(Dello stesso autore, Tratto dal libro “Sicilianissime ovvero Storie di donne siciliane coraggiose/due”. Ediz. Youcanprint self publishing. Maggio 2017)
- Non voglio restare più in questo paese, in questa tua terra che non mi dà la prospettiva di un lavoro!
Mi fa disperare e mi toglie ogni possibilità di vivere.
A che serve aver studiato una vita se adesso non trovo lavoro?
Me ne devo andare per forza.
Ti devo lasciare, cara madre Sicilia! Vado nel nord Italia.
Lì sicuramente chi cerca una sistemazione la troverà.
Anche se starò lontano da te, in quel posto potrò realizzare l’avvenire che tanto desidero.
In questo tuo paese sembra non ci sia posto per nessuno, neanche per i giovani e la laurea, presa dopo tanta fatica, a cosa mi è servita?
Mi tocca emigrare, lontano da te, come il più povero tra i poveri.
Basta.
Adesso, madre terra, me ne devo andare per forza.
Sono deciso!
Sono pure stanco d’aspettare senza alcuna prospettiva, senza alcuna ragione.
Ho l’impressione che questa vita voglia prendermi in giro; mi toglie ogni forza e le speranze.
Alla mia età non posso sopportare questo stato di cose.
Mi sembra di subire angherie e soprusi.
Mi avvilisco madre terra.
Mi sento ogni giorno sempre di più sfibrato e scontento, distrutto dall’attesa, e ho l’impressione che sia proprio quest’isola, la tua terra avara e imprudente, che mi spinge ad andare via.
Sembra che ti mi odia, che ti compiaccia nel farmi soffrire in questo modo.
Forse non mi desideri…
Ed io mi sento inutile.
Se è così, me ne andrò lontano e tu magari sarai contenta.
- Tu caro figlio mio, non ti rendi conto d ciò che dici e mi vuoi fare morire - risponde la Sicilia.
Fiato della mia anima…
Aspetta ancora un poco!
Che premura hai?
Io ho solo te, e se te ne andrai come resterò?
Sola?
Vuoi che muoia prima del mio tempo?
Non lo vedi che vivo solo per te e mi rifletto nei tuoi occhi e nella tua vita?
Se tu, figlio mio d’oro, vivi, pure io vivo; ma se tu parti, cancellerò la mia faccia dal mondo.
Sono legata alla tua vita e respiro se tu respiri.
Mi sento avvilita e distrutta quando non ti vedo.
Per favore, figlio dolce e amato, stammi vicino.
Il cielo e la luce me li regali tu con la tua presenza.
Solo tu mi dai il motivo della vita.
- Non mi dire queste cose mamma.
Mi vuoi forse minacciare?
Questo tipo di ricatto mi fa star male e mi disorienta.
Mi fa venire lo scrupolo assieme a tutti gli altri timori di questo mondo.
L’ho capito, mi vuoi legare a te come a una catena, come un neonato al seno di sua madre?
Vuoi farmi prigioniero togliendomi pure il respiro?
Neanche a me piace andare fuori dalla mia terra di Sicilia.
Non credere che ne sia contento.
Cosa posso fare?
La colpa non è mia. Ti devi rassegnare nel vedermi partire.
Non fare così mamma.
Mi fai tornare il rimorso.
Ti devo lasciare contro la mia volontà.
Perché restare con te, quando penso che color che sono andati via da quest’isola, si sono trovati una buona sistemazione!
Questo modo inutile di vita mi dispera e m’avvilisce.
Tu mamma, mi devi aiutare a fare questo tentativo.
Devo trovare un lavoro fuori da questa tua terra avara.
Ti prometto che se non combinerò nulla, ritornerò da te per tutta la vita.
…
E poi… esisto solo io in quest’isola?
Ne hai tanti altri figli in questa tua grande terra appassionata e dolce.
Ti devo lasciare.
Lo devo fare per forza!
Altrimenti sarò io a morire d’inedia e nell’attesa di questo maledetto lavoro che non arriva mai.
Mi sento inutile vivendo d’inedia.
Non lo vedi tu quante volte mi butto su quel letto e dormo tutto il santo giorno per la noia?
Che cos’altro ho da fare?
Odio questo letto che mi regala solo illusioni e mi allontana dalla realtà.
Mi addormento perché non so cosa fare.
Le ore sono dure da trascorrere e sono traditrici.
Io spero, aspetto che le cose su quest’isola cambino.
Invece restano sempre le stesse.
Giorno dopo giorno.
Il sole è sempre lo stesso; le giornate sempre belle.
Anche nella mia vita non cambia nulla e tutto rimane identico a prima.
Ed io? Che cosa devo aspettare ancora?
Cosa faccio ancora in questo posto con te?
In questa tua terra che sembra malvagia e ingannatrice?
Ho inviato mille domande per essere assunto in questa tua isola.
Sono andato a sostenere colloqui in ogni parte.
Mi dicono che sono bravo ma poi quelli aggiungono che occorre la raccomandazione…
Già sempre la solita musica…
Di santi, in questa terra, io non ne ho.
Non voglio chiedere l’elemosina a nessuno.
L’umiliazione mi costa troppo cara.
Questa tua isola amara sembra voglia tirarmi per i piedi assieme alle mie radici per nascondermi dal mondo, impedendomi di fare i passi per scappare da te.
Se mi lascerai andare mamma, pure questa tua terra mi mollerà.
- Non m’interessa nulla, figlio mio adorato!
Non ti posso lasciare partire.
Lo senti il mio cuore come batte forte?
Se mi dici che te ne vuoi andare, ricordatelo, porterai con te la mia morte.
Chi bacerò?
Chi guarderò negli occhi?
Con chi parlerò?
Su chi mi specchierò nei momenti della mia vita?
Figlio mio!
Respiro del mio cuore.
Anima mia.
Non ti è servita la lezione quando quella volta sei partito per Milano?
Sono morta nell’anima quando ti sei allontanato e non ho voluto pensare più a nulla.
Soltanto aspettare te.
La mia vita si è fermata e così tutto ciò che ruotava attorno a me.
Ho abbandonato ogni cosa per aspettare proprio il tuo ritorno.
Lo capisci che non posso vivere senza te, senza avere accanto il mio diletto figlio?
- Certo che me lo ricordo quando son partito!
Ero felicissimo quando presi il treno.
Ero contento.
Ci penso ancora oggi, quanta festa facevo dentro il mio cuore perché pensavo alla mia libertà.
Avevo tanta speranza e mi sembrava di respirare aria nuova e di trascorrere una vita migliore come mai avuta prima.
Volevo conquistare il mondo, come se tutti stessero aspettando me, che avrei cambiato le cose tristi e misere della vita.
Mi sentivo valorizzato, cercato e atteso, come una persona importante e valorosa.
Quando attraversai lo stretto di Messina, mi sembrava di andare in un’altra dimensione e guardavo avanti, oltre, con un poco di timore dentro, non sapendo cosa m’aspettava, ma ero lo stesso contento e il cuore mi batteva forte per la gioia.
Non riuscivo a guardare in viso la Madonna del porto che sembrava mi seguisse da lontano col suo sguardo sereno, mentre il traghetto passava veloce, quasi correndo.
La vedevo felice come lo ero io.
Tu mamma piangevi, invece d’essere contenta come me.
Ti tenevi lontana mentre il traghetto scivolava sulle onde dello Stretto.
Mentre mi staccavo dalla tua terra, sentivo il cuore pieno di rimorsi e tanta pena per avere lasciato te e assieme a te tutti gli affetti e casa mia.
Tu mamma, non lo potevi sapere questo mio turbamento, né potevi sentirlo o capirlo, ma nel mio cuore piangevo per il peso dell’abbandono.
Ti avrei riabbracciato ancora una volta, altre cento, mille volte, avrei accarezzato i tuoi capelli ricci e neri.
Man mano che il traghetto si spostava, mi dimenticavo di tutto e mi rallegravo, pensando al mio avvenire che poteva essere radioso e pieno di speranze.
Pur essendo lontano, mamma, credevi che non sentissi il tuo tormentoso lamento?
E anche se mi sforzavo di non udirti e ascoltati, il tuo pianto mi penetrava lo stesso dentro e sentivo tutte le tue lacrime per la mia lontananza.
Nel mio cuore piangevo assieme a te.
Ero dispiaciuto per averti procurato tanto dolore.
T’invocavo con la mia mente, pur da lontano e col cuore ti supplicavo:
“Mamma, per favore, lasciami andare in pace e contento. Ora non fare così, mamma! Non piangere come se cantassi una nenia pericolosa, premonitrice di lutto. Mi fai addolorare per la pena che mi fai sentire. Dammi, per favore, la possibilità di costruire la mia vita.
La tua è quella che oramai conosci da sempre. È radiosa, luminosa ma la mia la devo realizzare con le mie mani. Senza l’aiuto di nessuno.
Come te lo devo dire che se non parto rischio di gettare via la mia esistenza e il mio futuro?
Devo buttarla, distruggerla in questo tuo dolce azzurro mare?
Dovrei affogarla tra le onde di questo traghetto come se fossi stata tu ad averle mandate, per ostacolarmi e convincermi a ritornare indietro?
Eppure la mia vita, mamma, deve andare necessariamente avanti”.
Quella volta, dovevo per forza lasciarti e poi… devi pur ammettere che, alla fine, tanto sola non eri, e non lo sei tutt’oggi perché hai milioni di altri figli.
Per favore, non essere egoista e accentratrice.
- Sì, sono egoista, figliolo dell’anima mia!
Lo ammetto.
Sono una vecchia, inutile mamma sconsolata e tradita nel cuore e dalla vita.
Quando sei partito, ti ho accompagnato proprio sino allo stretto di Messina.
Ero lì che correvo fino a quell’ultima mia sponda, a guardarti mentre ti allontanavi dalla mia terra.
Le mie mani, le braccia erano stese come se aspettassi l’arrivo, l’accoglienza del mio bimbo e non certo la tua partenza.
Le avevo protese per lambire sino all’ultimo istante le dita delle tue mani con i miei muscoli di vecchia che tendevano a non staccarsi da te, figliolo mio adorato.
Mentre tu scomparivi sul traghetto, agitavo le mani lungo le mie coste, correndo avanti e indietro come una pazza, una disperata.
Sì, davvero come una dannata…
Ero lungo le coste della città di Messina e lì dovevo per forza fermami perché lì finisce la mia terra...
A distanza, ti guardavo e cercavo il tuo viso tra mille altri, mentre svanivi all’orizzonte.
Piangevo disperatamente e mi battevo forte il petto come se la causa della tua partenza fosse stata tutta colpa mia, reputandomi responsabile e accusandomi d’essere stata una cattiva madre.
Mi pentivo d’averti fatto partire senza prima averti implorato, pregato, come un santo, di restare con me.
Come hai avuto il coraggio, figlio mio adorato, di lasciarmi sola?
Per poco non mi scoppiava il cuore per il dolore.
Solo il Buon Dio sa quello che ho sopportato senza te.
Non so cosa mi abbia tenuto in vita!
La tua partenza mi ha fatto tremare tutto il corpo e volevo strappare il mio cuore da questo mio petto per non sentire quanta atrocità e danno mi ha procurato la tua mancanza.
Volevo seguirti di nascosto per stare vicino e dietro di te.
Come potevo?
Tu invece ti facevi sordo, figliolo caro adorato dell’anima mia.
Mentre io restavo immobile, tu scomparivi all’orizzonte.
Attendevo, sperando, inchiodata per terra, in un tuo ripensamento e mi sentivo distrutta in quel porto carico dei dolori.
Tenevo in mano la coroncina del Santo Rosario per pregare la Madonna affinché potesse proteggerti e ti facesse ritornare presto da me.
Anche se i giorni passavano, ero sempre lì, immobile, impietrita ad attenderti con il capo coperto dal mio fazzoletto più nero.
Col sole, con la pioggia, con la luna, con le stelle, col buio della notte, aspettavo sempre te, senza mai stancarmi.
E cantavo le nenie ancestrali, quelle più dolorose conosciute da tutti nella mia terra, quelle del lutto
Tu non lo sai, ma tua madre, questa tua terra di Sicilia, non si stanca mai d’attendere il ritorno dei suoi figli, dovessero passare mille anni.
Gli occhi miei non li chiudevo e guardavo quel mare traditore che ti aveva portato via da me.
Cercavo l’orizzonte per scoprire nella mia illusione il tuo ritorno e gli occhi miei, a furia di guardare, diventavano secchi e inutili, come arida era la mia esistenza senza di te.
A ogni traghetto che arrivava, speravo, figliolo caro, che scendessi tu e mi venissi incontro e mi abbracciassi.
- Ascoltami, mamma. Non lo hai voluto mai capire che quando una persona parte non sa mai quando torna e se torna!
Tu invece da testarda quale sei, restavi impassibile e speravi che riapparissi.
Che senso aveva il tuo modo di fare?
Non ho mai visto una madre così irremovibile e assillante come te.
- Sì!
È vero, figliolo mio adorato.
Mi devi perdonare se sono fatta così con questo carattere orribile.
È più forte di me il sentimento, il legame che provo per mio figlio.
Per le madri, i figli sono la propria carne e se ne viene strappato e viene staccato un pezzo, forse non deve, non ha il diritto di lamentarsi?
Non so, non riesco a orientarmi né a controllare questa mia natura inquieta e mi sento come una disgraziata squilibrata quando tu mi manchi.
Ti aspettavo al porto di Messina e pregavo tutti i santi del paradiso e la Madonna per farti tornare da me.
La mia pace io la trovo soltanto quando ho tra le mie braccia tutti i miei figlioli.
In particolare te, figlio mio adorato, fiato della mia anima.
Forse tu queste cose non le capisci?
Quando una mamma vede partire i suoi figli, non ha importanza se è il primo o l’ultimo; non si rassegna e non trova pace, sino a quando non lo stringe nuovamente nel proprio petto.
Che cosa credi?
I figli, anche se sono grandi, per una mamma restano sempre bambini e bisognosi di cure, di carezze, di baci e vorrebbe che restassero attaccati al petto, abbracciati per l’eternità.
Tu sei un pezzo della carne mia staccata dalla legge della natura e sarò sempre legata a te, per sempre.
Così ragionano le madri.
Così sono le madri.
Per una mamma i figli non devono morire mai e non si devono allontanare mai.
Sono il sangue del suo sangue, la terra della sua terra.
Questa che ti dico, figlio mio, non è una novità.
Tutte le mamme lo sanno e ne soffrono silenziosamente a proprie spese.
La tua assenza, figlio dell’anima mia, la sentivo come un masso sopra il mio cuore e non mi dava il tempo per respirare.
E poi, il cuore!
Il cuore era quello che mi faceva tremare dalla preoccupazione perché era più lui che la mente razionale a torturarmi e a non farmi vivere la pace dell’anima.
Ti volevo assolutamente con me. Momento per momento.
Che cosa posso farci, figlio mio, se sono così, se tutte le madri del mondo portano con sé le angosce per i figli?
Non vivo senza di te!
Non so come e se le altre madri sopportano queste angosce, ma io senza i miei figli vicino non resisto.
Non mi pare di vivere, piuttosto di sopravvivere come una squilibrata.
- Che vai delirando, madre!
Come te lo devo dire… non sono certo il tuo unico figlio.
Ne hai tanti altri in questa terra!
Perché opprimi proprio me in questo modo?
Perché mi fai impietosire?
Pensa agli altri.
Lasciami in pace!
Fammi vivere la vita a modo mio.
Lasciami libero di respirare e di fare ciò che mi suggerisce il cuore.
Non farmi sentire sempre in colpa, e legato a te come un cavallo con le cinghie al suo muro.
Lasciami!
Fai questo per quell’amore che dici di avere per me.
Dammi la libertà e dimmelo chiaramente, non solo con le parole ma pure con i fatti.
Voglio sentirtelo dire dalla tua stessa voce.
Dimmelo, mamma, che almeno questa volta mi lasci andare libero.
- Tu sei il mio figlio prediletto!
L’unico.
L’adorato.
Sei la vita della mia vita.
Sei il senso della mia esistenza.
Come potrei vivere senza di te?
- Tu queste frasi, mamma, le dici a tutti i tuoi figli e non soltanto a me.
Non so cosa provano le madri quando vivono lontane dai figli.
La mia libertà però la rivendico, la voglio.
La desidero ma nello stesso tempo non ti voglio scontentare.
Se sei così ossessiva, perché mi hai fatto nascere?
Per tenermi legato a te e al tuo amore sino a togliermi il respiro?
Perché mi hai fatto crescere, abituandomi a tutti gli odori di questa terra, ai profumi del tuo mare e degli alberi secolari?
Mi hai insegnato a stare attaccato alle pietre di questa tua terra bianca, rossa, secca, arida, nera, sempre piena d’amore e di mille fragranze.
Lo hai fatto apposta?
Adesso lo capisco!
Hai agito così per fare in modo che crescendo non potessi fare a meno di te, che sei immensa, unica, profumata con la fragranza della zagara, del mughetto, del basilico, delle rose e dei mille gelsomini che quando cadono sembrano coriandoli di carnevale.
Però adesso, mamma, lasciami andare in pace e dammi la tua benedizione!
Lo vedo e l’ho pure capito che lassù, nel cielo, si commuovono sempre quando odono i tuoi lamenti e sono convinto che ascoltano le tue preghiere.
Poi non so come e non riesco a capirne neanche il motivo, mi vedo costretto a ritornare da te, con la testa abbassata, come sconfitto, come se la forza del tuo amore mi avesse rapito e mi avesse ricondotto in questa tua terra come un cane bastonato e umiliato.
Soltanto quando torno, ti vedo felice ed allegra, piena di gioia.
Mamma, ti ricordi quando sono ripartito di nuovo per cercare lavoro a Roma?
Quando ti comunicai la mia decisione, non hai fatto tragedie, non hai detto nulla e te ne sei stata zitta.
Eppure il pianto silenzioso del tuo cuore l’ho sentito, sino nelle mie ossa.
Mi hai fatto ripartire di nuovo con il rimorso addosso, come se avessi tutta la colpa di questo mondo.
Mi hai fatto sentire come un disgraziato, traditore e snaturato.
- Che coa ne puoi sapere tu, figlio adorato, dell'amore di una madre?
Ricordati solo che per me sei semplicemente il mio adorato figliolo.
Se non ti vedo pestare con i piedi questa terra mia e fino a quando non sento la tua voce e guardo la faccia dell’adorata gioia mia, non ho pace.
Quando sei partito, mi sono messa a fare come una demente, come una maniaca che aveva perso completamente la ragione.
Tu, soffio dell’anima mia, allontanandoti mi hai fatto perdere il senso vero della vita.
Nessuno poteva consolarmi.
Tante volte ti chiamavo e gridavo il tuo nome al cielo, al mare che ti aveva portato lontano.
Imprecavo contro tutto e tutti in modo irrefrenabile.
Le mie invocazioni si trasformavano da lamenti in grida di dolore.
Erano sentimenti angoscianti per un amore che sentivo svanire.
Ti volevo vicino a me momento per momento.
Solo adesso, figlio mio, che stai invecchiando e tantissimi anni sono passati, capisco con quanta apprensione ti ho seguito.
Solo adesso mi sono acquietata, contenta del tuo ritorno definitivo a me.
Ti confesso che adesso ti sono grata per tutti questi anni trascorsi insieme, attaccato al mio seno e alle radici della tua amata terra di Sicilia.
Mi hai fatto felice.
Ora ti prometto, figlio adorato, che quando ti vedrò morire, con te porterai nel petto, una parte del mio cuore che strapperò per donartelo.
È grandissimo l’amore che hai voluto dimostrarmi, ritornando, stando, vivendo con me e per me.
Così come nessuno mai potrà misurare quanto grande è l’amore che ho e che ho avuto sempre per te, caro figlio mio adorato.
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