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Tramonto

I secondi passavano lenti e soporiferi, trascorsi a guardare distrattamente la continua sfilata di auto fuori dal finestrino. Tutt’intorno il mondo era piatto, velato di triste malinconia. Il giorno stava per congedarsi, lasciandoci lo spettacolare colore della calante bellezza del sole, come un’ultima carezza, un dono il cui ricordo ci avrebbe fatto sopportare la sua lunga assenza. I miei occhi stanchi avevano ignorato la coltre nuvolosa che abbracciava l’orizzonte, ma adesso, il rapido susseguirsi di colori nell’aria non mi permettevano di ignorarla oltre. Il sole procedeva lentamente nella sua discesa agli inferi, portandosi dietro a fatica lo strascico di sfumature. Queste, ostinate, non volendo abbandonarsi alla morte, lottavano sulle nuvole, eseguendo un’ultima danza prima di ricadere nell’oblio. La sfera luminosa, sempre più accesa, coronava quel ballo. La coltre tenue delle nuvole forniva un ottimo palco, divenendo tela. Al suo interno si andava via via formando l’immagine di mare incantato, dove il cerchio di fuoco era pronto a buttarsi in un ultimo bagno. Il cielo era adesso un soffice fiume rosso aranciato, che bagnava timidamente due isolotti rosa violetti, coronato da un giallo brillante, impreziosito dalle ombre cinesi proiettate dalle nuvole circostanti.
Come rimanere insensibili? Non riuscivo a distogliere lo sguardo, non volevo chiudere gli occhi, sperando di riempirmi l’anima con quello spettacolo. L’aria era carica di magia, esercitando un influsso ammaliante ed irresistibile sui suoi ammiratori ammutoliti.
Tutto era così bello. Perché godevo di quello spettacolo? Cosa avevo fatto per meritarmi questo onore? Ricordo ancora il mio primo racconto di un tramonto, ero ancora una bambina allora, ingenua, piena di ammirazione per il mondo, pronta a confidare nel prossimo. Tutto sembrava così facile, scrivere era come respirare, la fantasia guidava paziente la mia mano sul foglio, l’inchiostro scorreva libero, i sogni prendevano forma sulla carta, i ricordi venivano congelati nelle parole. Quanto tempo è passato, quanti viaggi in macchina ho affrontato, quante persone ho conosciuto. Quella bambina ormai non esiste più da tempo, è cresciuta, ha sofferto, è cambiata. Forse tutto questo è un bene, sono maturata, migliorata, ma in fondo sono sempre la stessa persona. Sono cresciuta, e solo attraverso la fantasia e il sogno riesco a scappare da questa inevitabile forza naturale, che ci risospinge senza posa nel futuro, che ci immerge nel presente, che ci toglie ogni certezza. Non mi resta che voltare le spalle alla socchiusa porta verso il passato, ammirare, vivere, ricordando che grazie alla mia storia sono ciò che sono.



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Racconto scritto il 07/06/2017 - 09:56
Da SILVIA MANUELE
Letta n.1038 volte.
Voto:
su 2 votanti


Commenti


Un racconto molto suggestivo e descrittivo, negli umori, nei colori, negli odori di un tramonto in riva al mare, con una considerazione finale malinconica quanto struggente. Molto piaciuto questo racconto. Giulio Soro

Giulio Soro 07/06/2017 - 18:17

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bel racconto di anni sfuggiti gioie e dolori ma l'anima ancora in parte rimane pambina molto bello

GIANCARLO "LUPO" POETA DELL 07/06/2017 - 12:27

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Bel racconto! E' passato dalla stupefacente descrizione della natura a considerazioni intimistiche. Il sogno, la bellezza, la bellezza del sogno... tutto questo è indispensabile per vivere e non sopravvivere. Poi noi cambiamo, passano gli anni e se siamo fortunati le esperienze ci fanno maturare, perdiamo
l'ingenuità e diventiamo più consapevoli, ma un nucleo da bambini rimane sempre in noi. E' la gioia di vivre, di estasiarsi per la Bellezza, che cuore ed anima sanno cogliere

Nicol Marcier 07/06/2017 - 10:21

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