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Destabilizzazione alienante

In tutte le società e in tutti i periodi storici, la cultura è assoggettata al potere dominante; non c'é scambio, condivisione confronto tra culture diverse, la maggior parte delle persone vive all'interno di una realtà locale molto predeterminata, con un forte rapporto di contenimento: una monocultura assorbita per osmosi. Fin dai primi anni di vita gli viene inculcato il senso e il valore di ogni cosa. Così tutti devono pensarla allo stesso modo sul senso della vita e della morte, della famiglia e dei figli, del lavoro e dei soldi, del benessere e della sofferenza, di tutti gli aspetti della vita del singolo, della comunità e dell'umanità tutta intera. I punti di riferimento di cui percepisce il bisogno un uomo per sentirsi a suo agio in questo mondo. Tutto é così e basta! Non c'é neppure coscienza della possibilità di pensarla diversamente. Rarissime le persone capaci di sganciarsi coscientemente dalla cultura dominante che li circonda per pensare in modo autonomo, i cosiddetti Spiriti Forti, perché ci vuole realmente molta forza per ragionare per conto proprio. Chi si permette di contrastare questo sistema é pericoloso, praticamente emarginato, e perseguitato dall'ordine costituito. Poi lo sviluppo scientifico e tecnologico è un’altro elemento determinante, per rimanere sotto il giogo del potere, che crea bisogni indotti e non primari, inoltre viene sottratto tempo, da dedicare allo studio, alla riflessione, allo scambio di idee. L’uso dei media informatici offre ad ognuno di noi la possibilità di vedere con precisione tutto, anche il più piccolo pezzo di mondo e avere coordinate spazio-temporali precise grazie ai sistemi satellitari e al uso del web. Nonostante ciò ci troviamo nella difficoltà di rappresentare il mondo contemporaneo. Nella complessa realtà attuale traspare il predominio del simulacro sulla realtà, attualmente la carta geografica è sostituita da spazio e tempo, di fatto confondiamo la carta con il territorio. Una pretesa illuminista era quella di ridurre la complessità del mondo a una mappa e tutt’ora fatichiamo a scrollarci questa illusione. La mappa perfetta non esiste, perché in realtà non esiste un punto di vista assoluto su cui centrare la mappa, nella sfera terrestre non vi sono limiti né di spazio né di tempo. Il fenomeno della globalizzazione ha accentuato la difficoltà, oggi un pensiero nuovo come quello della Rete offre una inedita chiave di lettura, creando connessioni tra i diversi livelli di realtà. Il pensiero della “Rete” fatto di connessioni è uno strumento di lettura e interpretazione del mondo, veicola la produzione di una cartografia di spazi fisici e mentali in cui ogni osservazione genera una nuova esperienza dello sguardo, un’esplorazione che porta a scoprire luoghi sconosciuti o individuare nuove caratteristiche di un luogo già noto. Un’estensione della “mappa del mondo interiore”, segni e tracce rendono conto che la nostra visione non è una semplice immagine di ciò che si trova fuori di noi, ma viene determinata anche dal nostro “mondo interiore”, dai processi mentali ed emozionali attraverso i quali osserviamo e costruiamo il reale. Pochissime persone incominciano ad interrogarsi sui perché fondamentali della vita e le risposte standardizzate, acquisite con la cultura dominante, non riescono più a convincere come prima. Un contributo determinante credo l’abbia dato il cinema presentando in modo popolare, capillare ed efficace una cultura lontana e diversa a tutto il contesto popolare di un'altra cultura. Il cinema ha avuto una potenza di impatto culturale ben superiore ai testi universitari e ai romanzi famosi. Ora le culture diverse si incontrano e si scontrano continuamente ed inevitabilmente, più nel tentativo di imporsi che di confrontarsi, integrarsi e arricchirsi vicendevolmente. Ma al di là di questa guerra di culture, il sistema passa un messaggio più profondo: si può pensare diversamente, si può pensare cose impensabili, si può mettere in discussione tutto. Dimostrazione: altri l'hanno sempre pensata in modo diverso, quindi si può. Dunque: non esiste un sistema di pensiero unico, garantito e obbligatorio. Non esiste un tabù ideologico, si può pensare diversamente (e di fatto è così) su qualsiasi argomento: da qual è la più bella squadra di calcio (la mia, ovviamente) al più alto pensiero filosofico. Ad un livello logico superiore si può dire che la cultura attuale ti obbliga a pensare che tutti possono pensare quello che vogliono: è severamente vietato pensare che esista un pensiero obbligatorio. Questo alla fine sei obbligato a pensarlo. Due esempi di cambiamento che hanno rivoluzionato la visione della vita: la percezione della fatica e del dolore. La fatica era considerata parte ineliminabile della vita. Non esisteva neppure l'immagine mentale di una macchina che potesse fare il lavoro al posto dell'uomo. Gli animali aiutavano, ma al prezzo della loro fatica, e così i servi e gli schiavi. Faticare era parte integrante dell'ordine delle cose. Tutto era fatica: i lavori domestici: prendere l'acqua, cucinare, lavare. I lavori dei campi: zappare, piantare, raccogliere. Magari tanta poetica gioia nel raccogliere, ma era fatica pure quella. Il lavoro degli artigiani, dei mercanti e tutto il resto della vita. Poi sono arrivate le macchine che hanno progressivamente sollevato l'uomo, prima dalla fatica fisica e poi dalla fatica mentale. Allora è scoppiata la speranza, anzi, direi l'illusione, che tutta la fatica potesse essere evitata: non è vero che l'uomo è condannato a fare fatica, si può produrre senza fatica, si può vivere senza più nessuna fatica. Invece la barriera della fatica è stata solo spostata: da quella materiale verso quella mentale e interiore. Si può arrivare ad alleviare in parte la fatica dello studio attraverso tecniche e sussidi, ma non si elimina totalmente. C'è poi una fatica di crescere che non può essere evitata. Si potrà domani evitare anche questa fatica? Io lascerei il problema ai filosofi di domani. Oggi costa fatica a tutti. Il dolore: anche qui il rapporto sviluppo scientifico e cultura sono cambiati in simbiosi. Il dolore fisico era considerato inevitabile. I rimedi erano assolutamente inadeguati. Poi sono arrivati gli analgesici, gli anestetici ed è diventato possibile non sentire più di tanto il dolore fisico. E anche qui è scoppiata l'illusione: l'uomo può vivere senza dover affrontare il dolore, nessun tipo di dolore. Certo ci sono metodologie e tecniche per gestire meglio e patire meno anche il dolore interiore, ma si è solo spostato il confine. Forse la piramide dei bisogni di Maslow (mutatis mutandis) vale anche nel campo del dolore: quanto è più forte il dolore ai livelli più bassi della piramide, tanto meno si è sensibili alle sofferenze legate ai livelli superiori. Il dolore fisico assorbe tutte le attenzioni di una persona provocando una sorta di anestesia delle sofferenze interiori ai livelli superiori. E così queste, a loro volta, fanno da blocco e impediscono di percepire le sofferenze esistenziali, e così via. Quando si sente sofferenza fisica, non si percepisce più di tanto la sofferenza interiore. Man mano che si elimina o si riduce la sofferenza fisica, si percepisce più intensamente quella interiore. E anche qui si procede per gradi: la sofferenza interiore più profonda, si percepisce solo dopo che si è attenuata quella ai livelli più superficiali, ma spiega come il disagio psicologico ed esistenziale sia più percepito da chi ha risolto i problemi primari. Questo ci illustra come la popolazione di oggi possa essere sparsa su un ventaglio di idee estremamente vasto e su temi estremamente importanti, con estremismi di illusione irrazionale che possono portare alle alienazioni più destabilizzanti. C’è una strategia di destabilizzazione dunque, complesso di azioni tendenti a togliere stabilità e tese a minare la credibilità, ad alienare il consenso o quanto meno, a impedire la presa di coscienza. Definisco la società attuale come un’entità addormentata; viviamo concentrati sul nostro io, ma si tratta di un io che viene narcotizzato dai fili del consumismo, degli interessi esterni che hanno sfruttato quest’eterna insoddisfazione a causa della quale siamo sempre in ansia per cercare di ottenere più di quello che già abbiamo. Ci troviamo in una società sempre immersi in uno stato di indefinibile apatia; un’atmosfera interiore in cui saziamo vuoti emotivi per mezzo del piacere del cibo, alleviamo la solitudine con relazioni effimere e ci limitiamo a farci invadere dalla noia per mezzo della catarsi momentanea dei nostri giochi sul cellulare o sul computer. Magari pochi di noi la vedono in questo modo e sempre pochi a provare a dare un senso autentico alla propria esistenza, non esitando a coltivare la lettura, ad interessarsi alle visioni di diverse prospettive filosofiche con cui comprendere, con cui trovare l’illuminazione, per sconnettersi dall’immaginario e raggiungere l’ordinario. Passare da una conoscenza strumentale della realtà ad una concettualizzazione più intima e significativa delle cose, necessita di risveglio, di comprensione, l’autocoscienza e la coscienza obiettiva. Si tratta di un viaggio interiore molto simile a quello trattato da Platone nel mito della caverna; passare dall’universo delle sensazioni, dell’auto-inganno e delle ombre ad una sfera molto più elevata, libera ed autentica. Il punto non è solo rendere cosciente l’incosciente, bensì dargli una nuova costruzione, ovvero quello di avviare un cambiamento, di ricostruire quella parte del io per avere un maggiore controllo sulla nostra realtà dopo essere usciti dalla caverna di ombre ed infelicità. Aprire gli occhi dalla parte più intima e profonda di noi; esplorando le nostre sensazioni ed i nostri sentimenti, tradurre in parole tutti questi sintomi (paura, angoscia, inquietudine, insicurezza) e imparare a conviverci. Osservare ciò che accade attorno a noi ed è il momento di affrontare le nostre barriere difensive, i nostri pregiudizi, i nostri atteggiamenti, quelli che sbagliando ci dicono che è meglio sopportare che cambiare, che è meglio guardare da un’altra parte, rimanere calmi e tacere per paura che le cose vengano stravolte. Affrontiamo noi stessi; siamo i nostri peggiori nemici, dunque non servirà a nulla diventare consapevoli delle nostre debolezze se non oseremo trasformarle in punti di forza e senza cambiamento non si va da nessuna parte.



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Racconto scritto il 29/04/2017 - 15:23
Da Savino Spina
Letta n.5495 volte.
Voto:
su 2 votanti


Commenti


assolutamente d'accordo
però Savino, abbiamo tutti l'opportunità di aprire gli occhi, al di là dei messaggi che giungono dai canali convenzionali...eppure....

laisa azzurra 30/04/2017 - 19:49

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UN DILIGENTE ED ESAUSTIVO RACCONTO.
ADORABILE NELLO STILE.
*****

Rocco Michele LETTINI 30/04/2017 - 16:56

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La disobbedienza spaventa lo Schiavo più di ogni altra cosa, perché disobbedire significherebbe per lui, rischio, avventura, cambiamento. Preferisce quindi continuare ad obbedire e rimanere al posto che gli è stato assegnato e fare parte dell'ingranaggio per la maggior parte della sua vita. Solo troppo tardi avrà un barlume di coscienza che lo porterà a realizzare di aver vissuto una vita pregna di illusioni, ma appunto sarà troppo tardi per capire che ha regalato involontariamente il suo tempo a chi aveva stabilito di sottrarglielo. Il presente per capire e agire è fondamentale per ogni singolo individuo; svegliarsi e far svegliare altri è necessario poiché una volta raggiunto uno stato di chiarezza individuale, ogni singolo ingranaggio di questo sistema alienato cessa la sua operosità.

Savino Spina 29/04/2017 - 18:29

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