Vivevano a Parigi. La città dell'arte, della poesia, della musica. La città dell'amore. Ma per uno scherzo del destino, nella sua periferia più squallida. Nelle banlieue. Non Versailles o Neuilly-sur-Seine ma a Clichy-sous-Bois che era come Aulnay-sous-Bois o Sevran. Posti dimenticati dal mondo dove la depressione della gente viaggiava a pari passo con la violenza, con la droga, con la privazione della volontà di essere un umano a volte. Scene di stupro si nascondevano quotidianamente dietro cassonetti in fondo a ciechi vicoli. C'erano occhi che guardavano, bocche che tacevano. E lo schiacciarsi del cielo sopra quella parte di mondo, provocava a volte, a dire il vero troppe volte, un salto nel vuoto e uno schianto a terra. C'era sempre qualcuno che proveniva da fuori città, da qualcosa a parer suo peggio, quando il peggio invece lo stava per investire.
"Hei ragazzi,c'è l'ho, c'è l'ho finalmente tra le mani!"
"Che cosa Reneè, sei andato in bagno e te lo sei visto per la prima volta? Ora chi lo molla più!Ahahahaahhh"
"Renee' vai dalle ragazze, che magari ti fanno qualche servizietto!"
"Andate a quel paese! Il cd, il Black Album. Ieri notte in centro davanti al Virgin ci saranno state se nò mille persone"
"E tu, lì, con quel coso!"
"Smettetela! Enter Sandman, Sad But True, The Unforgiven...sono bellissime..."
"Hei amico, smettila lo dici a quel travestito di tua madre....e mettitelo in quel posto il CD, è nero come me, sai quanto ti farà male!"
"A chi hai dato del travestito?"
"A tua madre, quella buona donna!"
Reneè era una ragazzo che sognava. Voleva essere rispettato nel gruppo. Non lo era mai. E a volte finiva faccia a terra con il suo sangue che colava dal naso. Come questa volta.
"Lascia che ti aiuti!" disse Charlotte lasciando prontamente le amiche a avvicinandosi a terra, davanti a lui
"Lasciami, andatevene tutti al diavolo!". Troppa rabbia chiudeva la sua anima. Reneè senza neanche vedere, rispose a chi le stava tendendo una mano.
"Reneè, Reneè!" disse Charlotte accennando a seguirlo.
Lei invece era una ragazza che voleva vivere. Di sogni ne aveva pochi. La durezza di quei luoghi, delle strade, delle pareti domestiche condivise con una madre sempre assente nel suo ruolo ed un padre maniaco-ubriacone l'aveva scalfita, l'aveva messo sopra un guscio, anzi delle spine e non sopportava quando vedeva cose che detestava, come la violenza, le mani addosso, un volto a terra e delle mani a coprire la vergogna, l'umiliazione il dolore propagarsi come un rampicante e stringere. Le bastava vedere queste scene quasi ogni giorno. Non ne poteva più.
"Hey Bionda, vieni qua da me, vieni ho della bella roba per te!"
"Vai Cristo di un Dio, Charlie....Steve, tutti farebbero follie per lui!"
"Smettila, Leila, me ne torno a casa."
Quella volta non sarebbe stata la volta di Steve, il desiderio però l'avrebbe abbattuta in un altro giorno. Come un fulmine, avrebbe squarciato. All'improvviso. Partendo da lontano.. Stupri ed altre violenze dopo. Perchè come già detto, tutt'attorno c'era un mondo in devastazione continua. Un purgatorio più che un inferno. Perchè non vi stavano i cattivi in persona in quelle periferie, dentro quei casermoni o sotto lugubre rialzate stradali. Vi stavano maschere, e recitavano bene. Miseramente bene. Ed anche se erano a volte solo comparse, scaraventate in quei luoghi, le maschere erano sempre magnifiche. Il marcio, il putridume sarebbe uscito dai loro occhi, dalle loro bocche, prima o poi coprendo e nascondendo, ma anche devastando, come un fuoco devasta una foresta lasciando poi solo cenere.
"Mamma, sono a casa....mamma!"
Charlotte ebbe la sensazione che quella sera in casa qualcosa era successo. Nella sua casa. E quella di mamma. Le sedie erano capovolte, il divano spostato, c'erano due bicchieri in terra, ed una bottiglia di vodka spaccata a metà. Fece due passi dentro quella merda.
"Mamma...."
Sentì il rovesciare a terra di oggetti, scaraventati con foga, e poi un fare impetuoso, di qualcuno che rincorreva, che menava, che costringeva e gridava,
"Vieni qua....ti piace ehhhh!"
"Mamma!"
Charlotte con l'angoscia e l'istinto di una bestia, corse alla camera, a quella porta appena socchiusa, la spalancò e vi trovò l'orrore, la rabbia, che poi si tinse subito in sconfitta e colò impotente in un nero, in un grido, tirato fuori da una fossa alta diversi metri....
"Lasciala....lasciala.....ti prego.....".
Il pianto incontrollato della madre mischiato ai gemiti di dolore che pendeva dalle cadenze di spinte di quell'orco ora in quella stanza, non lasciava spazio a nulla. Neanche alla voce della figlia. Charlotte prese la prima cosa che le venne in mano, un posacenere in plastica, lo scagliò contro quell'uomo chino con un braccio che premeva il volto della madre contro il muro. Era suo padre.
"Che fai.....brutta stupida, stai qui, stai a vedere cosa domani ti faccio!"
"Charlotte.....!"
La madre violentata e costretta a subire. Il rimmel del suo volto colare come sporco. Lo fissò con gli occhi, se lo fissò nell'anima. Prima che l'orco giungesse da lei. Corse via a chiudere la porta della sua camera. Corse per entrarci dentro. Serrò le finestre, chiuse le persiane e i vetri. Per non farsi sentire. E non far vedere a chi stava sempre appoggiato alla finestra. Nessuno doveva vedere lei piangere. Si mise a percorrere a passo svelto quei pochi metri quadrati del suo rifugio, della sua stanza, tra una parete e l'altra. Come sbattuta dentro un qualcosa. Come se lei fosse una molecola impazzita. La maniglia della porta si abbassò e si alzò violentemente tre volte. Poi spallate e pugni. E la porta chiusa a chiave che reggeva. Ancora un'altra volta. E così la sua esistenza. La sua flebile esistenza. Indossa la maschera Charlotte, indossane una come qui fanno tutti.
"Sei uno stupido Reneè. Fattelo dire. Uno stupido".
"Leila smettila. Cosa ti ha detto? Dimmelo"
"Reneè!!! Mi ha detto che andrà da Steve e si chiuderanno in camera, ecco cosa mi ha detto"
"Sei una stronza!"
"Volevi sapere cosa mi ha detto quando ti ha visto scappare, ti ho accontentato. E smettila di andare su e giù. Fermati un attimo"
"Dov'è adesso. Dov'è. Come mai non è con te?"
"Te l'ho appena detto dove sta. A fare la cosa più che le piace tanto"
Reneè non si voleva fermare. Dentro quel bagno, nello spazio di tre persone, in quell'odore di piscio, dove a volte ci si fotteva pure, sbatteva ora avanti e indietro la sua esistenza, pentendosi delle parole dette, del gesto non accolto, dello sbaglio fatto.
"Dille se ci viene al concerto!"
"E chi con te! Avrà ben altro a cui pensare"
"Ti ho detto di dirglielo!" Reneè non ci vide più. Era troppo odiosa la straffottenza di quella sua amica sboccata. La strinse ad un polso.
"Cosa vuoi fare ora....quello che non ti riesce mai contro i maschi?"
"Vai a quel paese!"
Reneè spinse via con forza Leila, la miglior amica di Charlotte ed uscì dal bagno della salagiochi in cui era solito trovarsi con gli amici. Desiderava rimediare all'errore compiuto l'altro giorno, quando a terra, rifiutò l'aiuto che gli venne offerto da Charlotte. Lui ne era perdutamente innamorato.
"Steve cos'è questo laccio sul braccio, cosa mi vuoi fare?"
"Non preoccuparti piccola, è una cosa che farai insieme a me"
"Oh Steve mi fa paura, non sono sicura di volerlo fare, fermati per favore"
"Taci, stronzetta, tieni chiusa quella cavolo di bocca, io ci smeno soldi per questa roba!"
La siringa venne per metà svuotata in vena nel braccio di Charlotte, ella, cedette subito i sensi, reclinò la testa all'indietro e socchiuse gli occhi. Immaginò di camminare lungo le vie di Montmartre, ed incrociare pittori, musicisti, artisti di strada. Immaginò quei luoghi incantati, che tanto gli erano piaciuti quando all'età di 6 anni, sua nonna Matilde l'aveva presa con se per un giorno intero. Ma più di tutto le era piaciuta tanto la Chiesa di Saint-Severine. Li rivisse tutti quei momenti, a partire dalla preghiera con la nonna seduta sulla panca di legno, qualche panca più in là rispetto all'ingresso. Risentì l'organo che suonava l'Ave Maria di Schubert. Era sublime.
"Perchè Nonna ci fermiamo qua, non andiamo più avanti?"
"Perchè tesoro, guarda laggiù, le vedi quelle luci colorate. Lì, c'è il Signore. Per avvicinarsi a lui ci vuole del tempo. Saprai da lui quando sarà il tuo momento".
Le vetrate gotiche erano le luci colorate. Erano immense e per Charlotte all'età di 6 anni erano l'oggetto del suo assoluto mistero. Quelle immagini colorate, raffiguranti Maria Maddalena, la peccatrice redenta da Gesù, che insegnava, impartiva, l'amore per il prossimo e la parola di Dio agli uomini, l'affascinava, prendeva tutto il suo entusiasmo. Ed ora il suo entusiasmo inconsapevolmente le fluiva dentro il corpo nel sangue, era l'eroina e non s'accorse che vi stava dentro anche un vigliacco. Sentiva quella bellissima melodia, sentiva il coro di voci. Sentiva l'Ave Maria...Gratia Plena, Maria, Gratia Plena, Maria, Gratia Plena e il bastardo le stava addosso, sopra. Charlotte sdraiata a terra nei cessi dello Stade de France, dove da li a poco avrebbe avuto luogo un concerto, veniva stuprata.
"Hei Philipe, stai là davanti e guarda se arriva qualcuno!"
"Ti piace brutta stupida, ti piace farlo di nascosto ehhh!"
Charlotte, non gridava, respirava solo affannosamente, la mano di Steve le teneva chiusa la bocca. Ma non avrebbe gridato comunque. L'effetto dell'eroina la rendevano inerme da tutto. Staccata da quello che le stava avvenendo. Sentiva dolore. Aveva in bocca uno strano sapore di ferro. Forse sangue. Forse sanguinava per un colpo a lei inferto sul viso. Ave, Ave, Dominus. Dominus tecum. Il suo viso era schiacciato in terra. Vedeva le scene del martirio di San Giovanni Battista con accanto la nonna, si avviava con lei ad ammirare il meraviglioso Albero di Jesse, che illustrava la genealogia di Gesù e quegli spazi, quelle navate in stile gotico le davano un senso di protezione, di maestosità e reverenza.
"Nonna, è molto bello qui, mi piace tanto"
"Oh tesoro, come sei dolce, questo è il miglior luogo dove il tuo spirito può rifugiarsi".
"Philipe, dai vieni qui anche tu guarda come le piace".
E le furono addosso in tre oltre a Steve. Godevano del corpo di Charlotte quasi inanimato. Ella reagiva come per riflesso, come fosse una inutile, insignificante cosa.
Ave Maria....
I quattro cavalieri, come venivano definiti, stavano per salire sul palco. Come era loro solito, l'attimo prima di esibirsi, facevano suonare il motivo principale del western di Sergio Leone, ed eccoli. Il prato dello Stade de France era strapieno, pure le tribune. Quella di Parigi fu la loro prima data del tour che avrebbe portato loro in giro per il mondo per parecchi anni. Enter Sandman, fu il loro primo brano. For Whom The Bells Tolls con il suo intro strumentale che durava in eterno fu il secondo. Per chi stanno suonando le campane. Per chi. Per loro. Per tutti i fans, assiepati attorno al palco, dentro lo stadio. Che iniziavano a scaldarsi. Fu poi la volta di Creeping Death, la morte strisciante, e il cerchio attorno al palco iniziò a formarsi. Attorno al palco si pestavano, ballavano, erano impazziti, come molecole e Reneè era uno di loro. Si prendeva a spallate com altri, saltava, sbatteva contro uno, poi contro un'altro, senza mai fermarsi. Preso dal quella musica, sfogava tutta la sua frustrazione, la sua rabbia. "Pogava". Poi venne il turno di Sad But True, di Battery, di Ride The Lightning, e quando fu la volta di One, il sole che andava abbassandosi all'orizzonte lasciava spazio a dei lampi azzurri che illuminarono il palco. Lo spettacolo fu grandioso. Il pubblico, lo stadio. La malinconica lirica, suonata dalla chitarra di Hetfield portava tutti ad alzare le mani, a far il segno delle corna, a ciondolare il capo e partecipare al pianto delle corde vibrate dal plettro di Hammett. Fu lì, che Reneeè, nel trance della melodia, fissò un punto fra la folla, e vide, nello spazio vuoto, che si formava per poi riempirsi e sconvolgersi in un mare di corpi che si pestavano e spingevano, Charlotte. Era ferma. Lo sguardo perso. Neanche diritto verso il palco. Rivolto in un punto non preciso. Fissava e stava immobile. Oscillava perchè dietro, davanti e a fianco a lei, la gente si pestava, pogava. Ma lei era ferma.
"Charlotte! Charlotte!" gridò Reneè con tutta la voce che ancora aveva in corpo.
Ella però sembrava non sentire. Allora Reneè che non credeva ancora ai suoi occhi, attraversò il cerchio degli scalmanati, procedendo in una sola direzione. Verso Charlotte, verso il suo amore. Finì a terra, si rialzò, venne spinto via in un altra direzione, contro alcuni, che lo respinsero in mezzo ad altri. Prese spallate, calci, gli vennero addosso molti, sembravano che lo cercassero e volessero buttarlo a terra invece che solo pogare e divertirsi. Alla fine le giunse davanti.
"Charlotte, Charlotte, anche tu qui, ehi.....sono Reneè, mi riconosci? Ma cosa diamine ti è successo?"
"Reneè, ....ciao". Charlotte biascicava. Faticava a parlare. Aveva le labbra tagliate, l'occhio gonfio. Gli occhi vuoti. Ma aveva davanti l'unica persona che avrebbe voluto vedere.
"Chi ti ha ridotto in questo stato?"
"Reneè, voglio andare a casa, mi accompagni?"
Reneè la vide barcollare, le prese il braccio, fece strada tra la folla e la trascinò fuori dal prato dello stadio. Guadagnarono l'uscita. Si avviarono al sottopassaggio. La reggeva ora con più forza, avvolgendole il braccio intorno alla vita. Non riuscì a proferire una parola in più. Non ebbe da immaginare cosa poteva esserle accaduto. Non ebbe così tanta lucidità per pensarlo. Poi saliti sul metrò che avrebbe riportato tutte e due a Clichy-sous-Bois, Charlotte improvvisamente disse:
"Reneè, ti voglio bene!"
A Reneè brillarono gli occhi. La guardava, le era davanti.
"Anch'io te ne voglio Charlotte" e lo disse appoggiando la testa contro la sua.
L'accompagnò sino all'ingresso del casermone in cui abitava. Un edificio enorme, fatiscente.Charlotte, non disse nulla a Reneè. Non raccontò tutto quello che successe quel giorno. Non raccontò di Steve, dell'eroina nei cessi dello stadio, della violenza subita da lui e da altri tre dei suoi amici, cui solo ora riusciva a capacitarsi. Le gambe le facevano male, aveva dei lividi, perdeva del sangue. Il suo volto tumefatto continuava a mostrare uno sguardo vuoto. Lo baciò, per la prima volta, sulla bocca. Ma non fu un bacio appassionato. Solo uno sfiorar di labbra e stringerle un attimo con sé. Poi gli fece una carezza sul viso.
"Grazie!"
Reneè la fece andare. Rimase a fissarla mentre saliva i primi gradini d'ingresso. Rimase a fissarla fin quando svanì dentro l'ascensore.
Charlotte, girò le chiavi di casa nella serratura. Era appena passata la mezzanotte. Dentro in casa questa volta non vi era nessuno. Si avviò quindi nella sua camera. Accese la luce. Tutto era chiuso. Le finestre abbassate. Chiuse la camera a chiave. Un gesto inutile, non vi era nessuno oltre a lei. Si mise a camminare tastando ogni oggetto che veniva alla portata delle sue mani. Per tutta la stanza. Voleva sentire qualcosa oltre al dolore dentro il corpo. Voleva perdere tutto quello schifo dentro a lei. Apri le persiane dell'unica finestra della sua camera. Le stelle illuminavano la notte.
Reneè lentamente si mosse dall'ingresso, uscì dal portico pieno di immondizia e dall'odore nauseante. Era rimasto fermo per parecchi minuti senza mai muoversi, e senza mai fermare i flussi di pensieri che gli inondavano la testa. Passò per il cortile. Sotto la luce della camera di Charlotte. Ma non ebbe da guardare verso essa. Non ebbe da vedere Charlotte in piedi sul cornicione della finestra, con le mani che si reggevano appena. Il cielo di stelle in quella parte di mondo stava provocando ancora, pesante com'era nella sua bellezza, un gesto estremo.
Un sussulto di qualcuno avrebbe provocato l'arresto di tutto. Avrebbe fermato Charlotte. Forse si, forse no.
"Nonna è molto bello qui, mi piace tanto"
Charlotte vedeva ancora l'affascinante interno della chiesa di Saint-Severine. Enorme. Con le luci colorate delle vetrate. Le vedeva davanti a lei.
"Tesoro, questo è il miglior luogo dove il tuo spirito può rifugiarsi".
Staccò le mani dalla finestra e si fece cadere nel vuoto.
Piombò sul tetto di una macchina parcheggiata sotto, sfondandolo e facendo un rumore sordo, un colpo profondo.
Reneè si voltò d'improvviso. Vide e urlò il suo nome con tutto il fiato che per poco ancora gli stette in corpo.
Il vero testo dell'Ave Maria come Schubert l'aveva musicato era in realtà tratto da un'opera inglese, La donna del lago. Nel corso degli anni questo fu sostituito dal canto in latino adattando le parole alla musica, che rimase però sempre identica.
Il vero testo era invece l'invocazione di una ragazza per la salvezza:
«Ave Maria! Vergine dolce, esaudisci la preghiera di una vergine, da questa rupe aspra e selvaggia giunga fino a te la mia invocazione. Fino al mattino dormiremo sicuri, per quanto crudeli possano essere gli uomini. O Vergine, considera gli affanni di una vergine. O Madre, ascolta una figlia che ti invoca! Ave Maria! Ave Maria! Immacolata! Quando ci chiniamo su questa rupe per dormire, e la Tua protezione ci avvolge, la dura roccia diventa per noi morbida. Tu sorridi e un profumo di rosa sovrasta l'umido tanfo di questo crepaccio. O Madre, ascolta una figlia che ti supplica. O Vergine, una vergine ti chiama! Ave Maria! Ave Maria! Vergine pura! I demoni della terra e dell'aria, respinti dalla grazia del Tuo sguardo, non possono restare fra noi. Accettiamo in silenzio il nostro destino, perché assistiti dal Tuo santo conforto. Benevola chinati su questa vergine, verso la figlia che per il padre prega. Ave Maria!»
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