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Fiocchi di paura

I ragazzi camminavano sullo sterrato completamente innevato ed oltre al chiacchiericcio ed alle risate, si sentivano solo i loro passi affondare sulla neve, che ormai cadeva da giorni, mentre nel cielo gelidamente terso un astore planava libero.
Avevano preso la corriera dal loro paese a valle e si erano fatti lasciare in aperta campagna, per poi proseguire a piedi fino alle pendici di quella montagna che conoscevano molto bene, ma che mai avrebbe finito di stupirli per la sua bellezza, con la sua calcarea maestosità, adornata di lecci secolari, di corbezzoli e di arbusti di mirto che, insieme al timo selvatico conferivano all’aria un profumo unico, compagno di molte avventure.
Lo sterrato incorniciava la lunghezza della catena sul versante occidentale e loro l’avrebbero percorsa tutta, fino a giungere l’indomani pomeriggio alla fermata della corriera di fronte a quella casa cantoniera isolata ed abbandonata, dove anni prima, da bambini, avevano vissuto un’attività indimenticabile, che aveva lasciato in loro un alone di paura e mistero, con quei rumori strani, sussurri agghiaccianti e quelle candele che nelle notti buie proiettavano sui muri ombre indefinite. A niente erano valse le ammissioni degli adulti, che si erano divertiti ad impaurirli in una sorta di iniziazione: quella cantoniera, ormai abitata solo da ratti e pipistrelli, non avrebbe smesso di esercitare il suo macabro mistero.
Non erano abituati a quel clima rigido, ma il loro motto non ammetteva tentennamenti: erano gli educatori del gruppo ed ai loro ragazzi insegnavano la bellezza della vita, con il bello ed il cattivo tempo; non potevano certo essere loro a gettare la spugna di fronte ad una nevicata.
Erano in dodici, cinque ragazze e sette ragazzi, dai diciotto anni in su, e attraversarono il piccolo paese in una ordinata fila indiana per non intralciare la strada.
Come al solito, con le loro divise da scout e gli zaini enormi sulle spalle, non passarono inosservati in quel paesino dove i forestieri erano sporadici. E non mancavano neanche le derisioni per il loro stile di vita che, in quel sabato sera anziché in discoteca li portava a scegliere il freddo e la stanchezza, fatiche inutili per i profani.
Si lasciarono il paese alle spalle ed imboccarono lo sterrato innevato, con il freddo che si faceva sempre più pungente e gli zaini che diventavano sempre più pesanti. A quei tempi, infatti, avevano ancora le vecchie tende canadesi dalle strutture in metallo, molto più pesanti e scomode delle tende a igloo che avrebbero acquistato anni dopo.
La luce iniziava a calare, così deviarono dallo sterrato per trovare un piccolo spiazzo su cui piantare le tende ed accamparsi per la notte.
I ragazzi si divisero i compiti: alcuni montarono le tende sul terreno ghiacciato, altri cercarono la legna, scuotendola dalla neve, per poter accendere il fuoco e cucinare la cena, dopo la quale vi sarebbero rimasti, seduti in cerchio a discorrere come ormai facevano da una vita.
La notte era chiara e per ciò ancor più fredda, con le stelle ben visibili e luminose, quasi palpabili ed afferrabili, come piccole lanterne da stringersi al petto per potersi riscaldare.
Verso mezzanotte le ragazze si rifugiarono nella tenda e si infilarono nei sacchi a pelo stringendosi vicine per sentir meno freddo possibile, mentre i loro amici si attardarono attorno al fuoco a chiacchierare.
Ad un certo punto videro i fari di un’auto in lontananza, forse un pastore che si dirigeva al suo ovile, probabilmente in soccorso di animali rimasti isolati a causa della neve.
Ma l’auto rallentò e deviò proprio verso il loro campo. “Visite” disse tranquillamente Giuseppe, abituato, come gli altri a ricevere i padroni di casa dei paesi che visitavano. Era frequente infatti che le persone del posto andassero a sincerarsi che stessero bene, a volte portando addirittura cibarie, forse convinti che in quelle situazioni patissero la fame. BANG! BANG! BANG! Il silenzio della notte e la serenità dei pensieri dei ragazzi furono squarciati dagli spari che provenivano proprio da quell’auto, occupata da quattro giovani spavaldi, completamente sbronzi, due dei quali imbracciavano i fucili.
I ragazzi attorno al fuoco si irrigidirono, consapevoli di andare incontro ad una situazione inaspettata e particolare, ma sopratutto pericolosa. Erano gli anni in cui ancora imperversavano spaventose faide nei paesi dell’interno ed ultimamente erano stati frantumati tutti i codici, non rispettando più né donne, né bambini.
“Dove sono le donne?” chiese l’autista, dopo esser sceso dalla macchina ed aver mostrato la pistola.
Giuseppe fu tentato per un istante di indicare una tenda, dove dormiva Paolo, grande e grosso come un orso, da occupare da solo mezza tenda, ma capì immediatamente che avrebbe peggiorato la situazione.
“Non ci sono donne, qui” rispose.
“Certo che ci sono! Le abbiamo viste in paese oggi. Diteci dove sono, che ci divertiamo!”
Gli spari erano risuonati improvvisi e violenti come tuoni fino alle vallate lontane, imbiancate di inconsapevole purezza, ed erano rimbombati anche all’interno della tenda delle ragazze a pochi metri dal fuoco e dai visitatori, dove Laura che già dormiva fu svegliata di soprassalto:
“Che succede?” gridò quasi, mentre Giulia a lei più vicina, paralizzata dal terrore per ciò che aveva sentito e per quel che temeva, ebbe la prontezza di posarle una mano sulla bocca ed avvicinarle le labbra all’orecchio, sussurrando finché ebbe fiato, un silenziosissimo “Shhhhhhhhhhhhhhhhhhhhhh.”
Restarono immobili come statue, privandosi del respiro per parecchi istanti mentre i loro cuori battevano impazziti, pulsanti e pronti ad esplodere: l’eco dei loro battiti era incontrollabile e in quegli istanti interminabili, dal tempo dilatato e rallentato, pregarono che nessuno, nessuno, si facesse male in quella chiara e maledetta notte.
Giuseppe e gli altri amici tremarono all’idea di quel che stava per succedere. Non avevano armi con cui difendere il gruppo intero, se non dei pugnali che fino a quel momento erano serviti per tagliare lo spago o per dividere il pane durante i pasti. Non avrebbero mai potuto fronteggiare i visitatori con le loro misere e ridicole armi.
“Sedetevi e fateci compagnia” disse Mauro, con una finta serenità, “Bevete un bicchiere di vino con noi.”
“Ite inu est?” chiese interessato uno degli ospiti.
“Cannonatu.” rispose Mauro, che ormai sembrava aver preso in mano la situazione, nonostante nella sua mente si susseguivano immagini e vicende di cui aveva letto nella cronaca dei giornali locali.
I quattro visitatori si sedettero attorno al fuoco insieme agli scout, e lentamente, deviando i discorsi su temi differenti, la tensione si allentò, mentre le ragazze continuarono a fingere di non esistere, evitando qualsiasi movimento che con il tessuto dei sacchi a pelo avrebbe prodotto un rumore, lieve, ma che amplificato dal silenzio, avrebbe potuto distrarre i visitatori e ridestare in loro la brutalità con cui si erano presentati.
Passò circa un’ora in cui lo strano, e disomogeneo gruppo di uomini restò attorno al fuoco e le ragazze gelate dal terrore e dal freddo, ferme nelle loro posizioni iniziali, protette solo dal sottile strato di tessuto della tenda e dall’amicizia dei ragazzi lì fuori.
L’esuberanza dei visitatori si era placata e non citarono più il motivo della loro presenza in quel posto sperduto, così alla fine, non decantando troppe lodi al vino offerto loro, si allontanarono.
Mentre le luci dell’auto si rimpicciolivano ed il sangue riprendeva a fluire nei cuori di tutto il gruppo, appianando le grinze create dalla paura, Giuseppe, guardingo, si accostò di qualche passo alla tenda delle ragazze:
“Sembra che siano andati. Non uscite dalla tenda per nessun motivo fino a domattina. Noi resteremo qui fuori, facendo dei turni di guardia” e alimentò il fuoco con altra legna.
Volse lo sguardo verso il cielo che gli parve ancor più stellato e dove la Stella Polare sembrava esser rimasta ferma per tutto quel tempo, a guardare gli eventi. O forse a proteggerli.


Millina Spina, 6 marzo 2017




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Racconto scritto il 06/03/2017 - 18:33
Da Millina Spina
Letta n.1174 volte.
Voto:
su 3 votanti


Commenti


Grazie Patrizia, Anna Rossi, Laisa e Teresa.
Purtroppo la storia non è inventata, io c'ero dentro quella tenda e la paura provata, per tutti noi, è stata tanta.
Ho provato a farne un racconto, quasi da osservatrice, e penso che il risultato sia abbastanza buono, essendo riuscita a portare il lettore a provare lo stesso terrore.
Grazie per il vostro graditissimo passaggio.
Ciao, Millina.

Millina Spina 08/03/2017 - 12:36

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Molto brava Millina. Il tuo racconto lascia rapiti per la suspense, che hai saputo creare e per la dovizia dei particolari. 5*

Teresa Peluso 07/03/2017 - 17:44

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molto bella Millina
molto

laisa azzurra 07/03/2017 - 11:24

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Una novizia di particolari del paesaggio e una narrazione perfetta rende la storia quasi reale...bravissima Millina riesci sempre ad incantare con i tuoi racconti.Buonanotte

Anna Rossi 07/03/2017 - 00:06

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Gelida notte, gelida per il terrore e gelida per la stagione! Bellissimo paesaggio buio, freddo, bianco, illuminato da stelle lontane contrapposto al calore di un piccolo fuoco solitario, attorno al quale si attenuano magicamente le animosità.

Patrizia Bortolini 06/03/2017 - 20:56

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