Mi risvegliai nello stesso letto e nella stessa solita stanza
che sembrava una camera di ospedale. Nella sorpresa, sorrisi
anche, ecco era stato un sogno, strano, vivido, ma solo un
sogno. Poi, non so cosa me lo fece pensare, pensai che non
era così. Non era affatto un sogno. Né quella stanza, né la mia
morte, né tutto ciò che avevo vissuto. Sentivo ancora il dolore
della lancia che mi squarciava il cuore, ricordavo benissimo ogni
singolo maledetto momento di quell'agonia e di tutto ciò che
l'aveva preceduta! Quindi era un incubo, ma venni scosso dalla
solita voce robotica.
— Sei in grado di intendere? Mi disse come la prima volta.
Di nuovo? Risposi.
— Sono in attesa di richieste.
Ma come mai ritrovo di nuovo qui?
— Sono in attesa di richieste.
Voglio sapere cosa è successo!
— Sono in attesa di richieste.
Voglio una pistola colt 357 magnum, modello 1980, canna da tre
pollici, modello export! Chiesi, sempre urlando.
La dettagliai come avevo dovuto fare la prima volta che l'avevo
richiesta, tempo prima. Apparve vicino alla mia mano. La presi,
alzai il cane, me la puntai alla tempia ed urlai.
Se non saprò immediatamente cosa mi è successo, mi sparerò!
— Sono in attesa di richieste.
Premetti il grilletto. E la pistola scattò a vuoto. E già, non avevo
ancora chiesto le pallottole. Mi venne da ridere. Mi misi a ridere
e a piangere, al tempo stesso. Mi resi conto che se anche avessi
chiesto le pallottole, le avessi avute ed avessi caricato l'arma e mi
fossi sparato, dopo non molto, o forse dopo molto chi lo sa, mi
sarei trovato di nuovo in quel letto e che la cosa poteva andare
avanti all'infinito. Lasciai perdere e chiesi una bottiglia di
whisky. Poi un'altra. Alla metà della seconda crollai. L'alcool è
notoriamente un rimedio parziale ed inefficiente per risolvere i
problemi. L'effetto di sollievo dura poco, ma ha sgradevoli
conseguenze, dall'assuefazione al mal di testa del dopo sbronza.
Ma ha anche il vantaggio di essere rapido, economico, e di dare una euforica illusione di star bene. Quando mi svegliai di nuovo,
dopo l'ubriacatura, chiesi delle aspirine, dell'acqua, del succo di
frutta; e mi rimisi al lavoro. Richiesi subito molte delle cose che
avevo chiesto la prima volta, ad esempio scrivania e computer. E
mi rimisi a cercare di risolvere il problema a modo mio, come
avevo fatto la prima volta: scrivendo, preparando schede,
razionalizzando. Lavorai ininterrottamente per alcuni giorni.
Cosa sapevo? Che qualcuno mi aveva messo in una situazione
complessa, per un qualche suo motivo, e su questo argomento,
il chi, il come ed il perché, oltre non andavo: non avevo elementi
per ricavare altro; quindi dovevo posticipare questa parte del
problema a quando avessi avuto altri dati. In cosa consisteva
concretamente questa situazione complessa? Ovunque fossi ora,
ci sarei rimasto per più di due settimane, anzi esattamente per 15
giorni, 16 ore, 25 minuti e 33 secondi. Nel corso di questo
tempo, un meccanismo o un insieme di meccanismi predisposti a
rifornirmi di qualunque cosa avessi richiesto, qualunque oggetto
materiale, dopo di che sarei stato "immesso" in un mondo
estremamente simile alla Terra per caratteristiche esteriori
(atmosfera, biologia, ecosistema e mille altre cose), ma che era
un pianeta alieno. In questo mondo avrei trovato specie animali
identiche a quelle terrestri, anche alcune estinte e animali non
terrestri; avrei trovato anche esseri umani in tutto e per tutto
simili ai terrestri, come noi violenti ed aggressivi, ma forse non
più di noi. Per quello che ne sapevo senza dubbio più barbare e
comunque tecnologicamente meno evolute. Ma anche
questo non era detto: la tribù di cacciatori che avevo incontrato
era a livello di civiltà neolitica, ma sul pianeta ci poteva essere
anche altro: in fondo anche sulla Terra convivevano tecnologia
nucleare e, nelle foreste amazzoniche o malesiane, quella
neolitica. Se fossi stato ucciso, sarei stato resuscitato all'interno
di questa macchina, comunque in questo luogo nel quale
stavo facendo mente locale sugl’ultimi avvenimenti e riflettere di
come affrontare alla meglio questa insolita situazione. In realtà
non è detto che debba verificarsi di nuovo l’immissione? E se sì,
sarebbe successo sempre, o per un numero limitato di volte?
Avevo sette vite come i gatti o mille? O solo tre? Non che me ne
importasse più di tanto saperlo e fare l'esperienza all’infinito, intendiamoci. Ero morto. Ero stato ucciso. E non era stata una
esperienza gradevole. Non è come addormentarsi, vi assicuro, la
sofferenza e il dolore è tanto, però si aguzza l’ingegno per
sopravvivere e credo che ci rinvigorisce e ci ricarica di energia
vitale. Però l’intento è quello di evitare che accada di nuovo, la
sicurezza fisica era a quel punto il mio obiettivo principale, anzi,
rapidamente divenne la mia priorità. Cominciai a stilare liste su
liste di oggetti che avrebbero potuto essere utili per sopravvivere,
per difendermi, per muovermi. Le scrissi e le riscrissi all'infinito.
Ci lavorai con metodo ed a lungo. Mi resi conto che era inutile
chiedere di tutto; occorreva chiedere solo cose utili. Chiesi di
nuovo e prima di tutto armi e munizioni, escluso il carro armato,
era stata una scelta sciocco Chiesi di nuovo una mitraglietta il
kalashnikov RPK e relative munizionamento, 200 caricatori da
100 colpi l'uno. Poi pensai alle tigri ed ai selvaggi e raddoppiai la
provvista. Poi chiesi un fucile di precisione, un Anschutz
Savage, calibro 312 Hi-Speed, con cannocchiale; aggiunsi alla
lista bombe a mano, da assalto (solo con lampo e rumore) e da
difesa (tipo ananas, a frammentazione); un paio di grossi coltelli
da combattimento, un lanciamissili, il più elementare possibile,
con una riserva di 30 colpi. Mine antiuomo di tre tipi diversi, per
un totale di almeno 80 pezzi. Poi armi ad avancarica. Proprio
così: un paio di fucili ottocenteschi, con pallettoni e pallini, una
diecina di chili di polvere da sparo. E chiesi anche alcune
migliaia di capsule detonanti, ognuna delle quali equivaleva ad
un colpo ma di peso ed ingombro molto più limitato della
polvere da sparo. Sapevo che la polvere da sparo (diversamente
dalle capsule) è relativamente facile da farsi (chiesi alcuni libri
sull'argomento) e quelle armi avrebbero potuto funzionare a
lungo, anche quando avessi finito le pallottole per le armi più
moderne. Già che c'ero chiesi anche una pistola che emetteva una
scarica elettrica regolabile (mortale o tramortente), un paio di
archi e di balestre, con frecce e verrettoni in abbondanza, oltre a
punte e penne di bilanciamento per fabbricarne altre. Chiesi
attrezzi di tutti i tipi: dal martello ai chiodi, dalle tenaglie ai
trapani, dalle seghe alle asce, eccetera. Tutto ovviamente non
elettrico.
Chiesi anche contenitori di vetro, di plastica, di metallo,
di molte forme e dimensioni, per conservare cibi.
Poi viveri a lunga conservazione di tutti i tipi, dal latte
in polvere alla carne in scatola, dalla frutta sciroppata
in scatola ai salami; sale in quantità (prevedendo salature
di cibi locali ed in attesa di trovare il modo di trovare
il sale in loco). Medicine: dai cerotti agli antibiotici a largo
spettro, bende, anestetici, siringhe automatiche, un termometro,
alcuni ferri chirurgici, uno stetoscopio, dei manuali di pronto
soccorso, dei libri di medicina. Libri, poi, di tutti i tipi: manuali
di istruzioni, una piccola enciclopedia della tecnologia che mi
avrebbe permesso di ricostruirmi, forse, un modo di vivere
decente. Una macchina da scrivere portatile (un vecchio
modello, della Olivetti: tutta di metallo praticamente
indistruttibile; dieci nastri di ricambio (anni ed anni di scrittura
garantita) carta, matite, penne, cancelleria varia. Un mangianastri
a pile, ovviamente, ed una riserva di pile di vario formato per un
paio di mesi ed un bel po' di cassette di musica, per lo più
classica. Poi lo avrei dovuto buttare, ma almeno un po' mi
avrebbe aiutato, un mini gruppo elettrogeno che avrebbe potuto
funzionare, forse, con una cascata d'acqua, e una bussola (che
non avevo idea se avrebbe mai funzionato su un pianeta diverso
dalla Terra); da una riserva di spezie ed una ventina di chili d'oro
sotto forma di monete, lingotti e catenine ornamentali; gioielli,
pietre preziose. Scelsi l'oro perché pensai che probabilmente, a
meno che fosse super abbondante sul pianeta, anche lì sarebbe
stato un metallo prezioso, da usare negli scambi. L'oro è sempre
stato un metallo prezioso per tutte le civiltà terrestri ed il motivo
non è una specie di misteriosa "auri sacra fames" biologicamente
determinata, ma semplicemente il fatto che è un metallo
estremamente malleabile, con il quale anche solo battendolo con
una pietra si può fare di tutto, e soprattutto che non si ossida
mai, quindi finisce per creare intorno a sé leggende di
Immortalità. E gioielli e pietre per gli stessi motivi: gli esseri
umani sulla Terra (uomini e donne), in ogni tempo ed in
ogni luogo hanno sempre amato adornarsi di gioielli di
tutti i tipi. Insomma l'idea era: avere di che fare scambi e di che
difendermi. Per portare tutto ciò furono necessari 12 muli, che
provvidi a chiedere, scoprendo così che potevo chiedere
esseri viventi. In teoria avrei potuto chiederne altri, e chiedere
carri per trasportare il tutto. Ma il problema era che ero solo, e
già controllarne dodici sarebbe stato difficile. E già che c'ero
chiesi anche un po' di altri animali: un po' di galline, gallo
compreso, due capre femmine ed un caprone; tanto per far razza
ed avere uova fresche. Quando mi furono consegnati
direttamente lì, nella stanza in cui li chiedevo, apparvero liberi,
senza gabbie o stie. Non vi dico la confusione. Provvidi a
chiedere gabbie e stie e ci misi alcune ore per venirne a capo, che
stupido avrei potuto ordinare di farlo alla voce. Poi mi resi conto
che mi servivano anche il cibo per quegli animali,
ed un luogo adatto e quindi "ordinai" una stalla su misura.
Improvvisamente mi resi conto che forse quel gallo, quelle
galline, quella capra, forse venivano dalla Terra, ma forse no, mi
dissi subito. Per un attimo li avevo sentiti quasi come fratelli,
come amici. Anche in questa occasione mi accorsi solo in un
secondo momento di cosa mi ero dimenticato, di cosa avevo
chiesto in quantità eccessiva e di cosa in quantità esagerata; ma
sapete com'è, degli errori che facciamo, ce ne accorgiamo
sempre dopo. E d'altra parte, la situazione nella quale mi sarei
trovato non era davvero una situazione prevista in un qualche
manuale! Voi cosa avreste scelto al posto mio? Una radio, ad
esempio? E per farci che? Io la presi, intendiamoci, ma a parte il
fatto che andava a batterie e che quindi dopo poco si scaricò, ma
per sentire chi? Presi anche due walkie talkie, pensando che
avrebbero potuto essermi utili quando avessi trovano un alleato,
un amico. Ed un carica batterie da collegare all'impianto da
"allacciare" ad una cascata e non fu facile, chiedere ed ottenere.
Sempre per quella maledetta mania di dover precisare tutto fino
al minimo dettaglio d'archivio della macchina, ogni richiesta
era una fatica improba! Il tempo volò e fui di nuovo "immesso"
sul pianeta, con la stessa identica procedura, senza emozioni e
percezioni, con tutte le casse di tutti i materiali che avevo
richiesto e con i dodici muli ed i loro basti. Mi ritrovai all'aperto
di nuovo in una radura di un bosco, molto piccola, con un
sentiero largo pochi centimetri davanti a me. Mi chiesi se le
radure erano una costante. Ero teso e spaventato, stavolta, e
molto sulla difensiva. Decisi di non allontanarmi dal luogo in cui
ero certo ci fosse una "uscita" dal computer, con il vago progetto
di stipulare una alleanza con coloro che fossero usciti da
lì dopo di me, anche se per quel che ne sapevo potevano
passare anche anni prima che uscisse qualcun altro.
Cominciai a scavare una fossa. Avevo deciso infatti
che gran parte del materiale che avevo portato con me lo
avrei lasciato lì, in una buca non troppo profonda, e
impermeabilizzata con teli di plastica, e che sarei tornato di volta
in volta a prendere ciò di cui avevo bisogno. Ci impiegai un paio
di giorni a completare l'operazione, dormendo poche ore per
notte, all'interno del cerchio formato dai muli legati fra loro, a
titolo di difesa preventiva. Se fosse riapparsa una tigre (o chi
per lei, umani compresi) avrebbe assalito loro prima di
me; in quanto avevo edificato una specie di "muro" di carne.
Dormii con la mano sul kalashnikov RPK, svegliandomi diverse
volte in preda alla paura e di soprassalto. Poi mi venne in mente
che potevo disporre alcune mine antiuomo tutt'intorno al cerchio
dei muli e ad una certa distanza per di più; e collegarle a dei fili
di nylon. Cosa che feci (dopo aver letto con molta attenzione i
manuali di istruzione) e mi aiutò a dormire con maggiore facilità.
Dopo qualche giorno mi avviai sul sentiero per poche centinaia
di metri, tornai indietro e lo percorsi nella direzione opposta;
passai l'intera giornata a conoscere il territorio immediatamente
circostante. Il bosco era pieno di alberi alti, con un sottobosco
fitto ricco di sentieri, apparentemente "scavati" nel verde o da
animali o da piccoli torrenti primaverili da disgelo. Di nuovo non
c'erano sentieri "calpestati" da piedi umani, per lo meno
apparentemente. Trovai uno di questi torrenti più grande e
stabile, un piccolo fiume, un po' più a valle, e quindi decisi a
maggior ragione di stabilirmi vicino ad una fonte d'acqua,
sia per l'acqua in sé, sia per l'idea di trarre da una cascatella
naturale la corrente elettrica. Successivamente mi sono imbattuto
in una piccola grotta, 200 metri più a valle e mi ci stabilii; misi
tutte le provviste sul fondo, coperte da rami e da cespugli, tenni
le armi a portata di mano ed ammucchiai della legna secca vicino
all'ingresso ma non l'accesi: non volevo qualcuno vedesse la luce
del fuoco finché non fossi stato certo di essere in grado di
difendermi. Dormii alla meno peggio, svegliandomi diverse
volte, in parte per i rumori esterni, in parte per gli incubi
che affioravano. Sapevo di essere vivo e che in questo c'era una
qualche logica, ma il mio corpo ricordava solo l'orrore di una
morte subita poco prima: improvvisamente cominciavo a sudare
freddo e a tremare, senza potermi arrestare, era proprio come se
il mio corpo non potesse accettare l'idea di essere stato ucciso e
di essere ancora vivo, ma alla fine credo possa accettare la morte.
Credo anche però che non possa accettarla all’infinito; la può
accettare, se non ricorda, non so, forse sto dicendo delle
bestialità, ma quando ho un po' di tempo per pensare, ho
l’impressione che il mio corpo "ricordasse" a prescindere dal
fatto se ricordavo o meno io.
Cercavo di non pensare al fatto che ero probabilmente
morto due volte: non sapevo come razionalizzare questa cosa;
aldilà, della diversità del pianeta, ma ero senza dubbio morto due
volte. E se"io" smettevo di pensarci, se "io" riuscivo a non
pensarci, il mio corpo invece no: lui era sempre presente a
questo orrore e non si voleva adattare. E a volte mi affiorava
il pensiero che forse l'unico modo era uccidersi e rinascere,
continuare ad uccidermi, finché chi mi risuscitava non si fosse
stancato ed io sarei morto definitivamente, finalmente! Passai
due settimane a torturarmi, finché non mi calmai e smisi di
pensarci; nel frattempo mi ero orizzontato a sufficienza. Mi
trovavo sul costone esposto a sud di una montagna simile ad una
montagna terrestre, alta probabilmente oltre i 4000 metri.
Sempre approssimativamente e considerando il caldo, l'altezza
del sole ed altri particolari, tutti basati sulla mie impressioni di
montanaro della domenica, dovevo essere circa a 1000 metri di
altezza, in una zona temperata del pianeta ed in una stagione che
si avviava verso il caldo estivo. Intorno a me molti animali, fiori,
le prime bacche, e le giornate che si allungavano. Questo lo
dedussi subito dal gioco delle ombre su un orologio solare
che mi ero costruito in una spiazzo vicino alla mia capanna.
A forza di fare piccole esplorazioni e con l'aiuto del binocolo,
avevo trovato il luogo dove stabilirmi. Era in prossimità del
torrente, che faceva un'ansa in discesa; io mi ero messo nell'ansa,
così da avere il torrente, in alto ed in basso al tempo stesso, per
future opere idriche: avrei preso con dei tubi di terracotta o di
bambù l'acqua dall'alto, l'avrei usata ai miei scopi, per
restituirla al torrente in basso.
Nell'ansa c'era una specie di radura, leggermente inclinata,
con diversi cespugli, e su un lato del costone della montagna
c'era una ampia grotta, che era essenziale ai miei progetti.
Cominciai a costruirmi una capanna di tronchi. La capanna
era dapprima una capanna di rami costruita alla meno peggio
come copertura della grotta, che era ampia, areata ed asciutta, e
che aveva il grandissimo pregio di avere altre tre uscite, tutte e
tre piccole e nascoste nella vegetazione, ma al tempo stesso
praticabili. L'uscita della grotta, e quindi la capanna che ne
occultava l'ingresso, era esposta a sud ed aveva una bella
visuale sulla vallata; al tempo stesso era abbastanza coperta
dal bosco così da poter sperare di non essere notato
dalla vallata stessa, quando avessi fatto luce o fumo.
Quando mi fui rassicurato che non c'erano tracce umane nei
paraggi e dopo aver disposto un sistema di mine antiuomo
tutt'intorno alla radura, e sempre tenendo il kalashnikov RPK a
portata di mano, cominciai i lavori. L'idea era di costruire una
piattaforma dinanzi all'ingresso della grotta, poggiata a monte
nella rientranza stessa della grotta, ed a valle su due o più pilastri
di tronchi; su questa piattaforma avrei costruito la mia vera
e propria capanna di tronchi stile "far-west" americano,
con i tronchi ad incastro ad angolo retto negli angoli ed
il tetto inclinato per far slittare la neve. Avrei vissuto
nella capanna, ma avrei usato a molti altri scopi anche la
grotta. Fu dura. Ma il lavoro funzionava da terapia fisica e
psicologica, inoltre mi irrobustiva. Il problema non era trovare o
abbattere gli alberi, quanto trasportarli; non volevo infatti creare
una radura troppo grande intorno alla casa, per di più una radura
artificiale, con i ceppi dei tronchi tagliati; qualcuno avrebbe
potuto notarla. In prospettiva, infatti, volevo mimetizzare anche
la capanna, in modo che sembrasse una parte della radura
e del costone. I muli mi potevano aiutare, ma non poi tanto, dato
che sentieri non ce n'erano. Per altro nel frattempo me ne erano
morti cinque (di malattia, incidenti ed uno per una tigre e due
erano scappati, per cui ne avevo solo 5, che tenevo per lo più alla
cavezza nella grotta stessa. Tagliai gli alberi molto più a monte,
sfrondandoli e facendoli scivolare piano a valle con un sistema di
corde e di pulegge e servendomi di un paio di muli per volta.
Riuscivo a lavorare in questo modo un paio di tronchi al giorno.
Un giorno lavoravo ed un giorno cacciavo o raccoglievo. E
queste due attività erano sorprendentemente facili: la selvaggina
(cervi, daini, galli cedroni, la tipica selvaggina da foresta europea
o americana) abbondava come in un film naturalista ed era
facilissimo catturarla o ucciderla; dopo un po' non usavo più
neppure l'arco o il fucile e mi limitavo a porre trappole, alcune
con le tagliole che avevo chiesto alla macchina, altre che avevo
imparato a fare leggendo i manuali che avevo richiesto; c'erano
molti cespugli di bacche diverse e tutte dolci e commestibili, e
funghi identici a quelli della Terra (oltre ad altri mai visti, che
ovviamente non colsi) ed un tipo di albero da frutto che non
avevo mai visto e che produceva una specie di "pane" direi, una
specie di zucca, chiara e farinosa e quasi senza sapore, che però
tagliata a fette, lasciata seccare o tostata poteva sostituire
benissimo il pane. Dopo due mesi di dodici ore di lavoro al
giorno la piattaforma era ultimata insieme ai muri perimetrali ed
alle travi portanti del tetto, che coprii di rami, terra e frasche.
Mi dedicai alle altre difese passive intorno alla capanna. Scavai
un primo fossato e con la terra che scavavo alzavo un muretto
verso l'interno. Sul muretto misi dei paletti acuminati, sottili e di
diversa lunghezza e vi trapiantai dei rovi; trapiantai dei rovi
anche sulla sponda opposta del fossato, così che a prima vista,
chi vi fosse passato vicino avrebbe visto solo una fitta muraglia
di rovi alta un paio di metri dietro la quale una più alta e
fitta muraglia. Certo quando i rovi fossero abbondantemente
cresciuti. Questa doppia muraglia era come un cerchio di trenta
metri di diametro che circondava la mia casa, partendo dai
costoni della montagna; da un lato della muraglia il lavoro fu
molto difficile, perché era proprio sullo strapiombo;
e dagli altri lati la feci un po' più alta. La mia casa sporgeva dalla
grotta, e quindi la nascondeva, verso una radura circondata dalla
doppia muraglia. Dall'esterno e da pochi metri più in basso non
si poteva vedere niente; la casa poteva essere notata solo
dall'alto, ma per risolvere questo problema mi ero recato
proprio sulla sporgenza che mi sovrastava ed avevo notato
quanto era difficile e senza senso arrivarci; comunque per
precauzione decisi di mettere delle trappole in tutta quella parte
della montagna: chi fosse arrivato sul bordo della montagna
(sopravvivendo alle mine!), in quel punto si sarebbe visto
crollare il suolo sotto i piedi e sarebbe precipitato.
che sembrava una camera di ospedale. Nella sorpresa, sorrisi
anche, ecco era stato un sogno, strano, vivido, ma solo un
sogno. Poi, non so cosa me lo fece pensare, pensai che non
era così. Non era affatto un sogno. Né quella stanza, né la mia
morte, né tutto ciò che avevo vissuto. Sentivo ancora il dolore
della lancia che mi squarciava il cuore, ricordavo benissimo ogni
singolo maledetto momento di quell'agonia e di tutto ciò che
l'aveva preceduta! Quindi era un incubo, ma venni scosso dalla
solita voce robotica.
— Sei in grado di intendere? Mi disse come la prima volta.
Di nuovo? Risposi.
— Sono in attesa di richieste.
Ma come mai ritrovo di nuovo qui?
— Sono in attesa di richieste.
Voglio sapere cosa è successo!
— Sono in attesa di richieste.
Voglio una pistola colt 357 magnum, modello 1980, canna da tre
pollici, modello export! Chiesi, sempre urlando.
La dettagliai come avevo dovuto fare la prima volta che l'avevo
richiesta, tempo prima. Apparve vicino alla mia mano. La presi,
alzai il cane, me la puntai alla tempia ed urlai.
Se non saprò immediatamente cosa mi è successo, mi sparerò!
— Sono in attesa di richieste.
Premetti il grilletto. E la pistola scattò a vuoto. E già, non avevo
ancora chiesto le pallottole. Mi venne da ridere. Mi misi a ridere
e a piangere, al tempo stesso. Mi resi conto che se anche avessi
chiesto le pallottole, le avessi avute ed avessi caricato l'arma e mi
fossi sparato, dopo non molto, o forse dopo molto chi lo sa, mi
sarei trovato di nuovo in quel letto e che la cosa poteva andare
avanti all'infinito. Lasciai perdere e chiesi una bottiglia di
whisky. Poi un'altra. Alla metà della seconda crollai. L'alcool è
notoriamente un rimedio parziale ed inefficiente per risolvere i
problemi. L'effetto di sollievo dura poco, ma ha sgradevoli
conseguenze, dall'assuefazione al mal di testa del dopo sbronza.
Ma ha anche il vantaggio di essere rapido, economico, e di dare una euforica illusione di star bene. Quando mi svegliai di nuovo,
dopo l'ubriacatura, chiesi delle aspirine, dell'acqua, del succo di
frutta; e mi rimisi al lavoro. Richiesi subito molte delle cose che
avevo chiesto la prima volta, ad esempio scrivania e computer. E
mi rimisi a cercare di risolvere il problema a modo mio, come
avevo fatto la prima volta: scrivendo, preparando schede,
razionalizzando. Lavorai ininterrottamente per alcuni giorni.
Cosa sapevo? Che qualcuno mi aveva messo in una situazione
complessa, per un qualche suo motivo, e su questo argomento,
il chi, il come ed il perché, oltre non andavo: non avevo elementi
per ricavare altro; quindi dovevo posticipare questa parte del
problema a quando avessi avuto altri dati. In cosa consisteva
concretamente questa situazione complessa? Ovunque fossi ora,
ci sarei rimasto per più di due settimane, anzi esattamente per 15
giorni, 16 ore, 25 minuti e 33 secondi. Nel corso di questo
tempo, un meccanismo o un insieme di meccanismi predisposti a
rifornirmi di qualunque cosa avessi richiesto, qualunque oggetto
materiale, dopo di che sarei stato "immesso" in un mondo
estremamente simile alla Terra per caratteristiche esteriori
(atmosfera, biologia, ecosistema e mille altre cose), ma che era
un pianeta alieno. In questo mondo avrei trovato specie animali
identiche a quelle terrestri, anche alcune estinte e animali non
terrestri; avrei trovato anche esseri umani in tutto e per tutto
simili ai terrestri, come noi violenti ed aggressivi, ma forse non
più di noi. Per quello che ne sapevo senza dubbio più barbare e
comunque tecnologicamente meno evolute. Ma anche
questo non era detto: la tribù di cacciatori che avevo incontrato
era a livello di civiltà neolitica, ma sul pianeta ci poteva essere
anche altro: in fondo anche sulla Terra convivevano tecnologia
nucleare e, nelle foreste amazzoniche o malesiane, quella
neolitica. Se fossi stato ucciso, sarei stato resuscitato all'interno
di questa macchina, comunque in questo luogo nel quale
stavo facendo mente locale sugl’ultimi avvenimenti e riflettere di
come affrontare alla meglio questa insolita situazione. In realtà
non è detto che debba verificarsi di nuovo l’immissione? E se sì,
sarebbe successo sempre, o per un numero limitato di volte?
Avevo sette vite come i gatti o mille? O solo tre? Non che me ne
importasse più di tanto saperlo e fare l'esperienza all’infinito, intendiamoci. Ero morto. Ero stato ucciso. E non era stata una
esperienza gradevole. Non è come addormentarsi, vi assicuro, la
sofferenza e il dolore è tanto, però si aguzza l’ingegno per
sopravvivere e credo che ci rinvigorisce e ci ricarica di energia
vitale. Però l’intento è quello di evitare che accada di nuovo, la
sicurezza fisica era a quel punto il mio obiettivo principale, anzi,
rapidamente divenne la mia priorità. Cominciai a stilare liste su
liste di oggetti che avrebbero potuto essere utili per sopravvivere,
per difendermi, per muovermi. Le scrissi e le riscrissi all'infinito.
Ci lavorai con metodo ed a lungo. Mi resi conto che era inutile
chiedere di tutto; occorreva chiedere solo cose utili. Chiesi di
nuovo e prima di tutto armi e munizioni, escluso il carro armato,
era stata una scelta sciocco Chiesi di nuovo una mitraglietta il
kalashnikov RPK e relative munizionamento, 200 caricatori da
100 colpi l'uno. Poi pensai alle tigri ed ai selvaggi e raddoppiai la
provvista. Poi chiesi un fucile di precisione, un Anschutz
Savage, calibro 312 Hi-Speed, con cannocchiale; aggiunsi alla
lista bombe a mano, da assalto (solo con lampo e rumore) e da
difesa (tipo ananas, a frammentazione); un paio di grossi coltelli
da combattimento, un lanciamissili, il più elementare possibile,
con una riserva di 30 colpi. Mine antiuomo di tre tipi diversi, per
un totale di almeno 80 pezzi. Poi armi ad avancarica. Proprio
così: un paio di fucili ottocenteschi, con pallettoni e pallini, una
diecina di chili di polvere da sparo. E chiesi anche alcune
migliaia di capsule detonanti, ognuna delle quali equivaleva ad
un colpo ma di peso ed ingombro molto più limitato della
polvere da sparo. Sapevo che la polvere da sparo (diversamente
dalle capsule) è relativamente facile da farsi (chiesi alcuni libri
sull'argomento) e quelle armi avrebbero potuto funzionare a
lungo, anche quando avessi finito le pallottole per le armi più
moderne. Già che c'ero chiesi anche una pistola che emetteva una
scarica elettrica regolabile (mortale o tramortente), un paio di
archi e di balestre, con frecce e verrettoni in abbondanza, oltre a
punte e penne di bilanciamento per fabbricarne altre. Chiesi
attrezzi di tutti i tipi: dal martello ai chiodi, dalle tenaglie ai
trapani, dalle seghe alle asce, eccetera. Tutto ovviamente non
elettrico.
Chiesi anche contenitori di vetro, di plastica, di metallo,
di molte forme e dimensioni, per conservare cibi.
Poi viveri a lunga conservazione di tutti i tipi, dal latte
in polvere alla carne in scatola, dalla frutta sciroppata
in scatola ai salami; sale in quantità (prevedendo salature
di cibi locali ed in attesa di trovare il modo di trovare
il sale in loco). Medicine: dai cerotti agli antibiotici a largo
spettro, bende, anestetici, siringhe automatiche, un termometro,
alcuni ferri chirurgici, uno stetoscopio, dei manuali di pronto
soccorso, dei libri di medicina. Libri, poi, di tutti i tipi: manuali
di istruzioni, una piccola enciclopedia della tecnologia che mi
avrebbe permesso di ricostruirmi, forse, un modo di vivere
decente. Una macchina da scrivere portatile (un vecchio
modello, della Olivetti: tutta di metallo praticamente
indistruttibile; dieci nastri di ricambio (anni ed anni di scrittura
garantita) carta, matite, penne, cancelleria varia. Un mangianastri
a pile, ovviamente, ed una riserva di pile di vario formato per un
paio di mesi ed un bel po' di cassette di musica, per lo più
classica. Poi lo avrei dovuto buttare, ma almeno un po' mi
avrebbe aiutato, un mini gruppo elettrogeno che avrebbe potuto
funzionare, forse, con una cascata d'acqua, e una bussola (che
non avevo idea se avrebbe mai funzionato su un pianeta diverso
dalla Terra); da una riserva di spezie ed una ventina di chili d'oro
sotto forma di monete, lingotti e catenine ornamentali; gioielli,
pietre preziose. Scelsi l'oro perché pensai che probabilmente, a
meno che fosse super abbondante sul pianeta, anche lì sarebbe
stato un metallo prezioso, da usare negli scambi. L'oro è sempre
stato un metallo prezioso per tutte le civiltà terrestri ed il motivo
non è una specie di misteriosa "auri sacra fames" biologicamente
determinata, ma semplicemente il fatto che è un metallo
estremamente malleabile, con il quale anche solo battendolo con
una pietra si può fare di tutto, e soprattutto che non si ossida
mai, quindi finisce per creare intorno a sé leggende di
Immortalità. E gioielli e pietre per gli stessi motivi: gli esseri
umani sulla Terra (uomini e donne), in ogni tempo ed in
ogni luogo hanno sempre amato adornarsi di gioielli di
tutti i tipi. Insomma l'idea era: avere di che fare scambi e di che
difendermi. Per portare tutto ciò furono necessari 12 muli, che
provvidi a chiedere, scoprendo così che potevo chiedere
esseri viventi. In teoria avrei potuto chiederne altri, e chiedere
carri per trasportare il tutto. Ma il problema era che ero solo, e
già controllarne dodici sarebbe stato difficile. E già che c'ero
chiesi anche un po' di altri animali: un po' di galline, gallo
compreso, due capre femmine ed un caprone; tanto per far razza
ed avere uova fresche. Quando mi furono consegnati
direttamente lì, nella stanza in cui li chiedevo, apparvero liberi,
senza gabbie o stie. Non vi dico la confusione. Provvidi a
chiedere gabbie e stie e ci misi alcune ore per venirne a capo, che
stupido avrei potuto ordinare di farlo alla voce. Poi mi resi conto
che mi servivano anche il cibo per quegli animali,
ed un luogo adatto e quindi "ordinai" una stalla su misura.
Improvvisamente mi resi conto che forse quel gallo, quelle
galline, quella capra, forse venivano dalla Terra, ma forse no, mi
dissi subito. Per un attimo li avevo sentiti quasi come fratelli,
come amici. Anche in questa occasione mi accorsi solo in un
secondo momento di cosa mi ero dimenticato, di cosa avevo
chiesto in quantità eccessiva e di cosa in quantità esagerata; ma
sapete com'è, degli errori che facciamo, ce ne accorgiamo
sempre dopo. E d'altra parte, la situazione nella quale mi sarei
trovato non era davvero una situazione prevista in un qualche
manuale! Voi cosa avreste scelto al posto mio? Una radio, ad
esempio? E per farci che? Io la presi, intendiamoci, ma a parte il
fatto che andava a batterie e che quindi dopo poco si scaricò, ma
per sentire chi? Presi anche due walkie talkie, pensando che
avrebbero potuto essermi utili quando avessi trovano un alleato,
un amico. Ed un carica batterie da collegare all'impianto da
"allacciare" ad una cascata e non fu facile, chiedere ed ottenere.
Sempre per quella maledetta mania di dover precisare tutto fino
al minimo dettaglio d'archivio della macchina, ogni richiesta
era una fatica improba! Il tempo volò e fui di nuovo "immesso"
sul pianeta, con la stessa identica procedura, senza emozioni e
percezioni, con tutte le casse di tutti i materiali che avevo
richiesto e con i dodici muli ed i loro basti. Mi ritrovai all'aperto
di nuovo in una radura di un bosco, molto piccola, con un
sentiero largo pochi centimetri davanti a me. Mi chiesi se le
radure erano una costante. Ero teso e spaventato, stavolta, e
molto sulla difensiva. Decisi di non allontanarmi dal luogo in cui
ero certo ci fosse una "uscita" dal computer, con il vago progetto
di stipulare una alleanza con coloro che fossero usciti da
lì dopo di me, anche se per quel che ne sapevo potevano
passare anche anni prima che uscisse qualcun altro.
Cominciai a scavare una fossa. Avevo deciso infatti
che gran parte del materiale che avevo portato con me lo
avrei lasciato lì, in una buca non troppo profonda, e
impermeabilizzata con teli di plastica, e che sarei tornato di volta
in volta a prendere ciò di cui avevo bisogno. Ci impiegai un paio
di giorni a completare l'operazione, dormendo poche ore per
notte, all'interno del cerchio formato dai muli legati fra loro, a
titolo di difesa preventiva. Se fosse riapparsa una tigre (o chi
per lei, umani compresi) avrebbe assalito loro prima di
me; in quanto avevo edificato una specie di "muro" di carne.
Dormii con la mano sul kalashnikov RPK, svegliandomi diverse
volte in preda alla paura e di soprassalto. Poi mi venne in mente
che potevo disporre alcune mine antiuomo tutt'intorno al cerchio
dei muli e ad una certa distanza per di più; e collegarle a dei fili
di nylon. Cosa che feci (dopo aver letto con molta attenzione i
manuali di istruzione) e mi aiutò a dormire con maggiore facilità.
Dopo qualche giorno mi avviai sul sentiero per poche centinaia
di metri, tornai indietro e lo percorsi nella direzione opposta;
passai l'intera giornata a conoscere il territorio immediatamente
circostante. Il bosco era pieno di alberi alti, con un sottobosco
fitto ricco di sentieri, apparentemente "scavati" nel verde o da
animali o da piccoli torrenti primaverili da disgelo. Di nuovo non
c'erano sentieri "calpestati" da piedi umani, per lo meno
apparentemente. Trovai uno di questi torrenti più grande e
stabile, un piccolo fiume, un po' più a valle, e quindi decisi a
maggior ragione di stabilirmi vicino ad una fonte d'acqua,
sia per l'acqua in sé, sia per l'idea di trarre da una cascatella
naturale la corrente elettrica. Successivamente mi sono imbattuto
in una piccola grotta, 200 metri più a valle e mi ci stabilii; misi
tutte le provviste sul fondo, coperte da rami e da cespugli, tenni
le armi a portata di mano ed ammucchiai della legna secca vicino
all'ingresso ma non l'accesi: non volevo qualcuno vedesse la luce
del fuoco finché non fossi stato certo di essere in grado di
difendermi. Dormii alla meno peggio, svegliandomi diverse
volte, in parte per i rumori esterni, in parte per gli incubi
che affioravano. Sapevo di essere vivo e che in questo c'era una
qualche logica, ma il mio corpo ricordava solo l'orrore di una
morte subita poco prima: improvvisamente cominciavo a sudare
freddo e a tremare, senza potermi arrestare, era proprio come se
il mio corpo non potesse accettare l'idea di essere stato ucciso e
di essere ancora vivo, ma alla fine credo possa accettare la morte.
Credo anche però che non possa accettarla all’infinito; la può
accettare, se non ricorda, non so, forse sto dicendo delle
bestialità, ma quando ho un po' di tempo per pensare, ho
l’impressione che il mio corpo "ricordasse" a prescindere dal
fatto se ricordavo o meno io.
Cercavo di non pensare al fatto che ero probabilmente
morto due volte: non sapevo come razionalizzare questa cosa;
aldilà, della diversità del pianeta, ma ero senza dubbio morto due
volte. E se"io" smettevo di pensarci, se "io" riuscivo a non
pensarci, il mio corpo invece no: lui era sempre presente a
questo orrore e non si voleva adattare. E a volte mi affiorava
il pensiero che forse l'unico modo era uccidersi e rinascere,
continuare ad uccidermi, finché chi mi risuscitava non si fosse
stancato ed io sarei morto definitivamente, finalmente! Passai
due settimane a torturarmi, finché non mi calmai e smisi di
pensarci; nel frattempo mi ero orizzontato a sufficienza. Mi
trovavo sul costone esposto a sud di una montagna simile ad una
montagna terrestre, alta probabilmente oltre i 4000 metri.
Sempre approssimativamente e considerando il caldo, l'altezza
del sole ed altri particolari, tutti basati sulla mie impressioni di
montanaro della domenica, dovevo essere circa a 1000 metri di
altezza, in una zona temperata del pianeta ed in una stagione che
si avviava verso il caldo estivo. Intorno a me molti animali, fiori,
le prime bacche, e le giornate che si allungavano. Questo lo
dedussi subito dal gioco delle ombre su un orologio solare
che mi ero costruito in una spiazzo vicino alla mia capanna.
A forza di fare piccole esplorazioni e con l'aiuto del binocolo,
avevo trovato il luogo dove stabilirmi. Era in prossimità del
torrente, che faceva un'ansa in discesa; io mi ero messo nell'ansa,
così da avere il torrente, in alto ed in basso al tempo stesso, per
future opere idriche: avrei preso con dei tubi di terracotta o di
bambù l'acqua dall'alto, l'avrei usata ai miei scopi, per
restituirla al torrente in basso.
Nell'ansa c'era una specie di radura, leggermente inclinata,
con diversi cespugli, e su un lato del costone della montagna
c'era una ampia grotta, che era essenziale ai miei progetti.
Cominciai a costruirmi una capanna di tronchi. La capanna
era dapprima una capanna di rami costruita alla meno peggio
come copertura della grotta, che era ampia, areata ed asciutta, e
che aveva il grandissimo pregio di avere altre tre uscite, tutte e
tre piccole e nascoste nella vegetazione, ma al tempo stesso
praticabili. L'uscita della grotta, e quindi la capanna che ne
occultava l'ingresso, era esposta a sud ed aveva una bella
visuale sulla vallata; al tempo stesso era abbastanza coperta
dal bosco così da poter sperare di non essere notato
dalla vallata stessa, quando avessi fatto luce o fumo.
Quando mi fui rassicurato che non c'erano tracce umane nei
paraggi e dopo aver disposto un sistema di mine antiuomo
tutt'intorno alla radura, e sempre tenendo il kalashnikov RPK a
portata di mano, cominciai i lavori. L'idea era di costruire una
piattaforma dinanzi all'ingresso della grotta, poggiata a monte
nella rientranza stessa della grotta, ed a valle su due o più pilastri
di tronchi; su questa piattaforma avrei costruito la mia vera
e propria capanna di tronchi stile "far-west" americano,
con i tronchi ad incastro ad angolo retto negli angoli ed
il tetto inclinato per far slittare la neve. Avrei vissuto
nella capanna, ma avrei usato a molti altri scopi anche la
grotta. Fu dura. Ma il lavoro funzionava da terapia fisica e
psicologica, inoltre mi irrobustiva. Il problema non era trovare o
abbattere gli alberi, quanto trasportarli; non volevo infatti creare
una radura troppo grande intorno alla casa, per di più una radura
artificiale, con i ceppi dei tronchi tagliati; qualcuno avrebbe
potuto notarla. In prospettiva, infatti, volevo mimetizzare anche
la capanna, in modo che sembrasse una parte della radura
e del costone. I muli mi potevano aiutare, ma non poi tanto, dato
che sentieri non ce n'erano. Per altro nel frattempo me ne erano
morti cinque (di malattia, incidenti ed uno per una tigre e due
erano scappati, per cui ne avevo solo 5, che tenevo per lo più alla
cavezza nella grotta stessa. Tagliai gli alberi molto più a monte,
sfrondandoli e facendoli scivolare piano a valle con un sistema di
corde e di pulegge e servendomi di un paio di muli per volta.
Riuscivo a lavorare in questo modo un paio di tronchi al giorno.
Un giorno lavoravo ed un giorno cacciavo o raccoglievo. E
queste due attività erano sorprendentemente facili: la selvaggina
(cervi, daini, galli cedroni, la tipica selvaggina da foresta europea
o americana) abbondava come in un film naturalista ed era
facilissimo catturarla o ucciderla; dopo un po' non usavo più
neppure l'arco o il fucile e mi limitavo a porre trappole, alcune
con le tagliole che avevo chiesto alla macchina, altre che avevo
imparato a fare leggendo i manuali che avevo richiesto; c'erano
molti cespugli di bacche diverse e tutte dolci e commestibili, e
funghi identici a quelli della Terra (oltre ad altri mai visti, che
ovviamente non colsi) ed un tipo di albero da frutto che non
avevo mai visto e che produceva una specie di "pane" direi, una
specie di zucca, chiara e farinosa e quasi senza sapore, che però
tagliata a fette, lasciata seccare o tostata poteva sostituire
benissimo il pane. Dopo due mesi di dodici ore di lavoro al
giorno la piattaforma era ultimata insieme ai muri perimetrali ed
alle travi portanti del tetto, che coprii di rami, terra e frasche.
Mi dedicai alle altre difese passive intorno alla capanna. Scavai
un primo fossato e con la terra che scavavo alzavo un muretto
verso l'interno. Sul muretto misi dei paletti acuminati, sottili e di
diversa lunghezza e vi trapiantai dei rovi; trapiantai dei rovi
anche sulla sponda opposta del fossato, così che a prima vista,
chi vi fosse passato vicino avrebbe visto solo una fitta muraglia
di rovi alta un paio di metri dietro la quale una più alta e
fitta muraglia. Certo quando i rovi fossero abbondantemente
cresciuti. Questa doppia muraglia era come un cerchio di trenta
metri di diametro che circondava la mia casa, partendo dai
costoni della montagna; da un lato della muraglia il lavoro fu
molto difficile, perché era proprio sullo strapiombo;
e dagli altri lati la feci un po' più alta. La mia casa sporgeva dalla
grotta, e quindi la nascondeva, verso una radura circondata dalla
doppia muraglia. Dall'esterno e da pochi metri più in basso non
si poteva vedere niente; la casa poteva essere notata solo
dall'alto, ma per risolvere questo problema mi ero recato
proprio sulla sporgenza che mi sovrastava ed avevo notato
quanto era difficile e senza senso arrivarci; comunque per
precauzione decisi di mettere delle trappole in tutta quella parte
della montagna: chi fosse arrivato sul bordo della montagna
(sopravvivendo alle mine!), in quel punto si sarebbe visto
crollare il suolo sotto i piedi e sarebbe precipitato.
Racconto scritto il 28/06/2016 - 00:50
Da Savino Spina
Letta n.1327 volte.
Voto: | su 0 votanti |
Commenti
Ah, ecco, la seconda puntata, e non l'ultima. Bene, ottimo brano anche questo, sulle orme di Robinson Crusoe. Un saluto
Luciano B. 28/06/2016 - 14:29
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