Deridere e poi ridere e poi... voglia di dormire. Si, riposare. Presente? Sdraiarsi su un bel due piazze, anche una, e cancellare d'un botto tutti i rumori, le ipocrisie, le chiacchiere al veleno.
Che poi non è mica così semplice mettere tutto in un angolo. Cosa? I rumori e le chiacchiere. E il veleno, accidenti! Perché è diventata un impresa riuscire a sopportare... pardon, apprezzare il silenzio. Vero! Paradossale, eh? Qualcuno direbbe che accidenti mi sto inventando. E forse farei fatica anche io a crederci se qualcuno me lo raccontasse.
Allora fate così. Provate a tornare a casa alle due di un pomeriggio feriale. Diciamo che ne avete fin sopra i capelli di parole vuote, delle stesse azioni , degli stessi odori , della stessa gente tutti i giorni. Diciamo pure che dormite poco e male da mesi e siete scoppiati... letteralmente scoppiati!
Fusi, rotti dentro. Storditi e stonati!
Insomma, decidete di salutare la compagnia e tornarvene a casa. Avete un desiderio, uno solo. Niente di trascendentale. Una cosa piccola piccola, ma per voi vitale in quel momento. Come il latte per un neonato o la messa della domenica … per la domenica. Farsi coccolare dal materasso e appoggiare la testolina sul vostro preziosissimo cuscino. Non è chiedere la luna! E’ umano, semplice, non c’è bisogno di scomodare santi o il padreterno. Interrogazioni parlamentari o l’indulto, la grazia e neanche Graziella.
Vivete in un condominio tranquillo; ed è certo, sicuro come la A è la prima lettera dell’alfabeto, che alle due di quel pomeriggio in quel condominio e tutt’intorno non volerà una mosca. Pazzesco, vero? Ma è proprio così. Esattamente come ve lo siete immaginato. Aprite la porta di casa e vi investe il silenzio. Ci restate, per un attimo, sulla soglia di casa. Vi prende quasi il mal di mare. Nel senso che perdete la compostezza per qualche secondo. Come se invece del silenzio, vi sia passata di fianco una Ferrari a trecento all’ora: vi appoggiate allo stipite della porta per non cadere. Insomma, “un anzia repentina il cor massalse”. E’ tutto a posto, vi dite. Tranquillo, non c’è nessuna voce, nessuno che ride o piange. Nessuno che respira, che grugnisce o che insulta qualcun altro. E’ tutto … tutto… silenzioso. Un perfetto, straripante e assordante silenzio. S.I.L.E.N.Z.I.O. Silenzio. Dopo tutta la fottutissima confusione in cui stavate annegando sino a dieci minuti prima ora, finalmente, galleggiate in un infinito, assoluto, innocente silenzio.
Era questo che cercavate, no? Tornare a casa e mettere a nanna le orecchie e la mente. Facile. Come bere un bicchier d’acqua.
E allora perché non appena appoggiate il vostro culo sul copriletto, avete la netta sensazione di stare nella sala d’attesa del dentista dopo che non ci andavate da anni? Perché se tutt’intorno, sopra e sotto, è muto come il cimitero del più piccolo paese del mondo perché, dico, ve ne state li con gli occhi sbarrati a fissare il soffitto? E, nella vostra testa, quell’infame brusio continua imperterrito a parlare da solo. Perché?
Al momento non rispondete nulla. Sperate solo che quella piccola festa che si sta tenendo nel vostro cranio prima o poi finisca. E magari prima un occhio e poi anche l’altro si chiudano e incominciate a scivolare in un breve, ma vitale riposo ristoratore.
Che fate se questo non accade? Provate ad affidarvi ai grandi maestri d’oriente. “ La pace viene da dentro: non cercarla fuori”.
Allora vi concentrate sull’unica cosa importante in questo momento: il vostro respiro. Fate in modo che diventi regolare e che piano piano vi calmi e calmi soprattutto i bagordi all’interno del vostro sistema neuronale.
Ma più siete concentrati sul respiro e sul dolcissimo movimento del vostro ombelico, più diventa chiaro che non vi state calmando proprio per niente. Anzi, se possibile, vi agitate ancora di più. E il brusio è sempre li che non vi molla. E per quale diavolo di motivo poi? Boh! Salamadonna.
Cominciate a imprecare, a sussultare, a dare di matto e alla fine … vi alzate. Merda!
Ma che accidenti ci vuole a prendere sonno? Solo qualche ora prima eravate in macchina mezzi rimbambiti. Vi si chiudevano gli occhi. Sbadigliavate con così tanta eleganza, che fermi al semaforo qualcuno sarà riuscito persino a contare i denti che avete in bocca e dare un occhiata alla condizione delle vostre tonsille. Sulla metro ci stavate così bene, con la testa che rimbalzava a destra e sinistra. Vi hanno dovuto svegliare al capolinea. E forse era meglio che ci restavate sulla metro … a monte!
Oramai ci siete a casa. Questa occasione non si può sprecare. Proprio no! E allora via! Giù di nuovo in orizzontale. E questa volta cominciate a mandare nella testa un bel paesaggio alpino con tanto di laghetto, caprette e … si Heidi, Peter e il nonno! Ma vieni. Forse questa volta ci siamo. State crollando. Diventa evidente quando Heidi vi offre un pezzo di formaggio, ma voi siete stanchi. Volete dormire! Dite a Peter di non rompere le palle e di andare a pascolare. Al nonno di tagliarsi la barba e ad Heidi che se lo può mangiare lei quel maledetto formaggio.
Oh cristo! Adesso arriva anche nebbia, il cagnone. Comincia a farvi le feste. Bello è ma … gli lanciate un osso per togliervelo di mezzo. Perché voi dovete dormire! E adesso chi c’è?! Oh merda! Jegg robot, Mazinga e Riù, il ragazzo senza età. Sono li di fronte a voi (cioè, di fronte a voi nella vostra testa) e mi sa parecchio incazzati! Intuite che non gli è piaciuto il trattamento riservato a quelli dell’alpe. Jeeg sta preparando il maglio spaziale e Mazinga non so quale altra diavoleria. Riù, un po’ sfigato, accarezza il cane.
Ok, ora basta. Anticipate la disintegrazione totale del vostro cervello e vi alzate. Non ne potete più. Prima i maghi dell’oriente. Il respiro, il distacco… si… e ancora un po’ fate a botte con il cuscino. Poi i paesaggi alpini che si sono trasformati in una mini guerriglia animata.
Siete a pezzi. Peggio di come siete entrati in casa. Eppure cercavate solo un po’ di riposo. Massimo un’ora, giusto per dire che siete riusciti a non aprire gli occhi per sessanta minuti filati. Ma la verità vera è una sola: di questi tempi, oramai, il silenzio non va di moda. Siete così tanto abituati per tutto il giorno, per tutta la settimana e per tutto l’anno a sentire e vivere in mezzo ai rumori; storditi da parole banali ma che vi rimbombano nel cervello come se foste vicino ad un attentato dinamitardo; soverchiati dal frastuono delle auto, dei motorini, dei tosaerba, dei mezzi di cantiere e delle sirene.
Siete talmente assuefatti a tutto questo, che se per caso vi capita di non sentire più nulla il vostro sistema nervoso si incazza. Vuole il macello. Il suono del campanello. Il televisore a tutto volume e il vicino che urla come un’animale. Un motore che romba e un cretino che sgomma. Ha paura, avete paura del silenzio!
Ma c’è la soluzione. Domani andate in mezzo al traffico con un bel materasso. Lo appoggiate a terra, sulla di linea di mezzeria della strada, e vi sdraiate. Tranquilli. Magari concerete i vostri polmoni come quelli di uno che fuma sessanta sigarette al giorno, ma volete mettere che riposini!
Che poi non è mica così semplice mettere tutto in un angolo. Cosa? I rumori e le chiacchiere. E il veleno, accidenti! Perché è diventata un impresa riuscire a sopportare... pardon, apprezzare il silenzio. Vero! Paradossale, eh? Qualcuno direbbe che accidenti mi sto inventando. E forse farei fatica anche io a crederci se qualcuno me lo raccontasse.
Allora fate così. Provate a tornare a casa alle due di un pomeriggio feriale. Diciamo che ne avete fin sopra i capelli di parole vuote, delle stesse azioni , degli stessi odori , della stessa gente tutti i giorni. Diciamo pure che dormite poco e male da mesi e siete scoppiati... letteralmente scoppiati!
Fusi, rotti dentro. Storditi e stonati!
Insomma, decidete di salutare la compagnia e tornarvene a casa. Avete un desiderio, uno solo. Niente di trascendentale. Una cosa piccola piccola, ma per voi vitale in quel momento. Come il latte per un neonato o la messa della domenica … per la domenica. Farsi coccolare dal materasso e appoggiare la testolina sul vostro preziosissimo cuscino. Non è chiedere la luna! E’ umano, semplice, non c’è bisogno di scomodare santi o il padreterno. Interrogazioni parlamentari o l’indulto, la grazia e neanche Graziella.
Vivete in un condominio tranquillo; ed è certo, sicuro come la A è la prima lettera dell’alfabeto, che alle due di quel pomeriggio in quel condominio e tutt’intorno non volerà una mosca. Pazzesco, vero? Ma è proprio così. Esattamente come ve lo siete immaginato. Aprite la porta di casa e vi investe il silenzio. Ci restate, per un attimo, sulla soglia di casa. Vi prende quasi il mal di mare. Nel senso che perdete la compostezza per qualche secondo. Come se invece del silenzio, vi sia passata di fianco una Ferrari a trecento all’ora: vi appoggiate allo stipite della porta per non cadere. Insomma, “un anzia repentina il cor massalse”. E’ tutto a posto, vi dite. Tranquillo, non c’è nessuna voce, nessuno che ride o piange. Nessuno che respira, che grugnisce o che insulta qualcun altro. E’ tutto … tutto… silenzioso. Un perfetto, straripante e assordante silenzio. S.I.L.E.N.Z.I.O. Silenzio. Dopo tutta la fottutissima confusione in cui stavate annegando sino a dieci minuti prima ora, finalmente, galleggiate in un infinito, assoluto, innocente silenzio.
Era questo che cercavate, no? Tornare a casa e mettere a nanna le orecchie e la mente. Facile. Come bere un bicchier d’acqua.
E allora perché non appena appoggiate il vostro culo sul copriletto, avete la netta sensazione di stare nella sala d’attesa del dentista dopo che non ci andavate da anni? Perché se tutt’intorno, sopra e sotto, è muto come il cimitero del più piccolo paese del mondo perché, dico, ve ne state li con gli occhi sbarrati a fissare il soffitto? E, nella vostra testa, quell’infame brusio continua imperterrito a parlare da solo. Perché?
Al momento non rispondete nulla. Sperate solo che quella piccola festa che si sta tenendo nel vostro cranio prima o poi finisca. E magari prima un occhio e poi anche l’altro si chiudano e incominciate a scivolare in un breve, ma vitale riposo ristoratore.
Che fate se questo non accade? Provate ad affidarvi ai grandi maestri d’oriente. “ La pace viene da dentro: non cercarla fuori”.
Allora vi concentrate sull’unica cosa importante in questo momento: il vostro respiro. Fate in modo che diventi regolare e che piano piano vi calmi e calmi soprattutto i bagordi all’interno del vostro sistema neuronale.
Ma più siete concentrati sul respiro e sul dolcissimo movimento del vostro ombelico, più diventa chiaro che non vi state calmando proprio per niente. Anzi, se possibile, vi agitate ancora di più. E il brusio è sempre li che non vi molla. E per quale diavolo di motivo poi? Boh! Salamadonna.
Cominciate a imprecare, a sussultare, a dare di matto e alla fine … vi alzate. Merda!
Ma che accidenti ci vuole a prendere sonno? Solo qualche ora prima eravate in macchina mezzi rimbambiti. Vi si chiudevano gli occhi. Sbadigliavate con così tanta eleganza, che fermi al semaforo qualcuno sarà riuscito persino a contare i denti che avete in bocca e dare un occhiata alla condizione delle vostre tonsille. Sulla metro ci stavate così bene, con la testa che rimbalzava a destra e sinistra. Vi hanno dovuto svegliare al capolinea. E forse era meglio che ci restavate sulla metro … a monte!
Oramai ci siete a casa. Questa occasione non si può sprecare. Proprio no! E allora via! Giù di nuovo in orizzontale. E questa volta cominciate a mandare nella testa un bel paesaggio alpino con tanto di laghetto, caprette e … si Heidi, Peter e il nonno! Ma vieni. Forse questa volta ci siamo. State crollando. Diventa evidente quando Heidi vi offre un pezzo di formaggio, ma voi siete stanchi. Volete dormire! Dite a Peter di non rompere le palle e di andare a pascolare. Al nonno di tagliarsi la barba e ad Heidi che se lo può mangiare lei quel maledetto formaggio.
Oh cristo! Adesso arriva anche nebbia, il cagnone. Comincia a farvi le feste. Bello è ma … gli lanciate un osso per togliervelo di mezzo. Perché voi dovete dormire! E adesso chi c’è?! Oh merda! Jegg robot, Mazinga e Riù, il ragazzo senza età. Sono li di fronte a voi (cioè, di fronte a voi nella vostra testa) e mi sa parecchio incazzati! Intuite che non gli è piaciuto il trattamento riservato a quelli dell’alpe. Jeeg sta preparando il maglio spaziale e Mazinga non so quale altra diavoleria. Riù, un po’ sfigato, accarezza il cane.
Ok, ora basta. Anticipate la disintegrazione totale del vostro cervello e vi alzate. Non ne potete più. Prima i maghi dell’oriente. Il respiro, il distacco… si… e ancora un po’ fate a botte con il cuscino. Poi i paesaggi alpini che si sono trasformati in una mini guerriglia animata.
Siete a pezzi. Peggio di come siete entrati in casa. Eppure cercavate solo un po’ di riposo. Massimo un’ora, giusto per dire che siete riusciti a non aprire gli occhi per sessanta minuti filati. Ma la verità vera è una sola: di questi tempi, oramai, il silenzio non va di moda. Siete così tanto abituati per tutto il giorno, per tutta la settimana e per tutto l’anno a sentire e vivere in mezzo ai rumori; storditi da parole banali ma che vi rimbombano nel cervello come se foste vicino ad un attentato dinamitardo; soverchiati dal frastuono delle auto, dei motorini, dei tosaerba, dei mezzi di cantiere e delle sirene.
Siete talmente assuefatti a tutto questo, che se per caso vi capita di non sentire più nulla il vostro sistema nervoso si incazza. Vuole il macello. Il suono del campanello. Il televisore a tutto volume e il vicino che urla come un’animale. Un motore che romba e un cretino che sgomma. Ha paura, avete paura del silenzio!
Ma c’è la soluzione. Domani andate in mezzo al traffico con un bel materasso. Lo appoggiate a terra, sulla di linea di mezzeria della strada, e vi sdraiate. Tranquilli. Magari concerete i vostri polmoni come quelli di uno che fuma sessanta sigarette al giorno, ma volete mettere che riposini!
Racconto scritto il 16/03/2016 - 16:22
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Voto: | su 2 votanti |
Commenti
Mi sono divertito a leggerlo, forse perché un po' tutti ci riconosciamo in quello che scrivi. È sicuramente una cruda realtà, abbiamo bisogno del caos per trovare un po' di tranquillita. Molto piaciuto. Ciao Gabriele.
Loris Marcato 17/03/2016 - 18:44
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Grazie Francesco.
Pensa che mio padre ce lo mise veramente il materasso in mezzo alla strada. Ma si trattava di rivendicare dei diritti calpestati
Grazie ancora
Pensa che mio padre ce lo mise veramente il materasso in mezzo alla strada. Ma si trattava di rivendicare dei diritti calpestati
Grazie ancora
Gabriele
gabriele marcon 17/03/2016 - 18:28
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Già... il silenzio non va più di moda. Certo è che al materasso in mezzo alla carreggiata, per un pisolino, non ci avrei mai pensato. Racconto particolare, che ho letto con piacere
Francesco Gentile 17/03/2016 - 18:19
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Onorato del tuo commento e per l'attenzione dimostrata al mio testo.
Grazie di cuore Salvo
Gabriele
Grazie di cuore Salvo
Gabriele
gabriele marcon 17/03/2016 - 17:59
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Buondì Gabriele,
ho molto apprezzato il suo stile di scrittura, mi ha vagamente ricordato Bukowski. Simpatica riflessione sull' attività abitudinaria dei neuroni.
Buona giornata.
ho molto apprezzato il suo stile di scrittura, mi ha vagamente ricordato Bukowski. Simpatica riflessione sull' attività abitudinaria dei neuroni.
Buona giornata.
salvo bonafè 17/03/2016 - 09:59
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