Una penombra di fumo, avvolgeva il locale. L'atmosfera, era la solita, gaia e brulicante di vita, alleggerita dalla spensieratezza, data dal vino e dall'euforia delle carte. Il sigaro era abbandonato mollemente tra le sue dita affusolate. Di tanto in tanto ne assaporava una lunga boccata. I suoi pensieri erano un groviglio indistinto e fastidioso. E per quanto cercasse di allontanarli, erano sempre lì, e a nulla valeva cercare di annegarli. Un sorriso cinico e vagamente inquietante gli contrasse la bocca in una smorfia amara. Aveva tutto, eccetto Evelyn. Evelyn che era destinata ad un altro. Evelyn che non poteva essere sua. Evelyn che non apparteneva al suo mondo, troppo giovane, troppo ingenua, troppo sincera. No. Non non era fatta per egli, eppure gli era entrata nel sangue, la voleva, la desiderava e stava impazzendo di gelosia e ardore. Il suo mondo era tutto lì. Gli amici, il suo club, le donne, il fumo, il suo liquore preferito. La bella vita che sempre aveva condotto a Londra, lo chiamava a gran voce, carica come sempre di promesse, promesse che ora avevano un sapore scialbo e un aspetto squallido, paragonate al bel volto di Evelyn. Stava impazzendo. Bevve un lungo sorso, dal suo bicchiere, e assaporò una lunga boccata del suo sigaro. Davanti agli occhi, aveva le labbra di Evelyn. Dolci ed invitanti, e proibite. Sorrise amaramente e buttò giù l'ultimo sorso di liquore. Doveva uscire dal club, e smettere di pensare a lei, era deleterio, ma sospettava che fosse un impresa assai ardua da portare a termine.
Evelyn, giaceva a letto. Il duca, o il conte. Tremò. Erano due personalità forti, non vi era che dire, ma il conte era assai più giovane del duca, sebbene meno bello, era anche meno spigoloso, e più gradevole di modi. Rideva, era spigliato e molto cortese, molte donne sarebbero state liete di una sua proposta, eppure sentiva un lieve turbamento che non sapeva decifrare, ma lanciava lunghe ombre sui suoi pensieri. Il duca. Sapeva che, malgrado il titolo, assai più allettante, era stato rifiutato, in favore del conte, eppure non sapeva se rincuorarsene o rammaricarsene. Egli era davvero ombroso, e alle volte davvero ostile, eppure, ogni qualvolta che partecipava ad un trattenimento non riusciva a impedirsi di cercarlo.
Era alla finestra. Il tramonto di Londra appariva assai diverso, da quello di casa sua. La campagna, al tramonto aveva mille colori e si riempiva di profumi...a Londra, il sole si dimenava tra i palazzi, e filtrava a stento dalle tende. Sospirò. Avrebbe dovuto essere grata agli zii per averla accolta, e per averle permesso di debuttare nella capitale, ma il sogno si era presto trasformato, in un incubo. Tutte le cose, da fare, e non fare, gli estenuanti rimproveri di sua zia, per ogni passo falso le occhiatacce dello zio, per ogni parola di troppo. Troppe regole, troppe insidie, che rischiavano davvero di rovinare il suo soggiorno inglese. Chiuse gli occhi, e si concesse di pensare ai due gentiluomini che in un modo o nell'altro assorbivano tutto il suo interesse. Il duca, raramente si mostrava indulgente, ma sapeva che spesso, era divertito, dalle sue strampalate sortite, o dai suoi sbagli, e quando la correggeva, lo faceva semplicemente. Il conte, rabbrividì richiamando l'immagine del gentiluomo alla memoria, rideva e spesso l'assecondava, eppure, per qualche strano motivo ella preferiva il contegno del duca. Sorrise mesta, molto probabilmente quella sera, avrebbe potuto godere largamente delle attenzioni del conte ma non di quelle del duca. La zia le aveva detto che non avrebbe partecipato a quel ballo, poiché non aveva simpatie per i padroni di casa. Ormai il cielo era scuro, e la carrozza era arrivata. Si allontanò dalla finestra, accostò di nuovo le tende e scese.
Il duca era furibondo. Per nulla al mondo, avrebbe voluto trovarsi in quella sala, eppure non aveva potuto esimersi dall'accettare l'invito, non quella volta. Chiuse gli occhi, cercando di mantenere un contegno quale conveniva al suo stato, ma una cieca rabbia, si era impossessato del suo essere, da quando aveva saputo di quella dannata e odiosa scommessa. Serrò il pugno. Era lì per un motivo, e l'avrebbe portato a termine. Quella storia non gli piaceva, ma sarebbe intervenuto, per evitare il peggio, e ne avrebbe tratto vantaggio. Doveva farlo, e l'avrebbe fatto nulla gli avrebbe impedito di avere Evelyn, soprattutto ora, che conosceva la verità. Il suo volto era una maschera di determinazione. Si muoveva per la sala con fredda sicurezza, scrutando costantemente l'entrata, curandosi di non essere visto e non tradire impazienza. Il tempismo era fondamentale e lo sapeva bene. Evelyn, entrò in quel momento e ad egli sembrò che le candele fossero ad un tratto più numerose e abbaglianti, e la sala meglio rischiarata. Ma il conte era accanto ad ella ed egli si rabbuiò. Doveva aver pazienza, si disse. Ormai era solo questione di tempo.
Evelyn, era disorientata. Il conte appariva, ancora più sollecito e cortese del solito, e molto più attento. E la zia, meno vigile. Forse, era normale, si disse, ma non riusciva a mettere a tacere l'inquietudine che provava. Aveva scorto il duca, e il suo cuore aveva mancato un battito. Avrebbe voluto parlargli, ma non sapeva come fare. Quasi le girava la testa per il troppo pensare. Cercò di concentrarsi sul conte. Non era brutto...ma non riusciva a farselo piacere, c'era in lui qualcosa che non andava. Era una sciocca, ma quegli occhi erano troppo freddi, e i suoi complimenti cominciavano a venirle a noia. Il duca, si disse valeva mille volte più del conte. Scosse la testa. E sua zia le lanciò un'occhiata di disapprovazione. Furiosa, arrossì.
<<Siete, accaldata, mia cara? Sarà meglio uscire all'aria aperta.>> Le disse sollecito il conte. Un vago campanello di allarme, le suonò nella mente. Non voleva uscire, ma la zia aveva acconsentito in sua vece, e lui la stava già scortando verso il terrazzo. Evelyn rabbrividì. Egli l'aveva scortata in un angolo del terrazzo, nascosto agli sguardi, ed ella istintivamente, sentiva che era sbagliato. Gli occhi del conte, se possibile erano ancora più freddi, egli sembrava così sicuro, così arrogante.
<<Sto meglio. Vi ringrazio.>> Cercò di dire, e nel contempo di allontanarsi, ma egli serrò di più la sua stratta e l'avvicinò a sé. Evelyn era spaventata e scioccata. Egli la stringeva e premeva le sue labbra sulle sue. Ella trovava quel contatto sgradevole, ma non aveva abbastanza forza per allontanarlo da sé.
<<Miss, Hernesthide? Lady Melbourn, vi cerca.>> La voce profonda del duca, risuonò nella notte. Il conte riluttante, lasciò la presa su Evelyn. E scomparve nell'ombra. Il duca raggiunse la ragazza, pallida e tremante. Evelyn era sconcertata. Cosa doveva fare? La testa le girava, e si sentiva svenire. Il duca era accanto a lei. Ebbe un mancamento, ma egli la sorresse prontamente.
<<Vi ringrazio.>> Disse debolmente, cercando di reprimere un singhiozzo.
<<Non, è accaduto nulla. E ora siete al sicuro.>> La rabbia, era forte e malcelata, ma almeno, ella ora era con lui. E avrebbe fatto in modo che ci rimanesse.
<<Vi sembrerò una sciocca.>> Tremava ancora.
<<Venite, sedetemi accanto. Non vi reputo affatto una sciocca.>> Ella sedette, ma evitò di guardarlo. Temeva di leggere sul suo volto la smentita alle sue parole.
<<Vi ringrazio ancora....se solo penso che dovrò affrontarlo, di nuovo...>> la voce le morì in un singhiozzo.
<<Non dovrete farlo.>> Disse risoluto. <<Debbo parlarvi di una questione.>> Disse addolcendo il tono. Ella lo guardò.
<<Ditemi.>> Il cuore le batteva forte, ma era felice, accanto a lui.
<<Sono, più vecchio, di voi, è vero. Ma ho da offrirvi il mio cuore, e la protezione del mio nome, oltre al mio amore.>> La speranza si accese nel cuore di Evelyn.
<<Ma mio zio...>> e la voce le si spense.
<<E' una questione risolta, se voi mi volete.>> Avrebbe preferito dichiararle il suo amore in una circostanza diversa, ma il fato ci aveva messo del suo. Ella rabbrividì, ed egli la strinse un poco a sé sfiorandole i capelli con un bacio.
<<Dite davvero?>> Lo guardava con fiduciosa speranza, ed egli si perse nei suoi occhi.
<<Sì. Vi amo.>> Era ridicolo, ma era la sacrosanta verità.
<<Anch'io.>> Rispose Evelyn in un sussurro. Egli sorrise.
<<Venite, è tempo di tornare.>> La scortò, di nuovo in sala, non facendole mancare l'appoggio della sua presenza. La riaccompagnò presso i suoi zii. Assicuratosi, che il conte non potesse di nuovo avvicinarla, si affrettò a chiedere un colloquio privato con lord Melbourn. Al fine di spiegargli l'accaduto.
Quando finalmente, fu certo che non vi sarebbero stati altri ostacoli, tornò in sala, e prese il suo posto, accanto alla donna che amava.
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