è successo?
Nulla… ma proprio nulla.
Ho cenato, ho navigato un po’ in Internet, ho ascoltato musica sul mio lettore CD e ho risposto a due telefonate.
Eppure…

Che cosa ha generato il turbamento? E quale è la causa di questo vero terrore che è subentrato e ora mi sta stritolando in una gelida morsa?
Faccio fatica a pensare, mentre sto rinchiuso nella mia camera al secondo piano. La porta è chiusa a chiave, la finestra sbarrata. Sono seduto sul letto, al lume fioco di una lampada.
Devo riuscire a riflettere. Una razionalizzazione può essere la mia salvezza.
Ho avuto l’idea di andarmene, di lasciare la villa e tornare fra la gente, giù in città. Ma so che sarebbe la mia definitiva sconfitta. E allora la paura diventerebbe parte di me stesso e sarei perduto per sempre.
Il resto della casa mi si presenta come un’oscura minaccia. Oltre la porta c’è il corridoio in penombra. Chi, o che cosa, potrei incontrare in fondo ad esso, là dove un passaggio ad arco mi immette nello scalone severo e vetusto?
Certo, l’apprensione mi è venuta per questo ritrovarmi da solo in un luogo segnato dal tempo. Forse ho semplicemente sottovalutato l’idea che, sopraggiunta la sera, mi sarei trovato un po’ in soggezione fra queste mura antiche.

Giunge da lontano un suono sgradevole. Come se qualcuno raschiasse su una parete con un utensile di ferro.
Drizzo le orecchie.
Da dove viene?
Difficile a dirsi… Forse viene dal basso. Ecco sì, dal sotterraneo.
Adesso non si sente più. Ma la pausa è più terribile ancora. Come se l’autore (o semplicemente la causa) del sinistro rumore l’abbia sospeso per spostarsi più su, nei vani più alti della casa, più vicino alla mia stanza.
Il pozzo.
Mi torna in mente solo adesso quale può essere il motivo di questo mio stato di terrore.
Verso le sette, prima di cena, sono sceso nel sotterraneo dove è situata la dispensa. Fischiettavo per darmi un po’ di coraggio. La vaga inquietudine si era già impossessata di me, ma facevo di tutto per non darci peso. Sono entrato in quella cavità recondita, dove una volta tenevano i formaggi e i salumi a stagionare. Lì c’è un pozzo, certamente disseccato, che nei tempi passati forniva dell’acqua sorgiva.
Chissà perché, mi è venuto in mente di coprirlo con quel foglio di spesso compensato che stava appoggiato a una parete. E ci ho pure messo sopra una pesante mattonella.
Quello è stato il mio errore. Adesso ne sono consapevole.
Avrei dovuto rimanere indifferente, perché si tratta solo di una vecchia sorgente. Ma io ho pensato, così, in un fuggevole momento, che per precauzione era meglio tapparlo. E ho agito d’istinto.
Cosa mi sarei aspettato? Quale minaccia potrebbe venire da un semplice buco nel terreno?


Ecco, con quell’atto sconsiderato ho dato corpo alle mie più profonde paure.
In un primo tempo mi sono sentito rassicurato, sono risalito in cucina e ho messo qualcosa sotto i denti. Poi, a poco a poco, ho perso il controllo di me stesso.
Non mi resta che una sola possibilità: rimettere tutto com’era prima. E forse anche il mio animo potrà ritornare a visioni più razionali.
Ma per farlo debbo uscire da questa stanza, percorrere il corridoio, imboccare lo scalone… e poi scendere nel sotterraneo, avvicinarmi al pozzo e togliere quella tavola che sconsideratamente ci ho posato sopra. Non mi resta che affrontare la realtà di queste mura silenziose, di questi anditi bui, di questa solitudine antica.
Ma ecco, ancora quel rumore…

Non c’è altro da fare. Devo vincere innanzitutto me stesso.
Adesso sono in piedi davanti alla porta della mia camera, la mano già sulla maniglia.




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Racconto scritto il 24/02/2016 - 10:05
Da Giuseppe Novellino
Letta n.1178 volte.
Voto:
su 2 votanti


Commenti


Semplicemente bravissimo tu e superlativo il racconto.5*

Rosa Chiarini 26/02/2016 - 19:38

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Bravissimo, splendido racconto. Calzante metafora della discesa nelle profondità dell'IO,la scoperta delle proprie paure e delle proprie risorse...piaciuto moltissimo cinque stelline .

Gabriella De Gennaro 24/02/2016 - 18:14

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Stupendo componimento in una magistrale descrizione di un momento di pathos vissuto da un immaginario personaggio, il cui comportamento descrive totalmente i gesti , i movimenti, il pensiero che ognuno farebbe nella stessa situazione di insicurezza.

salvo bonafè 24/02/2016 - 17:53

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