Con la mano a penzoloni cerco di avvicinarmi al cellulare poggiato sul comodino per sapere che ora sia; sbuffo: mancano due minuti prima che suoni la sveglia.
Con fatica, scosto le coperte dentro cui mi avvolgevo fino a qualche secondo prima, e mi precipito in cucina per preparare una tazza di caffè, che spero mi aiuti nel risveglio.
Sarà questo calore che mi sembra di avvertire guardando oltre la mia finestra, o forse il cielo azzurro senza nessuna macchia bianca, o forse ancora gli uccellini che sento cinguettare da lontano, non so perché esattamente, ma avverto una sensazione di rinascita questa mattina.
Mi scappa un sorriso.
Penso che l’aria della primavera stia facendo sbocciare in me nitidi ricordi, che subito si impossessano della mia mente, in balia fra emozioni e profumi.
Il caffè: ne sento l’odore, come quando mi svegliavo con un bacio e la colazione mi era servita su un vassoio della stessa tonalità delle lenzuola.
Una nostalgica trepidazione si impossessa dell’allegria che una nuova bella giornata sembrava avermi portato.
“Ehi, buongiorno!” – sento alle mie spalle.
“Anche a te! Vuoi del caffè?”
“No, io lo prendo in ufficio con gli altri colleghi.”
Abbasso lo sguardo come per acconsentire; verso il caffè nella mia tazza e faccio per andarmene in giardino.
“Dove vai?”
“C’è una bella giornata, non voglio che diventi brutta”
Mi siedo sotto il gazebo che avevamo montato qualche tempo prima, ripromettendoci che nelle giornate più calde avremmo mangiato lì sotto.
L’inverno aveva portato nel nostro nido solo sfascio e rovina, e ci aveva fatto dimenticare anche quanto fosse bello condividere degli stupidi pasti. Quel vaso, poggiato sul tavolo, sfoggia ancora il fiore marcio di mesi prima: ha resistito ai venti più forti, alle giornate più rigide e alle piogge più violente; ora è immobile, deturpato, quasi morente e niente, ormai, è in grado di rianimarlo.
Sebbene la primavera fuori, dentro è tutto appassito.
Jessica Cardullo
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