Oronero
Macchina accesa.
L’ho sempre definita una carretta la sua macchina, una Dacia Duster, il suv dei proletari che fa sempre il suo dovere. E lo farà anche sta volta. Pensavo si sentisse un po’ di più la puzza dello scarico dentro l’abitacolo ma in realtà non dà così fastidio. Per il momento, almeno.
Ho scelto anche la colonna sonora per l’evento: “Oronero” di Giorgia. Niente di più azzeccato, perché il petrolio - l’oro nero - da una parte è così prezioso ma dall’altra si rivela per ciò che è, un veleno che trasforma in cose brutte tutto ciò su cui si poggia. Come mi diceva lei molto spesso: “L’oro nero sono tutti gli altri… perché la gente giudica e non sa neanche lei perché, poi parlano di me che non mi amo davvero, ma una carezza sul mio viso la vorrei sul serio… ”
E il petrolio anche stavolta farà il suo dovere: passando dal piccolo tubo si rivelerà in tutta la usa essenza. Inquinerà le nostre anime. E risolverà tutto.
Lei è qua con me. Ha come al solito esagerato con le sue pastigliette magiche, come si chiamano… Xanax, Cipralex e qualcos’altro. Non ci facciamo mancare niente. Neppure una bella bottiglia di vodka fresca che ha diluito il tutto. Questo vizio dei psicofarmaci con l’alcool, dopo di lei, l’ho preso anch’io… e il naufragar m’è dolce in questo mare. Diluire… forse è proprio la parola giusta. Abbiamo diluito la nostra vita in questi anni… allungata per bene.
Non è passato tanto tempo da quando ci siamo conosciuti. Lei, nonostante i suoi ventiquattr’anni non compiti, aveva perso troppo presto quella freschezza che ti regala l’adolescenza. O forse aveva perso del tutto la sua adolescenza. Era perfetto: lei aveva smarrito qualcosa che io stavo cercando affannosamente. Forse più in me stesso che negli altri. Ma avevo 45 anni suonati e cantati… nonostante i miei sforzi tra dieta e palestra di dimostrarne un po’ di meno. Era una di quelle persone che, in dieci minuti scarsi, ti racconta tutta la sua vita. E, quando non parlava, lo facevano i suoi occhi che forse avevano visto troppe cose che era meglio non vedere. E i suoi occhi mi paralizzavano.
In realtà non l’avevo mai notata prima. A prima vista poteva sembrare timida perché fumava con le sue amichette quasi di nascosto. O forse faceva come tutte la preziosa. Pare rispettasse la regola dei tre metri, ovvero l’obbligo non scritto di salutare colleghi sotto i tre metri di distanza. Ma quella volta ci fermammo a parlare, pensavo le servisse qualcosa. Io lavoravo come consulente... e ogni tanto mi piaceva parlare con qualcuno che non fosse un informatico perso nei codici di errore.
Aveva delle strane teorie sul mondo o sulla vita. Riteneva che il male si annidasse dentro di lei e che ogni sfiga nel raggio di cinquanta chilometri la potesse raggiungere, dalla grandine, alla maledizione di Montezuma, all’ex ragazzo un po’ tossico, un po’ manesco, un po’ stronzo, un po’ ladro. Diceva che nessuno l’aveva o l’avrebbe mai amata e che era una persona impossibile da amare. In pratica più che un fidanzato pareva le servisse un esorcista.
In realtà “dall’alto” dei sui 24 anni non sapeva cos’era l’amore e ho cercato di farglielo capire. Già proprio io che ne sapevo meno di lei.
Per questo l’ho adorata da subito.
Perché tutto questo buio attorno a lei mi illuminava più del sole.
Poi era l’unica donna che anziché una relazione mi ha proposto un contratto. Uno strano contratto.
Mi sono sempre piaciuti i contratti. Danno un ordine a tutte le cose della vita. Gestiscono scadenze, imprevisti e dubbi. Questo in particolare mi attirava molto, era ambizioso e voleva gestire quasi con la matematica ciò che la ragione non può trattare: le emozioni.
Era una bella sfida.
E me lo ha proposto con il suo sorriso.
- Non voglio una relazione
- Io non mi innamoro di te
- Tu non ti innamori di me
- Voglio le emozioni di un viaggio senza meta
I primi tre punti erano perfetti. Innamorarmi io… figuriamoci. Che faccia tosta. E neppure ci conosciamo. L’ultimo punto un po’ meno: per me un viaggio non ha senso senza una meta. Ma i filosofi, o sedicenti tali, pare dicano che la vita sia un percorso, con qualche ostacolo, dove non importa l’inizio e la fine. Non ci siamo, non capisco.
Ma il suo sorriso mi fa dimenticare tutto il mio l’inutile filosofeggiare.
Il suo bacio morbido sa di sigaretta e della mentina che ostinatamente mi porto dietro. Il suo abbraccio è tenero e forte assieme. C’è il sole.
L’ossido di carbonio si comincia a sentire. O forse è la vodka. O quella robaccia chimica. Ma non riesco ad essere troppo triste anche se qualche lacrima bagna il telefono. Non c’è campo. Non c’è scampo. Non si può scappare dalle nostre emozioni. Che lo si voglia o no.
Doveva essere una storiella. Invece è scappata dal mio controllo. Stiamo rompendo il contratto. Non è permesso.
Fare l’amore con lei era come fermare il tempo. Avevamo tolto la sabbia dalla clessidra. E buttato pure la clessidra.
I sensi di colpa di farlo in macchina e non in una baita di montagna su un tappeto davanti al camino. I sensi di colpa di non dare, non potere, non esserci mai. Il non potere accarezzare i suoi gatti. La consapevolezza di viaggiare con le emozioni ma senza la meta. Già, quella cazzo di meta. Il problema del salutarsi dopo e aspettare un messaggio per stare male. Ho capito cosa vuol dire. Ne valeva la pena?
Certo.
Ora sono io l’oronero. Una ragazzina viziata mi usa per giocare e mi fa questo scherzo. Non lo accetto. Ma non posso inquinare col petrolio l’acqua. Ho rotto il contratto. Non si può. Non doveva accadere.
Tranquillo. Posso rimediare. Posso rinunciare. Non è così importante non fondo. Ma è difficile mentire agli altri. Ma ancor più a se stessi. I fantasmi si sentono più dell’odore di benzina. Devo rifare partire il tempo.
Devo ritrovare la clessidra.
“Trovati una persona normale. Qualcuno che possa venirti a prendere la sera. Qualcuno che tu possa presentare ai tuoi. Mi basta che non sia uno stronzo come il tuo ex.”
Mentivo, mi faceva incazzare quell’idea. Lei doveva essere solo mia. Per un insano egoismo e per quella cosa che non riesco più a nascondere nemmeno davanti allo specchio.
Sì è l’amore, cazzo: “Parlano di lei, Una donna senza cuore. Ma che chiede solamente di trovare amore. Dicono di me, che non so consolare Ma sono qui davanti a te, mi prendo il tuo dolore”
Riusciva ad essere terribilmente dura, sia con le azioni che con le parole. Io dovevo fare l’uomo vissuto, l’uomo che ‘non chiede mai’.
Ma il pensiero che andasse con un altro mi faceva stare davvero male. E lo ha fatto per farmi stare male. C’è riuscita, missione compiuta.
Poi mi avvisa di un ritardo di due settimane. Potrebbe essere la soluzione a tutto. La meta del viaggio forse c’è.
Ci vedevamo a volte in un albergo ad ore, una sorta di ciulodromo. Le stanze erano posizionate come delle gabbie per polli in batteria e si arrivava in macchina quasi dentro la porta, tanto che potevano tuffarci dal finestrino direttamente sul letto. Posti del genere li avevo visti solo in qualche telefilm americano ed erano utilizzati solo da spacciatori o da rapitori di studentesse inermi. Prima il ciulodromo pare fosse stato un ricovero per cavalli, o giù di lì. Come da tradizione, la camera non era avara di specchi ed era in grado di saziare l’ego di uno che fa palestra e rendere più timida lei. Ma, ripensandoci, era carino, in mezzo al verde e a noi piaceva. Almeno credo. Poteva essere il nostro rifugio dal mondo, refugium peccatorum.
Gli occhi vedono solo ciò che siamo pronti a capire.
Poi sensi di colpa per non offrire una quotidianità vera, un posto degnamente normale, il problema del salutarsi. Il solito insomma. E ti torna in mente che da qualche parte hai letto che puoi dimenticare la persona con cui hai riso, mai quella con la quale hai pianto.
Ma lei stava bene in questa merda, ci navigava come una barchetta a remi nel mare calmo. La sua ricerca della sofferenza era pienamente appagata. In effetti, se vediamo l’amore come il sentimento più “alto”, questo non può che andare a braccetto con la sofferenza. La sofferenza serve solo per esaltarlo questo amore. Forse ha ragione lei. Ci può stare, già… ma solo dopo una bottiglia di vodka e setto/otto pastiglie. Oppure se ti chiami Jim Morrison… perché rifiutarsi di amare per paura di soffrire è come rifiutarsi di vivere per paura di morire. Ma non abbiamo paura. Non ho paura.
Dicono che serva circa un quarto d’ora per saturare l’ abitacolo della macchina di ossido di carbonio. Non so che test abbiano fatto, ma mi sembra che ci voglia un po’ più di tempo. O forse ci siamo perché i pensieri si fanno più confusi e rarefatti.
Il ritardo del ciclo è arrivato a tre settimane. Reagisce a suo modo: vuole scappare in America, magari America latina. Penserà a tutto lei, dai pannolini, alle feste di compleanno, cresima, comunione e università. Il ciclo arriva, ma la sostanza non cambia.
Decide che non vuole più vedermi. Iceberg. Non la riconosco più. Non mi riconosco più.
Mi agito. Sbarello. Xanax.
Ha ragione in fondo. Che padre sarei stato? Ma non glielo posso dire. Provo vergogna per me stesso. Forse possiamo vederci per l’ultima volta, spiegherò tutto.
Scriverò io un contratto, anzi il contratto:
- Non avremo mai un passato.
- Non avremo mai un futuro.
- Avremo un presente. Sempre.
Qua dentro nebbia. Offusca la mente e colora di grigio i pensieri. Si apre uno sportello. Poi si richiude. Forse le pastiglie e l’alcool lei li regge più di me.
È fuori che vomita, poi accarezza il gatto che guarda stranito. Le ha regalato una delle sue nove vite.
E la canzone sta per finire “Parlano di te. Che tu non puoi cambiare. Ma nella vita hai fatto passi per potere amare. Parlano di me. Ci credo per davvero.”
Tirami fuori di qui, non ci vedo, non respiro più, non respiro più.
Non respiro più.
Non respiro più.
Non respiro più.
Non resp…
“Le tue parole sono oro. Basta oronero.”
Voto: | su 1 votanti |