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Sidewalk

Un urlo senza suono. Castrato. Nausea, un cucchiaino di rabbia, pennellate incontrollate di nevrotica ossessione.
Quel tratto affollato di sidewalk lo conduceva ai limiti, sensibilmente erosi, della sopportazione. Insopprimibile abitudine, un richiamo proveniente dal profondo sconosciuto; qualcosa simile ad un obbligo che, se non espletato, moriva la coscienza. Breve sofferenza e, poi, esigenza.
Gente comune e accomunata da simboli consumati. Infinite maschere ben curate di fronte ad un solo specchio uguale per tutti: poco democratico? Nessun referendum, nessuna richiesta di primarie.
L'occhio attento, come deve essere per un buon lavoro, gli permetteva di smascherare la ben simulata accettazione e rispetto dell'altrui dignità. Era sufficiente fissare un gesto, un lieve movimento oculare, un sorriso preparato ed il gioco era fatto: distinguere il vile prendersi gioco, dall'ingenuo ed insolito, per i tempi, prendersi cura; ascolto e risposta al dolore quotidiano inflitto o autoindotto degli altri.
Quel tratto di cemento appena degno di supportare il via vai tra il distratto e l'irrinunciabile, simboleggiava per lui un piccolo ma rappresentativo mondo. Un naturale campione statistico, un exit poll di risposte senza domande; un microcosmo brulicante di apparente vita. Strisce al lato della strada con sfumature diverse di grigio, nero, marrone o come l'allucinazione partoriva, posate in milioni di angoli di un mondo. O, forse, di tanti mondi.
Alcune migliaia di centimetri sopraelevati, lastricati da sudore mai sufficientemente retribuito ma utili a supportare o disilludere le sue convinzioni e condanne prive di tribunali popolari. Poco democratico? Ma non c'è punizione.
E poi tic sfibranti e lacrime rispedite a nanna per ovvia inutilità. Nel mentre saliva prepotente la sensazione di folle onnipotenza, dopo poco soverchiata da sudori freddi, aritmia e dominante angoscia.
Una striscia di terra, un lembo di asfalto climatizzato da respirazione superficiale, affamata di aria pulita. Onesta. Rigenerante. Lo avvertiva in tutti o, quasi, i viandanti. Lui era con loro. Loro erano con lui.
Era palpabile la volontà di interrompere il percorso schedulato ancor prima di vedere la luce, di emettere il primo vagito( Siamo nell'anno 2030...l'amore si fa solo tramite internet...). Questo il punto: il percorso, il viaggio. Svegliarsi il mattino dopo e decidere per sempre: una nuova direzione, ad occhi chiusi e la paura al guinzaglio.
Accogliere da vivi il temporale sebbene fosse il sole l'ospite gradito.
Per cosa? L'ultimo treno per la vita. Quella che restava.



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Racconto scritto il 09/12/2016 - 16:48
Da gabriele marcon
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