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Eppure c'ero

Rosalba frequentava il quarto anno di liceo classico, e da un anno stava con un ragazzo fantastico, sembrava che la sua vita stesse percorrendo i binari giusti. Era l'inizio di giugno quando, preoccupata per un ritardo, fece il test di gravidanza. Alla positività, non voleva crederci e ne fece un’altro di nuovo; in preda al panico telefonò ad una sua amica, che le consigliò di rivolgersi ad un consultorio: lei abita a Cassino, in una zona centrale, e non ha avuto problemi a trovarlo. Pensava soltanto che non poteva essere vero; ha sempre lottato fino all'ultimo contro l'evidenza delle cose che non voleva accettare, anche quando, due anni prima, poco prima del suo quindicesimo compleanno, per telefono era arrivata la notizia che il suo papà era morto, si era messa a gridare che non era vero. Chiamò il consultorio e quando le riferirono che i due test erano affidabili si mise a piangere, priva di ogni controllo, chiese che cosa poteva fare? Sostenendo: "io non posso avere un bambino, non posso", continuava a ripetere. Furono molto gentili, la calmarono, le dissero di andare da loro per una visita. Ne parlò con il ragazzo, erano sconvolti, terrorizzati, non si rendevano conto di come potesse essere accaduto: avevano sempre usato il preservativo! Sapevamo tutti e due che la loro non era la condizione adatta per un figlio. Due liceali, senza grandissime risorse economiche, con due famiglie piene d'amore per loro ma fragili, fatte di persone che hanno sofferto molto. Sono entrambi senza papà, e lei ha una mamma e una nonna diverse tra di loro, che la amano in modi differente, ma che sono accomunate dal fatto di essere due persone complesse, difficili da gestire, piene di ansie per lei. Le ha sempre percepite, più che come sostegno, come persone da sostenere, senza nulla togliere a tutto ciò che hanno fatto per lei. Da subito, capì che avrebbe dovuto abortire ed è sempre stata a favore della maternità consapevole, e quindi dell'ivg, ma si diceva sempre che forse, trovandosi in quella situazione, non sarebbe riuscita ad interrompere la gravidanza. Le sono sempre piaciuti i bambini, fin da piccola, ha sempre fantasticato sui suoi futuri figli, ha sempre creduto che il giorno in cui avesse scoperto di aspettarne uno sarebbe stato il più bello della sua vita. Amara ironia della sorte: il giorno più bello si è trasformato in quello peggiore. Questo le ha procurato un forte tormento interiore e un grosso rimorso per la scelta, che sta per fare. La prima visita ginecologica l’accompagna il ragazzo e la sua amica, l'unica a sapere della gravidanza. La dottoressa fu molto gentile, si accorse che era tesissima, e non solo per la paura del dolore della visita, e la tranquillizzò. Poiché era minorenne, le spiegò che se non voleva coinvolgere i suoi tutori, avrebbe dovuto prima avere un colloquio con la psicologa del consultorio, e poi rivolgersi ad un giudice minorile per richiedere l'ivg. Così, una mattina saltò la scuola e andò, sempre con il ragazzo e la sua amica, dalla psicologa. La psicologa La trattò con molta delicatezza, volle sapere i motivi della sua scelta, si accorse che teneva molto all'equilibrio delle persone a lei care, che avrebbero visto un figlio come la fine di ogni speranza per il futuro di Rosalba. Si offerse di aiutarla anche in seguito, se l'avesse voluto, ma per adesso non è mai tornata da lei, ne da nessun altro psicoterapeuta, forse ne avesse bisogno? Qualche giorno dopo andò in tribunale, da sola, saltando di nuovo la scuola, e quel giorno era di turno un giudice obiettore! La segretaria la invitò a tornare il giorno seguente. Tornò, sempre da sola, impaurita e imbarazzata, e per fortuna trovò un giudice donna, che, letta la relazione della psicologa, la trattò bene e le diede i documenti di cui aveva bisogno. Poi, dovette andare a fare le analisi, e l'ecografia. Il ginecologo che le fece l’ecografia non voltò lo schermo verso di lei, e gliene fu grata. Lei chiese se stesse avendo perdite di sangue. Lei rispose di sì, che le succedeva di frequente. Le disse che forse avrebbe avuto un aborto spontaneo, al che provò un misto di sollievo, paura, e sollievo per il senso di colpa. Poi le diede la data dell'intervento: venerdì santo. Il livello del suo stress, intanto, cresceva di continuo, ed era aggravato dalla necessità di dissimularlo, di continuare a recitare la parte di sempre con le persone che amava, a scuola, con gli amici. Si gettava a capofitto nello studio e in ogni altra occupazione che le permettesse di non pensare, ma era inutile. In fondo a lei, dentro di lei, l'unico pensiero fisso era rivolto al suo bambino che non sarebbe nato. Per colpa mia, ma come faccio, si diceva, come faccio a decidere da sola per me, per la mia famiglia, per il mio ragazzo, per la sua famiglia? E' troppo pesante, questa scelta, troppo enorme. Avrei voluto affianco il mio papà; a lui avrei chiesto aiuto, lui che era forte, lui che avrebbe capito, ma lui non c'era. Ne parlava con qualche sua amica, con il ragazzo, ma per quanto le stessero vicini, nessuno di loro sembrava capire davvero quel che stava vivendo. Andò una settimana in gita scolastica, e fu un disastro: perdite di sangue, vomito, capogiri, per fortuna aveva con se il ragazzo, ma si sentiva lo stesso orribilmente sola, sentiva distintamente un gran desiderio di morire o di fuggire. Fantasticava sulla possibilità di scappare, lontana da tutti, i mesi necessari per partorire, e poi tornare, con in braccio il suo bambino. Fantasticava di proteggerlo contro tutto, poi tornava alla realtà, e si chiedeva: che vita posso offrirgli? Si sentiva persa. La sera dell’intervento, ha chiesto alla luna, al suo papà, a un Dio in cui non crede, di non far succedere niente di grave durante l'aborto. Pensava a cosa sarebbe successo se i suoi cari fossero stati avvertiti dall'ospedale che era in pericolo, scoprendo così cosa Stava facendo senza che loro lo sapessero. Era rimasta così in tensione, per tutto quel tempo, che non era mai riuscita a farsi sopraffare dai sentimenti, temendo che potesse trapelare qualcosa. Ma quella notte, chiese perdono al suo bambino, gli chiese di tornare da lei quando fosse stata pronta ad accoglierlo, pianse, si morse forte le braccia per non urlare. Alle sette era arrivata in ospedale in taxi, digiuna; era circa l'ottava settimana di gravidanza, l’ha raggiunta subito il suo ragazzo. Ha guardato con molta timidezza le sue due compagne di stanza, lì per il suo stesso motivo, timide e impacciate per lo stesso motivo... Il personale è stato più che fantastico, persone allegre, disponibili, sensibili. Una donna filippina, anche lei degente, le si è avvicinata e le ha detto "sei proprio una bambina", e le stesse parole ha ripetuto più tardi un'infermiera, con una dolcezza che non scorderà mai. Il farmaco che le hanno somministrato prima dell'intervento le ha fatto uno strano effetto. Non ha controindicazioni su tutte, ma su di lei ha reagito con dolori fortissimi, continuava ad alzarsi dal letto per andare a vomitare, e il ragazzo che la sorreggeva, e lei che voleva vomitare se stessa. Piangeva in silenzio, e vomitava; verso l'una l’hanno portata in sala operatoria. Stava malissimo soprattutto psicologicamente, anche per il pudore che ha del suo corpo. Sapersi in mano ad estranei,la faceva sentire ulteriormente umiliata. Quando le hanno avvicinato al viso la maschera con il gas per addormentarla, ha inspirato a pieni polmoni: bramava l'incoscienza, voleva andarsene da se stessa per un po', voleva dimenticare ciò che stava per succederle. Si è svegliata con accanto il suo ragazzo, sentendosi, in un certo senso, sollevata. Ha fatto merenda con un bel budino al cioccolato, ha scherzato con gli infermieri. "E' finita", pensava, "è tutto finito, ho finito di mentire, ho finito di fingere". Si sbagliava, non ha finito di fingere, di non aver mai subito un trauma così grande. Non finirà mai. Tuttora, è il suo pensiero costante; la sua anima e il suo corpo non hanno dimenticato la vita che è stata strappata loro. La decisione che ha preso le pesa e immagina quello che potrebbe aver detto il non nascituro: “Mi mancavano, meno di 200 giorni per venire al mondo, ma ora non più, non vedrò più la luce; non la vedrò mai la luce. Si parla di gravidanza indesiderata e io sono indesiderato, non so che sistema useranno per farmi fuori e nemmeno mi interessa. Così hanno deciso o ha deciso, non so; la capisco però, mia madre, non condannatela. Su cosa volete convincere? A non abortire? Ad abortire? E a me nessuno vuol sentire? Anche se sono solo un ammasso di cellule, posso dire: io sono. Anch’io esisto ora. Solo che io avrei preferito fare l’esperienza dell’esistenza materiale. Nascere, camminare a carponi, piangere per i dentini che spuntano, sputare la pastina in faccia all’ospite di turno. Stupirmi per il mondo. Per i colori, i suoni i profumi. Tirare la coda al gattino, sporcare con la mani il divano nuovo. E poi ancora le tante prime volte. L’asilo nido, io e gli altri, e poi, la scuola elementare, la bicicletta, la prima ragazza, e tante e tante altre prime volte. Io sono la causa del tuo stato, ma non ti influenzerò. Non so nulla del tuo mondo. Quello che so, è per sentito dire. Avverto la tua tensione e continuando così lo divento anch’io. È l’ambiente in cui viviamo nei primi anni della vita che esalta determinati comportamenti. E se nessuno ci guida, si finisce per ascoltare solo i propri istinti e non più la ragione.
Come la nave priva di bussola e di timone mancante, per il mare a destra e a manca va, sulle onde sale ma cade anche e se Eolo vuole corre e sugli scogli si infrange o sulla sabbia s’arena e sta, così procede chi della ragione il lume ha perso e quello della fede ha spento.
Mamma, se decidi di non abortire, ricorda di non considerami un bambolotto, sappi che passerai le notti a cullarmi, e la mattina dovrai andare a scuola e la sera non potrai uscire. E questo non per qualche giorno. Per anni. E poi forse non potrai andare all’università e potresti anche avere problemi a trovare un lavoro e anche una persona che ti possa amare. Dovrai farmi da mamma e da papà. Per la crescita di ogni bambino sono importanti entrambe le figure. Mamma, io sarò un ingombro e anche un peso economico.
Ci sono tanti impegni da affrontare mamma. E devi essere tu, solo tu a decidere. Ascolta però la nonna, il nonno, i dottori, gli assistenti sociali, i preti, chi ha abortito e chi ci ha ripensato. È naturale. Hai subito uno shock. Ti stanno dando dei farmaci. Ma non è questa la cura. Forse sono io la cura a questo tuo stato. Tu sei piccola e io più di te. Prendiamoci per mano e proviamo ad andare avanti insieme.
Ma anche se lo farai, so che non ti dimenticherai mai di me. So che continuerò a vivere sempre nel tuo cuore. E so anche che ad un certo punto della tua vita sarai presa dal rimorso. Ma tant’è. Ti do’ solo un consiglio, mamma, quando starai sul lettino se senti battere forte il cuore, alzati e vai via. Altrimenti se ti senti tranquilla, procedi pure, io non soffrirò, sarò tranquillo anch’io”. Rosalba, dopo l’ipotetico punto di vista, di quello che ormai non c’è più, riflette sulla storia, che le ha raccontato Carla, una ragazza ancora più piccola di lei (quindici anni), che come lei doveva abortire. Stava nella sua stessa stanza e nel letto accanto e le ha confidato che stava andando a scuola e si è fermata in chiesa per pregare; quel giorno aveva il compito in classe e voleva un aiutino dall’alto. Era inginocchiata e il parroco l’ha fatta alzare, non c’era nessuno in chiesa, oltre lei; le ha fatto una scenata perché nella casa del signore, ha detto, non si entra in modo indecente. Indossava una minigonna e una di quelle magliettine che lasciano scoperta tutta la pancia, l’ha portata di là in sagrestia, continuando la scenata. Carla è diventata rossa e si è messa a piangere, ma lui ha continuato con tante stupidaggini, del tipo è un’offesa al signore, prendete esempio dalla vergine immacolata Maria; poi ha iniziato ad offenderla chiamandola piccola puttana e offende anche la madre e il padre. Le ha sollevato allora la gonna dicendo vediamo se sei vergine anche tu, chissà quanti ne hai già provati. Si è alzato la tunica, e dalla mutande ha preso ciò cha avrebbe dovuto non utilizzare più dopo aver fatto voto di castità. Ma si sa, la carne è debole. E la volontà molle. Ed è così che l’ha violentata; la ragazza era vergine. Poi l’ha anche minacciata. Non raccontare niente a nessuno, le ha detto, le fiamme dell’inferno ti bruceranno se dirai qualcosa, nessuno ti crederà, sei una puttana, io sono invece un rispettabile parroco. Il vescovo che si è occupato dell’aborto. Rosalba ha pensato: “Certi preti si preoccupano più di amministrare che pregare e non era la prima volta che quel parroco lo faceva. La curia sapeva di altri casi, ed era stato trasferito qui da noi. Ora sarà trasferito in qualche altro paesino perduto; così potrà approfittare di tante altre bambine e ragazzine rimanendo sempre impunito. Più poveri sono i paesi, più potere pensano di avere le persone come questo parroco. La curia preferisce spostare il male da un posto all’altro invece di curarlo. Preferiscono nascondere, loro. Ma, agli occhi di chi? Ho sentito dire che una delle prime cose fatte da questo papa, non appena salito al soglio di san Pietro, è stata quella di stabilire che i bambini che muoiono senza battesimo vanno direttamente in paradiso. Si è messo la coscienza a posto, lui. Invece di curare il male e i preti come questo parroco.
A volte si domanda: se tornassi indietro, lo rifarei? Non lo so. Forse sì, forse davvero non avevo altra scelta. Ora usa la pillola, ma se le dovesse ricapitare in futuro non potrei per nulla al mondo rivivere questo incubo. Le donne vivono una contraddizione continua: la società condanna chi abortisce, li dice di fare figli, e quando li fanno, se hanno meno di una certa età, li considera strane, o fallite, le toglie ogni possibilità di andare avanti professionalmente, la loro stessa famiglia le giudica male. E sempre schiacciate in mezzo, tra sensi di colpa e incalzanti aspettative del mondo esterno. Le fa male sentire le posizioni di gran parte della società, non solo ecclesiastica, che addita chi abortisce come un'assassina, come un mostro. Come fanno a parlare di misericordia, persone che non hanno pietà e comprensione per una scelta così difficile e dolorosa, per quella che per molte donne è una tragedia che segnerà per sempre la loro vita? Cosa avrebbe dovuto fare Carla? Era da tanto tempo che Rosalba sentiva il bisogno di condividere il suo dolore, ora in parte è sollevata è un po' meno inquieta.



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Racconto scritto il 04/01/2017 - 16:31
Da Savino Spina
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In Italia l'interruzione volontaria di gravidanza è regolata dalla Legge 194/78. Secondo tale Legge quando la donna è minorenne (art. 12), per interrompere la gravidanza nei primi 90 giorni è necessario il consenso di entrambi i genitori o di chi esercita la tutela. Tuttavia, quando per vari motivi ciò non sia possibile, il giudice tutelare può dare il consenso all'interruzione della gravidanza.
È necessario rivolgersi al Consultorio Familiare dove una ostetrica, una ginecologa ed una psicologa compiranno gli opportuni accertamenti medici e valuteranno insieme alla ragazza e al suo partner (ove lei lo consenta) le circostanze che hanno portato alla decisione di interrompere la gravidanza, consigliandola sulle possibili alternative, sui suoi diritti e sulle strutture di sostegno sociali e sanitarie a cui può fare ricorso, sia durante la gravidanza sia dopo il parto.
In seguito, il Consultorio Familiare è tenuto ad emettere, entro sette giorni dalla data della richiesta, una relazione.

Savino Spina 04/01/2017 - 18:07

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