Quel giorno il caso mi portò nei pressi del vecchio istituto magistrale, la chiesa era chiusa, i gradini consumati dal tempo. Caltanissetta era chiamata "la piccola Atene", i fantasmi dei grandi letterati che hanno fatto grande la mia piccola città, avrebbero voluto che questa terra non fosse collassata su se stessa, come è accaduto. Eppure, qualcosa rimane di quel ch'è stato. Lo sento e forse, probabilmente, lo sentiranno tutti questi immigrati, tutti questi profughi che giornalmente ridono, scherzano, cazzeggiano sulle sue vie antiche e decadenti.
Il bar dove Sciascia si soffermava a gustare i dolci più buoni dell'isola non esiste più e neanche la sede della casa editrice, la "piccola Atene" affonda nella disoccupazione e nel degrado, oggi più che mai è importante ricordare che la cultura ha sempre bisogno di nuovi stimoli, di nuovi uomini, di nuova linfa. Vorrei vivere in quel passato per poter respirare l'aria del rinnovamento, perchè il futuro è già arrivato. Affacciato ad uno dei balconi delabré del corso principale, Leonardo Sciascia sembra strizzare l'occhio a questa città che ormai è come una zattera alla deriva. La sua figura in bianco e nero, piccola ma ben delineata, trasmette anche un senso di speranza mai sopito, la certezza che il nostro tempo non andrà mai perduto finchè il ricordo e la curiosità avranno ancora voce in capitolo.
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Il mio elogio e il mio lieto meriggio.
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