La notte calava in fretta, ma lui non era ancora pronto, per ritirarsi nelle sue stanze e consegnarsi, inerme ai suoi incubi. Non che da sveglio riuscisse a trovare pace, anzi era tormentato e afflitto dai suoi stessi pensieri, consumato e atterrito, dalla confusione che ancora dominava la sua mente. Erano passati due mesi, ma il ricordo di quella dannata battaglia non sbiadiva. Ogni singolo attimo, etra un vivido ricordo. Certe volte aveva ancora la sensazione di trovarsi, lì all'ombra della batteria mascherata, aspettando i francesi, in una calma e muta irrealtà, squarciata dai rumori della battaglia e dalle grida,. Dal tonfo dei corpi che si accasciavano al suolo, senza vita buttati come sacchi,. Con una mano gettò via, tutto quello che era posto sulla scrivania, lasciandosi cadere sulla poltrona. Le carte si sparpagliarono tutt'intorno, mentre i pochi oggetti caddero con un rumore sordo, che riecheggiò contro le pareti di silenzio della notte.
Percorreva i corridoi, deserti per spegnere i lumi, e portare a termine le ultime faccende, tutta presa dai suoi pensieri tutti incentrati, su quanto accaduto quella mattina. Nella sua mente andava comparando la figura tetra che saliva le scale, con fredda fretta, con l'immagine accattivante che aveva scorto, appena giunta in quella casa, e che da subito era divenuta l'oggetto dei suoi sogni proibiti. Era la prima volta che vedeva il conte, da quando era tornato dalla guerra, ma non aveva mai immaginato che un uomo potesse mutare a quel punto, sembrava perfino più vecchio di quello che sembrava in realtà. Un rumore violento la riscosse, facendola sobbalzare. Veniva dallo studio del conte. Cosa doveva fare? Il buon senso le suggeriva di allontanarsi, aveva già rischiato di perdere il posto, e non doveva mettere ancora alla prova la sua buona stella, ma l'istinto fu più forte.
Aprì la porta e un terrore freddo, l'assalì. Non era preparato a quello che i suoi occhi andavano registrando, man mano che si abituavano alla penombra della stanza, appena rischiarata da una candela che andava spegnendosi. Carte disseminate ovunque, oggetti disseminati sul pavimento e pezzi di vetro. Il conte era pallido, con gli occhi sgranati ed un'espressione nient'affatto amichevole, che lo aveva portato ad inarcare le sopracciglia e a digrignare i denti.
<<Via. Fuori di qui! >> Abbaiò con ferocia. Rimase un attimo intontita, poi notò il taglio sulla mano del conte e fece un passo avanti.
<<Siete ferito!>> Esclamò. Lui apparve, sorpreso, mentre esaminava il taglio.
<<È solo un graffio.>> Abbaiò ancora. Le ci volle molto coraggio, per richiudersi la porta alle spalle e muoversi verso di lui. Guardò la ferita, mentre egli la osservava con cipiglio, poi si guardò intorno in cerca di qualcosa per pulire la ferita, ma cosa poteva usare? Lì c'era solo del whisky e lei non aveva neanche un fazzoletto con sé. Poi si ricordò della cesta del bucato, che aveva lasciato in corridoio ed uscì di corsa.
Aveva appena tratto un sospiro, quando la porta si aprì di nuovo facendo passare la cameriera di poco prima. Era tornata con dei fazzoletti puliti. Ma perché diavolo non lo lasciava in pace? L'avrebbe fatta licenziare, si disse. Intanto lei gli si era avvicinata, spostandogli delicatamente la mano, mentre con dolcezza, e facendo attenzione, gli puliva la ferita. Il whisky bruciava come fuoco. Era la prima persona che riusciva ad avvicinarlo a tal punto, da quando era tornato, eppure non sembrava avere nulla di particolare o speciale. Non era bella, graziosa forse? Neanche. Ordinaria, nell'insieme, ma era molto dolce, e tutta intenta nel suo compito, con qualche ciocca di capelli, ribelle, che era sfuggita alla cuffietta, alla fioca luce della candela, gli apparve incantevole. Gli fasciò la mano, poi si allontanò.
Pensò che finalmente l'avrebbe lasciato in pace, invece la vide raccogliere le carte e gli altri oggetti, in terra.
<<Lasciate stare!>> Abbaiò
<<Se la governante, vede questo disastro, la colpa sarà mia.>> Disse. Non le avevano insegnato il rispetto? Si stizzì, ma gli bastò uno sguardo al volto afflitto di lei, per raddolcirlo un poco.
<<Tenete molto a questo lavoro?>> Si sorprese a chiedere.
Lei si limitò ad annuire, restando in silenzio mentre continuava a rassettare.
Mentre raccoglieva gli oggetti, gli lanciò qualche occhiata, di sfuggita. Lui era lì, così vicino, eppure così distante e il suo cuore, era costretto su di una pericolosa altalena. I suoi pensieri non avevano nulla di coerente, e le mancava il fiato, eppure non avrebbe barattato quegli istanti, per nulla al mondo. Quando finalmente sistemò tutto, avrebbe dovuto andarsene, ma l'istinto prevalse ancora. Si avvicinò alla scrivania e cominciò a chiedere spiegazioni, circa quanto avvenuto. Lui da prima la scacciò con violenza, poi quando ella era già alla porta, cominciò a parlare, e le sue parole, aride e dure, la gelarono.
Lasciò la porta e lo raggiunse, inginocchiandosi accanto a lui. Sentiva un forte sentimento d'amore per quell'uomo. Mise la sua mano, su quella di lui, stretta a pungo, cercando d'infondere nel gesto, ciò che provava, acché arrivasse a lui. Ma non disse nulla. E cosa avrebbe mai, potuto dire? Certe cose, esulavano la sua comprensione, e poi era ancora stupita, del suo sentire. Ora comprendeva d'averlo sempre amato, nell'ombra, senza confidarlo neppure a se stessa, per paura d'essere scoperta, ma cosa sarebbe accaduto, adesso?
I giorni passarono veloci, ed inesorabili, e a dispetto di qual si voglia previsione, si erano avvicinati, sempre di più. Poteva mettere in discussione il suo mondo per una cameriera? Avrebbe dovuto lasciarla, e riprendere la sua vita, dimenticandosi di quella folle situazione. Una fitta gli trafisse il petto. Da Waterloo, e forse da sempre, quella ragazza, che non aveva altra dote, che la sua passionalità nel vivere, era la cosa migliore che gli fosse capitata, e malgrado non poteva pretendere che il suo amore, fosse pienamente ricambiato, aveva molto da offrirle. Guardò la finestra, il sole era ancora alto nel cielo, e la sua luce, filtrava tra gli alberi. Avrebbe dovuto aspettare ancor per vederla. Non avrebbe potuto parlarle se non quando gli altri domestici si sarebbero ritirati, ma quella, giurò a se stesso, sarebbe stata l'ultima volta che si sarebbero nascosti.
Entrò nello studio, ormai era una consuetudine, anche se temeva sempre di non trovarlo. Ed invece lui era lì ad aspettarla.
<<Devo parlarvi.>> Disse in un sorriso. Lei si avvicinò, inginocchiandoglisi accanto, come faceva sempre dal loro primo incontro, e lo ascoltò in religioso silenzio, come faceva ogni volta, del resto. Man mano che capiva cosa egli andava dicendo, il suo cuore perdeva colpi mentre la felicità, s'irradiava nel suo corpo. Lasciò che egli le sfiorasse una guancia. Non riusciva di crede che egli volesse sposare una cameriere come lei, la logica avrebbe dovuto portarla a ragionare, a sacrificare il suo cuore, all'interesse di lui, ,a l'istinto fu più veloce e lei si ritrovò ad accettare, sopraffatta dall'emozione. Dall'indomani il loro amore segreto si sarebbe palesato agli occhi del mondo, sfidando tutte le sue convinzioni e regole, sovvertendole in modo sconveniente, per un sentimento che i più consideravano da provinciali, ma che per lei, e il conte era divenuto più importante dell'aria per respirare.
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Ah maledetta umiltà (oltre che sensibilità).
Comunque come ribadisco sei molto brava e valida come scrittrice (ma anche come poetessa si intende) e appena ho un altro po' di tempo libero vedrò di leggerti ancora, sia i racconti nuovi che quelli meno recenti. Buonanotte, un abbraccio e continua sempre così cara Marirosa!
Mi piace immaginare che il conte una volta sposata la cameriera, i suoi trascorsi saranno un fardello molto meno pesante. Come già detto in un precedente commento l'amore è una potente magia, e in questa occasione aggiungo anche un sentimento...nobile!
Molto bello.
LIETO MERIGGIO.