LE NOTTI IN OSPEDALE
Le notti in ospedale si vivono in così tante maniere, questo era per me un pensiero ricorrente mentre aspettavo buona ,buona il giorno del mio intervento.
In effetti la mia notte non era certo uguale a quella della mia vicina di letto, una povera donna di quasi ottant’anni malata di Alzheimer e di non so più quale malattia per la quale era stata portata in ospedale dalla figlia, una notte ,la sua ,fatta di continui tentativi di fuga verso la lontana masseria nella sua amata Puglia, dove secondo lei la aspettava sua madre.
La mia notte non era sicuramente uguale a quella dell’altra donna, quella del letto 22 che attendeva impaziente di sottoporsi ad un intervento che le avrebbe donato un seno perfetto , che lei già vedeva e accarezzava ; piccole tette sode sul corpo di una sessant’enne, che si era ricoverata senza dire niente a nessuno ,neanche alla sua unica figlia che ignara le telefonava, e alla quale lei con un pò di timore rispondeva di trovarsi in vacanza con una sua carissima amica .
Molti altri vivevano notti agitate e insonni ,un mare di menti piene di perché, un mare di corpi tormentati da ansie e dolori.
Tutto sotto lo sguardo vigile dei medici di turno e degli infermieri. Notti fatte di stanchezza e insoddisfazione per alcuni , altri invece pieni di rabbia per turni assurdi , per una carriera che non riesce a decollare, o per quello che li aspetta fuori.
La mia notte quindi, carica di pensieri non miei, di paure e gemiti non miei, la mia notte vuota, vissuta in un eterno stato di incoscienza, come se niente di ciò che stava accadendo riguardasse realmente me, come se l’ago cannula non fosse conficcato nel mio braccio. In fondo ho sempre avuto la sensazione di vivere in una specie di stato ipnotico ,o meglio in un continuo letargo che mi allontana da tutto ,anche da me.
Solo quando il silenzio aveva ormai avvolto l’intero reparto e tutti dormivano o cercavano di farlo, sentii forte il bisogno di dare un ultimo sguardo al mio corpo ancora integro, così mi alzai entrai in bagno e davanti allo specchio mi spogliai e inumai mentalmente il seno che ben presto mi avrebbe lasciato, una cerimonia intima senza lacrime, quelle sarebbero venute dopo appena tornata a letto.
La luce del mattino piano si faceva strada nella stanza, e il via vai nel corridoio ricominciava, medici, infermieri, malati, terapie e termometri tutto come ogni giorno, tranne il bicchiere pieno di tintura di iodio dall’odore nauseante, che l’infermiere di turno mi aveva lasciato sul comodino raccomandandosi di lavarmi completamente con quello.
In piedi, nella vasca da bagno scrostata, ho iniziato a passare sulla mia pelle il disinfettante, la mia pelle si tingeva di giallo e questo mi faceva sentire marchiata, segnata, proprio come quella vecchia pubblicità sull’aids , ecco , dopo quel bagno colorato e maleodorante tutti avrebbero saputo, tutti avrebbero visto e capito che ero una bambola rotta .
Per fortuna il mio lato bambinesco non mi ha mai abbandonata , e quella mattina appena mi consegnarono il camice verde col quale si saliva in sala operatoria, lo indossai e per rallegrare le mie compagne di stanza offrii loro una sfilata del tipo piccolo diavolo, “modello Giuditta”, due risate ci volevano, poi via verso quel sonno profondo e innaturale che mi avrebbe messa per sempre davanti a una nuova vita.
Le notti in ospedale si vivono in così tante maniere, questo era per me un pensiero ricorrente mentre aspettavo buona ,buona il giorno del mio intervento.
In effetti la mia notte non era certo uguale a quella della mia vicina di letto, una povera donna di quasi ottant’anni malata di Alzheimer e di non so più quale malattia per la quale era stata portata in ospedale dalla figlia, una notte ,la sua ,fatta di continui tentativi di fuga verso la lontana masseria nella sua amata Puglia, dove secondo lei la aspettava sua madre.
La mia notte non era sicuramente uguale a quella dell’altra donna, quella del letto 22 che attendeva impaziente di sottoporsi ad un intervento che le avrebbe donato un seno perfetto , che lei già vedeva e accarezzava ; piccole tette sode sul corpo di una sessant’enne, che si era ricoverata senza dire niente a nessuno ,neanche alla sua unica figlia che ignara le telefonava, e alla quale lei con un pò di timore rispondeva di trovarsi in vacanza con una sua carissima amica .
Molti altri vivevano notti agitate e insonni ,un mare di menti piene di perché, un mare di corpi tormentati da ansie e dolori.
Tutto sotto lo sguardo vigile dei medici di turno e degli infermieri. Notti fatte di stanchezza e insoddisfazione per alcuni , altri invece pieni di rabbia per turni assurdi , per una carriera che non riesce a decollare, o per quello che li aspetta fuori.
La mia notte quindi, carica di pensieri non miei, di paure e gemiti non miei, la mia notte vuota, vissuta in un eterno stato di incoscienza, come se niente di ciò che stava accadendo riguardasse realmente me, come se l’ago cannula non fosse conficcato nel mio braccio. In fondo ho sempre avuto la sensazione di vivere in una specie di stato ipnotico ,o meglio in un continuo letargo che mi allontana da tutto ,anche da me.
Solo quando il silenzio aveva ormai avvolto l’intero reparto e tutti dormivano o cercavano di farlo, sentii forte il bisogno di dare un ultimo sguardo al mio corpo ancora integro, così mi alzai entrai in bagno e davanti allo specchio mi spogliai e inumai mentalmente il seno che ben presto mi avrebbe lasciato, una cerimonia intima senza lacrime, quelle sarebbero venute dopo appena tornata a letto.
La luce del mattino piano si faceva strada nella stanza, e il via vai nel corridoio ricominciava, medici, infermieri, malati, terapie e termometri tutto come ogni giorno, tranne il bicchiere pieno di tintura di iodio dall’odore nauseante, che l’infermiere di turno mi aveva lasciato sul comodino raccomandandosi di lavarmi completamente con quello.
In piedi, nella vasca da bagno scrostata, ho iniziato a passare sulla mia pelle il disinfettante, la mia pelle si tingeva di giallo e questo mi faceva sentire marchiata, segnata, proprio come quella vecchia pubblicità sull’aids , ecco , dopo quel bagno colorato e maleodorante tutti avrebbero saputo, tutti avrebbero visto e capito che ero una bambola rotta .
Per fortuna il mio lato bambinesco non mi ha mai abbandonata , e quella mattina appena mi consegnarono il camice verde col quale si saliva in sala operatoria, lo indossai e per rallegrare le mie compagne di stanza offrii loro una sfilata del tipo piccolo diavolo, “modello Giuditta”, due risate ci volevano, poi via verso quel sonno profondo e innaturale che mi avrebbe messa per sempre davanti a una nuova vita.
Racconto scritto il 01/06/2017 - 22:36
Da Marina Lolli
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Commenti
Carissima Nicòl ti ringrazio per le belle parole del tuo commento, penso che anche tu scriva nel sito,quindi leggerò assolutamente i tuoi lavori
Marina Lolli 03/06/2017 - 15:18
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Gentilissima Maria ti ringrazio di cuore per il commento lasciato al racconto,non sono riuscita a capire se il tuo commento si divide in due parti o se sono due cose separate.Leggendo ho poi immaginato che iltuo lungo periodo di assenza sia stato obbligato ,spero che ora sia tutto ok.
Ma quindi tu eri nella redazione??
Pensa che per me "lA REDAZIONE" è quasi una entità , uno spirito austero che giudica i poveri umani ,e che svolazza qua e la nel sito..
ti mando un grande abbraccio e cerchero i tuoi lavori.
Ma quindi tu eri nella redazione??
Pensa che per me "lA REDAZIONE" è quasi una entità , uno spirito austero che giudica i poveri umani ,e che svolazza qua e la nel sito..
ti mando un grande abbraccio e cerchero i tuoi lavori.
un abbraccio grande
Marina Lolli 03/06/2017 - 15:15
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Racconto bello e molto commovente
si legge la sensibilità del tuo cuore.
sapessi come capisco quello che hai scritto.
si legge la sensibilità del tuo cuore.
sapessi come capisco quello che hai scritto.
Ciao Marina è un piacere commentarti qui e non più dalla redazione, spesso mi è capitato di leggere tuoi scritti in questo mio lungo periodo di assenza,
e ho sempre trovato dolcezza e profondità in tutto ciò che scrivi,
quindi complimenti di vero cuore.
A te un abbraccio e alla prossima
ciao cara.
Maria Cimino 02/06/2017 - 20:12
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Racconto scritto molto bene e molto profondo. Mi hai commosso
Buona vita
Nicol
Buona vita
Nicol
Nicol Marcier 02/06/2017 - 18:37
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