Una farfalla ferita (novella dedicata alle vittime del femminicidio).
"Lasciate in pace
le mie cicatrici
non le coprite,
non sono esse
a doversi vergognare,
per me son state
delle strade
e dei binari
dove scorreva veloce
tutto il mio dolore
che arrivava sempre
nel profondo del mio cuore."
Le infermiere pensando sia passa escono dalla stanza e la lasciano da sola con l'uomo, lui la guarda e lei regge bene il suo sguardo con fierezza e con un senso di sfida:
"Ed ora mi rivolgo a te,
uomo bastardo,
la vedi questa tela nuda
piena di graffi
che ti sta davanti
è stata la tua opera
più macabra e dolorosa,
sei un artista maledetto,
sei fiero di te stesso?
Rispondi!
No, non puoi farlo
perché finalmente ora
non puoi nemmeno parlare
ed ora tocca a te ascoltarmi.
Sai non erano gli schiaffi,
e nemmeno le parole,
a ferirmi tanto
ma bensì i tuoi occhi,
quelli si,
che mi facevan male
quando con disprezzo
e derisione
mi guardavi
dopo aver abusato di me
fino a ridurmi
in un ammasso informe
di sangue e rabbia.
E adesso che sei inerme
su questo letto d'ospedale
sembri un verme
che combatte con forza
per non morire,
mi fai quasi pena
mentre vedo le tue labbra
schiudersi a fatica
quasi recitassero
una flebile preghiera,
se fosse così
ti giuro che mi trasformerei in vento
pur d'impedire che essa valichi i confini
di questo tetto celeste,
la tua orazione
non avviverà davanti a Dio.
Ma prima di andarmene
voglio regalarti una cosa
per me molto preziosa
questa lacrima che tengo stretta
nella mia mano
l'ho presa proprio in fondo all'anima
dove si trovava insieme ad altre cento
tienila, è tua, portala con te
ovunque ti troverai nell'aldilà
la tua eternità si trasformerà
così in una lenta e lunghissima
agonia, e come una piovra di rimorsi
e dolori, ti stritolerà per sempre
in un oblio senza mai una fine,
mi cercherai, per potermi dire: perdonami!
Ma io non ci sarò,
non mi troverai più.
Ed ora addio mostro,
addio bastardo!"
Esce dalla stanza sbattendo con forza la porta dietro di se, ed in quel lungo corridoio d'ospedale infermieri, dottori e semplici visitatori la osservano provando anche un po' di pena per quel corpo senza anima lacerato e seviziato, figlio solo della violenza e della follia umana che riduce l'uomo ad una bestia immonda, qualcuno bisbiglia dicendo: è solo una donna! Ma nel suo cuore lei sapeva di essere molto di più, era un essere umano e come tale apparteneva solo a se stessa, e doveva essere custodita ed amata come tutti gli altri. Scende le scale e mentre lo fa, per la prima volta, Michela si sente felice, fuori piove e qualche goccia bagna i suoi zigomi ma lei non le asciuga, alza lo sguardo, sorride, e con dolcezza e dignità esclama:
"ho sopportato le mie lacrime, farò lo stesso anche con quelle delle nuvole!"
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