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Mio padre

Oh Marco passa dai ... goaaaallll! Grande Marco, passaggio perfetto. Adesso devo andare; a domani. No, non posso restare, lo sapete com'è, no? Ho gli allenamenti. Io faccio atletica non il calciatore. Non posso… mio padre...Ci vediamo.
Anni 80. Periferia di Milano. Case popolari. In una di quelle ci stavo io con la mia famiglia. Io, mia sorella, mio fratello, mia madre e.…mio padre. La scuola, gli amici, lo sport e.…mio padre. Il natale, i pochi soldi, le figurine panini, le biglie e.…mio padre. Poi anche le fidanzatine, i brufoli, i primi peli sotto il naso e.…mio padre. Io praticavo l’atletica all'epoca. La corsa. Se ben ricordo, correvo sempre. Voglio dire, non solo al campo di allenamento. Li ne facevo di chilometri. Sei volte la settimana, dieci o quindici chilometri al giorno. E poi...mio padre.
Non ero proprio brocco o scarso. Mi capitava di vincere, poco, ma succedeva. "Grande Gabri. Accidenti, primo! Ma te lo immagini? Roba da stare svegli tutta la notte”. Quello era lo stato d’animo; l'emozione come dire, naturale. E poi ciò che ti dicevano gli amici e, cavolo, tu stesso: sei stato bravo! Ma...mio padre no. Tutto normale. Solo un tuo dovere. Solo roba da raccontare ai suoi amici... Con il tempo ho fatto presto ad abituarmi e finirla di dirmi che ero bravo…
Ah sì, dicevo… correvo tutto il giorno. Esagerato? No. Correre sull'autobus per andare a scuola. Correre all'intervallo per la focaccia dal prestinaio o fornaio o quello che è insomma. Correre all'autobus per tornare a casa. Correre al cesso...per… beh avete capito. Mangiare di corsa, studiare di corsa, scendere dagli amici di corsa e correre agli allenamenti di...corsa. Tornare a casa di corsa e poi ...mio padre.
Una atmosfera assurda. Ogni sera era come lanciare la moneta: testa riuscivi a mangiare senza abbassare gli occhi; croce...eravamo in croce. Allarme, drizzate le orecchie, abbassate il televisore e rimanete il più vicino possibile alla finestra che dà sulla strada principale. No, non era la sirena che avvertiva di mettersi al riparo dalle bombe come in guerra. Anche perché si era negli anni ottanta. Era nostro padre che da un momento all’altro sarebbe arrivato; e allora…bisognava scattare come molle. Dopo un po', mi ero autoconvinto che quella discesa veloce giù per le scale e farsi trovare puntuale all’appuntamento con l’apertura del box, dovevo prenderla come una gara: arrivare prima che mio padre fosse in procinto di scendere dall’auto e sollevare la saracinesca. Più di una volta, nel precipitarmi come un kamikaze giù per gli scalini, mi imbattevo negli inquilini del palazzo. Sapevano tutti, ormai, cosa stava accedendo. Allora si appiccicavano alla ringhiera delle scale in modo da non creare alcun ostacolo alla mia folle corsa.
Perché?... Perché' mi obbligavi a correre come un disperato per aprirti il box ...perché?! Non te l'ho mai chiesto, Cazzo!!! Perchéeeeeee????!!!!
Volevo bene a mio padre. Non so esattamente come. Come volevate bene a vostro padre voi? Cioè, lo bbracciavate...o vi abbracciava? O entrambe le cose? Vi baciava all'improvviso senza preavviso? O come? Vi lasciava scegliere lo sport che più' vi andava di praticare o sceglieva lui per voi? Vi svegliava alle due di notte perché il pavimento non era perfettamente pulito? E tu ti rannicchiavi sotto le coperte quando sentivi aprire la porta, tenendo solo uno spiraglio per respirare e sperare. Speravii…speravi…Ascoltavi i passi per capire dove si trovasse in quel momento. Avvertivi che si avvicinava alla porta della cameretta e richiudevi in fretta anche il piccolo pertugio per far passare l’aria. E pregavi…pregavi che non piombasse in camera sbraitando.
Mio padre mi baciava senza preavviso. E per me era come vincere il primo premio della lotteria di capodanno.
Alla sera, dopo mangiato, lui era lì seduto a guardare il televisore...e io gli portavo il caffè...mi sembra di sentirlo ancora il profumo di quel caffè...e l’odore di tabacco.
Poi mi sedevo sul divano e aspettavo. A volte...invano. Mi dicevo che era stanco, preoccupato, pensieroso, agitato, indebitato...e aspettavo. Non disturbavo. E a volte, accadeva. Mi chiamava e mi stringeva. E la tensione si scioglieva. Era tutto quello che desideravo. Nient'altro. Sentirsi al sicuro. Senza paure. Protetto dal tuo eroe. L'unico che non ti avrebbe mai abbandonato.
Di tanto in tanto mi confidava che dei tre ero il suo preferito. Non che ci badassi troppo. Io adoravo i miei fratelli...e anche mio padre li amava. Ne sono certo. Ma ti faceva sentire ancora più al sicuro. Però, se non arrivavi in tempo ad aprirgli la saracinesca... Non so, ma era come se si trasformasse. Come se si sentisse trascurato, respinto, tradito. Non amato. Allora..." Pà, scusa, ma non ho sentito il clacson...poi il rumore della tua auto assomiglia ad altre e.…no pà...aia! Non l'ho fatto apposta...va bene, starò più attento. Scusa”.
Volevo bene a mio padre. Non so come. Per me era l'uomo con più coraggio al mondo. Un papà d'acciaio.
Io ho odiato mio padre...perché non mi faceva sentire normale. Perché mi faceva sentire sempre in colpa. Perché ho sempre invidiato le altre famiglie. Perché quella cazzo di saracinesca, o la polvere sui mobili pareva contassero di più di un figlio. Merda! Perché? Io l'ho aperta centinaia di volte quella saracinesca! Cazzo! Non puoi fare il pazzo o menarci per un pezzo di tolla! Mi sentivo un mendicante in cerca di un cenno d’approvazione così da calmare il tumulto che avevo dentro. La paura… il sudore freddo…l’angoscia.
Volevo bene a mio padre. Era il mio eroe. Nessuno era come lui.
Voglio bene a mio figlio. Lo amo. Lo abbraccio. Lo bacio. E… non gli faccio sollevare la saracinesca.
Amate i vostri figli. Abbracciateli, baciateli. Affiancateli ma non sommergeteli. Consigliateli ma non obbligateli. Ascoltateli con le orecchie e con il cuore. Ma ricordate: non sono una vostra proprietà. Sono individui che hanno bisogno di guardare con i loro occhi e di sbagliare per le loro scelte. Forse così ve li ritroverete sempre.
Mio padre non c'è più da un pezzo. Ho pianto quando è morto.
Gli voglio ancora bene.
E ho capito perché voleva che gli alzassi la saracinesca.



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Racconto scritto il 08/11/2016 - 17:18
Da gabriele marcon
Letta n.1323 volte.
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Commenti


Grazie per averlo letto, Patrizia.
Le sospensioni rappresentano qualcosa rimasto in sospeso, appunto. Il racconto nasce come monologo che porterò dove possibile. Perché credo sia ancora attuale l'incomprensione. Ora, forse, e' diventata disattenzione, superficialità o peggio.
Grazie ancora
Gabriele

gabriele marcon 08/11/2016 - 23:27

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Racconto intenso ed angosciante. Forse troppi puntini di sospensione. L'incomprensione tra padri e figli è sempre un argomento che tocca il cuore. L'affetto non dimostrato un problema che riguarda molti e che lascia i segni nel comportamento. Hai reso con efficacia la sofferenza del tuo animo.

Patrizia Bortolini 08/11/2016 - 22:41

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