Antartide non era affatto una ragazza dall’usuale abitudine d’amare chiunque avesse a tiro: nella trappola ci cadeva assai difficilmente. Nell’arco dei suoi mielati diciassette anni, era capitombolata in quel tranello che era l’infatuarsi di qualche ragazzino un paio di volte, non di più; conclusione dei fatti? Le rade volte in cui ella s’innamorava, lo faceva intensamente, profondamente; fin troppo, probabilmente. Era più semplice dimenticasse come si scrivesse, come si trattenesse il respiro, anziché smettesse di lasciare anche solo per un breve attimo che il proprio cuore battesse all’impazzata per colui che era stato in grado di rapirle il cuore.
Delle volte si era sentita perduta: non provava amore per nessuno, e quell’apatia provocata dall’incapacità di provare sentimenti per qualsiasi essere umano non faceva che consumarla, spegnerla lentamente ed inesorabilmente. Tutto quel di cui aveva bisogno era una distrazione, positiva o negativa che fosse; necessitava di qualcuno che la facesse sentire preziosa tanto quanto rarefatta. Era proprio per tale motivo che ogni tentativo d’accantonare quello che sentiva per quell’affabile ragazzo dal fare insolente e benevole allo stesso tempo le era impensabile, impossibile. Dal momento in cui si era catapultato nella sua vita, aveva cominciato a farne parte. Lei? Mai avrebbe immaginato che su quella spiaggia, quel lontano 2 luglio 2013, assieme ai suoi amici, sarebbe andata incontro a qualcosa di ineluttabile tanto quanto bello, sentimento gentile tanto quanto logorante. Tutto cominciato da un semplice e fatale incrocio di sguardi.
Al calar di quella sera, le stelle cominciavano a far capolineo; e chissà cos’era quello che la ragazza desiderava ardentemente al cascare d’ognuna di esse, anche perché lui pareva averla capita dal primo momento in cui l’aveva vista.
Le serate successive a quella erano state l’avvenirsi di una favola: era con fare strafottente e allo stesso tempo affettuoso che, sotto quel tappeto di stelle che parevano osservarli, era riuscito a conquistarla. «Mi fai ridere», aveva spiattellato subito dopo averla conosciuta.
Offesa e con fare autoritario, «e per quale assurdo motivo?», aveva domandato lei.
«Non lo so, hai l’aria di essere lunatica».
Al seguito di quell’affermazione si era limitata a lanciargli un’occhiataccia. “Ma guarda un po’ che gente mi tocca conoscere”, si era detta fra sé e sé, senza neppure essersi preoccupata di sapere come si chiamasse e chi effettivamente fosse, inconsapevole di come sarebbe stato in grado di stregarla nelle ore successive, seppur, nel suo inconscio, già attratta da lui: ebbene sì, ci era voluto ben poco affinché il ragazzetto s’interessasse a quella tipa dall’aria bipolare e cercasse in tutti i modi di adescarla. Quella lì, difatti, fu una lunga nottata di battibecchi: pareri differenti, discussioni sopra discussioni sotto gli occhi di tutta la compagnia ed un fuoco caldo avevano fatto sì che tra i due scattasse qualcosa di ben più profondo del semplice interesse: erano in disaccordo su ogni cosa, ma entrambi amavano supportare le proprie teorie affinché l’altro continuasse con il proprio dissenso e la conversazione (o dibattito) non avesse fine. L’umidità di quella notte non era più così umida, il freddo non era poi così freddo, il calore del fuoco non era poi così percepibile; si trattava solamente di quei due attaccabrighe che litigavano. E forse c’era qualcosa che brillava più di quel tappeto che li ricopriva; gli occhi dell’adolescente erano illuminati, infatuati. Solamente uno sciocco non se ne sarebbe accorto. Essi non erano semplicemente accesi, ma brillavano. Brillavano di luce propria. Quel qualcosa di cui la diciassettenne necessitava aveva rigorosamente cominciato ad ardere.
Il tutto era terminato con le birre abbandonate sulla sabbia, il fuoco ormai spento e le coperte calde a riscaldare le braccia dei ragazzi addormentati attorno ad esso su un tramonto dal sentore di gelsomino. Antartide? Dolcemente appisolata sulla spalla del suo acerrimo nemico. Proprio così. Che le giornate successive fossero nulla se non una continua ricerca di passare il più tempo possibile assieme è un’altra storia: la scusa dei disaccordi non era più valida, i due avevano ben altro per la testa, nel momento in cui si erano prefissati lo stesso obiettivo: far breccia nel desiderio di essere, in un qualche modo, nel loro piccolo, di proprietà dell’altro; solo per un’estate, solo per quel poco che bastava per star bene.
Si sarebbe successivamente scoperto che il vero bipolare e lunatico della storia era proprio il biondo impertinente e non la povera mora, ma a lei andava bene così. Ormai, non c’era nulla che l’attirasse più del suo amore sgarbato, non c’era nulla che l’abbracciasse più forte di quel sentore d’appartenenza nei confronti del giovane. Era proprio per questo che aveva accettato con sguardo sognante nello stesso momento in cui lui, persuasivo, l’aveva indotta a seguirlo sopra un motorino che suo non era e di guidarlo era sì e no la prima volta che lo faceva. E mai avrebbe potuto lontanamente immaginare che nello stesso momento in cui era salita a bordo assieme al suo pseudo cavaliere, stava esalando il suo ultimo respiro di tranquillità. Quello che aveva seguito l’imprudenza di entrambi ci scorta senza troppi giri di parole nello stesso luogo in cui la dolce ed innamorata ragazza dagli occhi che brillavano deciderà di donare lui lo stesso organo che gli si era irrimediabilmente consumato dopo lo schianto.
“Dopo la bellezza di tredici giorni passati assieme, non posso ancor dire d’esser innamorata” – e qui già mentiva, ma questa è un’altra storia – “ma non posso che rivelarti quanto ancora desideri litigare con te” aveva letto lui dopo le interminabili ore in sala operatoria, incredulo. Sguardo angosciato, occhi blu ch’erano ormai un pozzo di lacrime, cuore allarmato, articolazioni doloranti, ogni nervo preoccupato. Tutto era già tornato alla memoria, e quel foglietto che scorticava tra le mani vedeva una dolce calligrafia piantata su di esso. “Non posso esattamente esprimere quel che mi hai fatto provare perché i sentimenti padroni di ogni momento sono quasi un segreto nel successivo, ma posso dirti che mi sentivo bene. Con te, ho cominciato a vivere.”
Delle volte si era sentita perduta: non provava amore per nessuno, e quell’apatia provocata dall’incapacità di provare sentimenti per qualsiasi essere umano non faceva che consumarla, spegnerla lentamente ed inesorabilmente. Tutto quel di cui aveva bisogno era una distrazione, positiva o negativa che fosse; necessitava di qualcuno che la facesse sentire preziosa tanto quanto rarefatta. Era proprio per tale motivo che ogni tentativo d’accantonare quello che sentiva per quell’affabile ragazzo dal fare insolente e benevole allo stesso tempo le era impensabile, impossibile. Dal momento in cui si era catapultato nella sua vita, aveva cominciato a farne parte. Lei? Mai avrebbe immaginato che su quella spiaggia, quel lontano 2 luglio 2013, assieme ai suoi amici, sarebbe andata incontro a qualcosa di ineluttabile tanto quanto bello, sentimento gentile tanto quanto logorante. Tutto cominciato da un semplice e fatale incrocio di sguardi.
Al calar di quella sera, le stelle cominciavano a far capolineo; e chissà cos’era quello che la ragazza desiderava ardentemente al cascare d’ognuna di esse, anche perché lui pareva averla capita dal primo momento in cui l’aveva vista.
Le serate successive a quella erano state l’avvenirsi di una favola: era con fare strafottente e allo stesso tempo affettuoso che, sotto quel tappeto di stelle che parevano osservarli, era riuscito a conquistarla. «Mi fai ridere», aveva spiattellato subito dopo averla conosciuta.
Offesa e con fare autoritario, «e per quale assurdo motivo?», aveva domandato lei.
«Non lo so, hai l’aria di essere lunatica».
Al seguito di quell’affermazione si era limitata a lanciargli un’occhiataccia. “Ma guarda un po’ che gente mi tocca conoscere”, si era detta fra sé e sé, senza neppure essersi preoccupata di sapere come si chiamasse e chi effettivamente fosse, inconsapevole di come sarebbe stato in grado di stregarla nelle ore successive, seppur, nel suo inconscio, già attratta da lui: ebbene sì, ci era voluto ben poco affinché il ragazzetto s’interessasse a quella tipa dall’aria bipolare e cercasse in tutti i modi di adescarla. Quella lì, difatti, fu una lunga nottata di battibecchi: pareri differenti, discussioni sopra discussioni sotto gli occhi di tutta la compagnia ed un fuoco caldo avevano fatto sì che tra i due scattasse qualcosa di ben più profondo del semplice interesse: erano in disaccordo su ogni cosa, ma entrambi amavano supportare le proprie teorie affinché l’altro continuasse con il proprio dissenso e la conversazione (o dibattito) non avesse fine. L’umidità di quella notte non era più così umida, il freddo non era poi così freddo, il calore del fuoco non era poi così percepibile; si trattava solamente di quei due attaccabrighe che litigavano. E forse c’era qualcosa che brillava più di quel tappeto che li ricopriva; gli occhi dell’adolescente erano illuminati, infatuati. Solamente uno sciocco non se ne sarebbe accorto. Essi non erano semplicemente accesi, ma brillavano. Brillavano di luce propria. Quel qualcosa di cui la diciassettenne necessitava aveva rigorosamente cominciato ad ardere.
Il tutto era terminato con le birre abbandonate sulla sabbia, il fuoco ormai spento e le coperte calde a riscaldare le braccia dei ragazzi addormentati attorno ad esso su un tramonto dal sentore di gelsomino. Antartide? Dolcemente appisolata sulla spalla del suo acerrimo nemico. Proprio così. Che le giornate successive fossero nulla se non una continua ricerca di passare il più tempo possibile assieme è un’altra storia: la scusa dei disaccordi non era più valida, i due avevano ben altro per la testa, nel momento in cui si erano prefissati lo stesso obiettivo: far breccia nel desiderio di essere, in un qualche modo, nel loro piccolo, di proprietà dell’altro; solo per un’estate, solo per quel poco che bastava per star bene.
Si sarebbe successivamente scoperto che il vero bipolare e lunatico della storia era proprio il biondo impertinente e non la povera mora, ma a lei andava bene così. Ormai, non c’era nulla che l’attirasse più del suo amore sgarbato, non c’era nulla che l’abbracciasse più forte di quel sentore d’appartenenza nei confronti del giovane. Era proprio per questo che aveva accettato con sguardo sognante nello stesso momento in cui lui, persuasivo, l’aveva indotta a seguirlo sopra un motorino che suo non era e di guidarlo era sì e no la prima volta che lo faceva. E mai avrebbe potuto lontanamente immaginare che nello stesso momento in cui era salita a bordo assieme al suo pseudo cavaliere, stava esalando il suo ultimo respiro di tranquillità. Quello che aveva seguito l’imprudenza di entrambi ci scorta senza troppi giri di parole nello stesso luogo in cui la dolce ed innamorata ragazza dagli occhi che brillavano deciderà di donare lui lo stesso organo che gli si era irrimediabilmente consumato dopo lo schianto.
“Dopo la bellezza di tredici giorni passati assieme, non posso ancor dire d’esser innamorata” – e qui già mentiva, ma questa è un’altra storia – “ma non posso che rivelarti quanto ancora desideri litigare con te” aveva letto lui dopo le interminabili ore in sala operatoria, incredulo. Sguardo angosciato, occhi blu ch’erano ormai un pozzo di lacrime, cuore allarmato, articolazioni doloranti, ogni nervo preoccupato. Tutto era già tornato alla memoria, e quel foglietto che scorticava tra le mani vedeva una dolce calligrafia piantata su di esso. “Non posso esattamente esprimere quel che mi hai fatto provare perché i sentimenti padroni di ogni momento sono quasi un segreto nel successivo, ma posso dirti che mi sentivo bene. Con te, ho cominciato a vivere.”
Racconto scritto il 28/09/2016 - 15:54
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