Velia trancia una mela selvatica, tonda, dalla buccia bianco rosata. La strofina sulla gonna che ha già raccolto fango lungo il sentiero che costeggia le terre di Alfonso, succoso, un po’ acerbo, con il cuore croccante. Occhieggia la villa in fondo al viale coccolato da cipressi dal profumo intenso, per lei quasi dolciastro.
Con il frutto stretto in mano procede nella direzione opposta, lontana il più possibile. Due passi e un cespuglio di crespino le graffia le gambe, le lacera il cuore. Velia strappa le bacche, rosse di passione, le stritola e osserva il liquido colare fra dita sporche di terra. Si accascia sotto il cespuglio e con lo sguardo spazia sulle stoppie di quella terra infame che le ha promesso l’incanto e l’amore prima di straziarle l’anima.
Le parole di Alfonso durante l’amplesso avevano giurato ricchezze inaspettate in un futuro ammantato di dolcezza. Aveva vissuto in un miraggio con campanelli fioriti e gialli a sussurrarle una melodia per irretirle i sensi. Una passione, la loro, consumata su un letto odoroso di timo con le dita conficcate nella terra a scaricare l’ardore. La tenuta di Alfonso aveva aperto le braccia e accolto i loro corpi stesi sotto quello stesso cespuglio che ora le suggerisce pensieri di morte.
Uno sguardo all’orizzonte per perdersi fra filari di viti e alberi succosi.
- La mia terra.
Il sarcasmo per ricordare che doveva essere sua e accoglierla come una Madre, mentre si era stretta a morsa incrostandole il corpo, imprigionandole lo Spirito.
- Mi ha reso culla per un figlio, il nostro bambino destinato a essere soltanto un errore.
Lacrime disperate per rigettare quel destino che le aveva digrignato un “Vattene!”
Velia getta la mela, lascia tracce di sangue sulle foglie e se ne va. Lei, diventata terra fertile, ma bastarda.
Con il frutto stretto in mano procede nella direzione opposta, lontana il più possibile. Due passi e un cespuglio di crespino le graffia le gambe, le lacera il cuore. Velia strappa le bacche, rosse di passione, le stritola e osserva il liquido colare fra dita sporche di terra. Si accascia sotto il cespuglio e con lo sguardo spazia sulle stoppie di quella terra infame che le ha promesso l’incanto e l’amore prima di straziarle l’anima.
Le parole di Alfonso durante l’amplesso avevano giurato ricchezze inaspettate in un futuro ammantato di dolcezza. Aveva vissuto in un miraggio con campanelli fioriti e gialli a sussurrarle una melodia per irretirle i sensi. Una passione, la loro, consumata su un letto odoroso di timo con le dita conficcate nella terra a scaricare l’ardore. La tenuta di Alfonso aveva aperto le braccia e accolto i loro corpi stesi sotto quello stesso cespuglio che ora le suggerisce pensieri di morte.
Uno sguardo all’orizzonte per perdersi fra filari di viti e alberi succosi.
- La mia terra.
Il sarcasmo per ricordare che doveva essere sua e accoglierla come una Madre, mentre si era stretta a morsa incrostandole il corpo, imprigionandole lo Spirito.
- Mi ha reso culla per un figlio, il nostro bambino destinato a essere soltanto un errore.
Lacrime disperate per rigettare quel destino che le aveva digrignato un “Vattene!”
Velia getta la mela, lascia tracce di sangue sulle foglie e se ne va. Lei, diventata terra fertile, ma bastarda.
Racconto scritto il 02/04/2016 - 15:41
Da Magia 66
Letta n.1423 volte.
Voto: | su 2 votanti |
Commenti
Un raccontino che definirei espressionista. Il linguaggio è infatti molto suggestivo, fortemente evocativo. Mi è piaciuto più per la forma che per il contenuto.
Giuseppe Novellino 04/04/2016 - 19:20
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Che bel racconto, forte e passionale! Odori di terra, frutti, sangue, dolori e amore straziato! Molto sentito e scritto con parole di effetto immediato!
Patrizia Bortolini 03/04/2016 - 22:30
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