VOGLIO UN DONO SPECIALE
Ogni notte si spegnevano le luci in quello stanzone freddo e scuro. Dopo la recita della preghiera si spegnevano piano piano le luci.
Solo la luna, quando c’era, filtrava dai vetri appannati, per disegnare strane figure che continuavano a cambiare. Il letto era freddo e le coperte a fatica riuscivano a creare un pò’ di tepore, per stare almeno un pochino al caldo.
Purtroppo il sonno arrivava tardi, i pensieri correvano nella mente e la solitudine si faceva più pungente, più, forte, più acuta.
Tornava il giorno, sempre uguale, in quell'orfanotrofio di periferia. Sveglia al mattino, la preghiera, poi a scuola e infine a giocare con gli altri compagni fino al tardo pomeriggio, quando si rientrava nel grande refettorio per fare i compiti e studiare.
Sempre uguali i giorni, sempre le stesse facce, eppure a volte vedevo dei signori, eleganti, ben vestiti che arrivavano. La suora chiamava un compagno, questi correva nella stanza della direttrice e poi tornava. Si formava subito un capannello, quando usciva.
Quasi un interrogatorio. “Non so - diceva il malcapitato di turno - mi hanno chiesto tante cose, ho sentito che forse potrebbero portarmi via”.
Tutto succedeva sempre allo stesso modo, sempre uguale. Ogni tanto qualche compagno non lo vedevamo più, proprio uno di quelli che erano stati chiamati in direzione, non tornava più.
Giungeva il Natale, lo si capiva dalle luci fuori, dal presepe che suor Maria preparava sotto il portico, dalle preghiere diverse, cambiavano anche i canti alla funzione della domenica mattina.
Finché un giorno la suora ci diceva: “scrivete a Babbo Natale e se siete stati buoni vi porterà dei doni”.
Anche questa cerimonia, alla fine era sempre la stessa. Il giorno di Natale gran festa nel refettorio e ciascuno riceveva un pacco che scartava sempre con avidità.
Felicità che durava poco, ma serviva a cambiare un pò l’atmosfera, ad essere felici anche per poco. Cominciai a scrivere la lettera quel giorno, non volevo nulla, ma la penna cominciò a scrivere quasi da sola:
“Caro Babbo Natale, fa che anch'io sia chiamato un giorno dalla direttrice, voglio solo una cosa, qualcosa che non ho mai avuto, voglio la mamma.”.
Solo la luna, quando c’era, filtrava dai vetri appannati, per disegnare strane figure che continuavano a cambiare. Il letto era freddo e le coperte a fatica riuscivano a creare un pò’ di tepore, per stare almeno un pochino al caldo.
Purtroppo il sonno arrivava tardi, i pensieri correvano nella mente e la solitudine si faceva più pungente, più, forte, più acuta.
Tornava il giorno, sempre uguale, in quell'orfanotrofio di periferia. Sveglia al mattino, la preghiera, poi a scuola e infine a giocare con gli altri compagni fino al tardo pomeriggio, quando si rientrava nel grande refettorio per fare i compiti e studiare.
Sempre uguali i giorni, sempre le stesse facce, eppure a volte vedevo dei signori, eleganti, ben vestiti che arrivavano. La suora chiamava un compagno, questi correva nella stanza della direttrice e poi tornava. Si formava subito un capannello, quando usciva.
Quasi un interrogatorio. “Non so - diceva il malcapitato di turno - mi hanno chiesto tante cose, ho sentito che forse potrebbero portarmi via”.
Tutto succedeva sempre allo stesso modo, sempre uguale. Ogni tanto qualche compagno non lo vedevamo più, proprio uno di quelli che erano stati chiamati in direzione, non tornava più.
Giungeva il Natale, lo si capiva dalle luci fuori, dal presepe che suor Maria preparava sotto il portico, dalle preghiere diverse, cambiavano anche i canti alla funzione della domenica mattina.
Finché un giorno la suora ci diceva: “scrivete a Babbo Natale e se siete stati buoni vi porterà dei doni”.
Anche questa cerimonia, alla fine era sempre la stessa. Il giorno di Natale gran festa nel refettorio e ciascuno riceveva un pacco che scartava sempre con avidità.
Felicità che durava poco, ma serviva a cambiare un pò l’atmosfera, ad essere felici anche per poco. Cominciai a scrivere la lettera quel giorno, non volevo nulla, ma la penna cominciò a scrivere quasi da sola:
“Caro Babbo Natale, fa che anch'io sia chiamato un giorno dalla direttrice, voglio solo una cosa, qualcosa che non ho mai avuto, voglio la mamma.”.
Racconto scritto il 19/05/2017 - 13:02
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Voto: | su 9 votanti |
Commenti
Molto bello questo racconto tutto giocato sul tema della mancanza, di affetto, della mamma che non c'è, di una vita più libera senza costrizioni. Giulio Soro
Giulio Soro 21/05/2017 - 11:29
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Un racconto emozionante, scritto con sapiente maestria. 5*
donato mineccia 20/05/2017 - 11:12
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Breve, conciso ed intenso. Questo racconto triste e crudo ma nello stesso tempo delicato porta il lettore ad una forte partecipazione. Cosa c'è di più amaro della delusione dei bambini soli? Di non essere amati? Bellissima la loro speranza!
Patrizia Bortolini 19/05/2017 - 17:22
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Tema struggente quello che riguarda i bambini in generale. Occorre grande sensibilità nel trattare questo argomento per evitare di scadere nel retorico e tu hai dimostrato di averne a volontà di sensibilità. Molto bello, complimenti.
Ken Hutchinson 19/05/2017 - 16:24
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Piccoli che desiderano il conforto e il calore che solo una mamma può dare, commovente e piaciuto, complimenti
genoveffa frau 19/05/2017 - 16:03
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Bellissimo Alfonso.Prina si parlava di più di adottare per bimbi orfani... oggi se ne adottano di meno, perché sono cambiate le regole e sembra che non sia più tanto importante l'affetto che dei genitori adottivi possano dare ad un bimbo, che vorrebbe solo La mamma , ma il denaro che si possiede.
Teresa Peluso 19/05/2017 - 15:44
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Racconto intenso e commovente che ci ha fatto entrare nel mondo degli orfanotrofi; luogo un pò triste e particolare ove ogni bambino vive la sua storia in balia del destino......I miei complimenti
Francesco Scolaro 19/05/2017 - 15:43
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Lo si commenta da solo per cui non aggiungo nulla....solo un caro saluto!
Ilaria Romiti 19/05/2017 - 15:40
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Un intenso et oculato seguitato letterario diligentemente corredato.
Lieto meriggio, Alfonso.
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Lieto meriggio, Alfonso.
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Rocco Michele LETTINI 19/05/2017 - 15:39
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Commentandolo temo di sciuparlo... commovente !
Grazia Giuliani 19/05/2017 - 14:14
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ALFONSO...La consapevolezza fa crescere in fretta, già cosi da piccolo esprimere un desiderio maturato nel dolore con l'ingenuità d'un bimbo denota determinazione, sa già cosa vuole. Spero che quel bambino abbia ricevuto il dono richiesto....Bellissimo racconto scritto in maniera eccellente.Ciao buon weekend
mirella narducci 19/05/2017 - 13:45
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molto bello il tuo racconto e anche commovente 5*
GIANCARLO "LUPO" POETA DELL 19/05/2017 - 13:27
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