Ritornavo a casa e tutte le angosce assorbite a casa di Laura andavano via, si scioglievano come neve al sole. Mi infilavo in fretta sotto la doccia e aprivo il rubinetto dell'acqua fredda, in quel momento solo un getto d'acqua fredda avrebbe portato via tutti i pensieri. E poi dal bagno, la percorrenza per la camera da letto era breve, e nudo e ancora bagnato, mi tuffavo sul letto, con tanti brividi attraversarmi la pelle. Respiravo profondamente pensando alla serata che mi attendeva, al pub, seduto al mio pianoforte, a tuffarmi sui tasti di quel fantastico strumento musicale, che mi accompagnava da quando ero un bambino di sei anni. Pensavo alle mie dita che scorrevano dolcemente sui bianchi e sui neri, e tutte quelle donne che ogni sera aspettavano le mie esibizioni. Tutto ciò mi scaldava il cuore, mi faceva passare i brividi di freddo, sensazioni che riscoprivo volentieri, dalle quali mi facevo trasportare ogni sera. Sensazioni che mi attraversavano il corpo e l'anima, riuscivano a sradicarmi dai pensieri di Laura, che come tutti i giorni mi dava il suo corpo, tutta se stessa, come nessun'altra donna, aveva saputo mai darmi, ma la sua ossessione, mai mi permetteva di starle accanto con tutti i miei sensi, sia come amante che come marito. E ciò mi tormentava, mi tagliava il cuore, me lo rosicava, ma nulla potevo fare, se non dedicarmi a lei solo quella mezz'ora al giorno, lasciandole una parte di me. Ritornare di fretta a casa per pulirmi di un peccato, quell'acqua fredda per cancellare un momento forte e debole nello stesso tempo, per permettermi di riprendere le sensazioni delle magiche serate di musica al pub. Ormai da sei anni andava avanti questa storia assurda, questo falso amore, questo mio piccolo spezzone quotidiano di vita, che andava oltre ogni senso, oltre ogni logica più assurda, che andava oltre tutte le sensazioni del mondo. Ed oggi sono qui a pensare che tutto è finito, è bastato premere il grilletto. Lei mi supplicava, lo desiderava, anche se era un idillio l'iniziare ad amarci, ma era anche una ferita che si allargava sempre più, sei anni erano davvero tanti e forse per lei erano diventati snervanti. Mi aveva messo in mano quella pistola, supplicandomi, piangendo, ed io, come potevo, codardo, bastardo, forse senza senso, esaudivo quella sua assurda richiesta. Se la puntava in fronte, e mi implorava tremando, ma soprattutto piangendo -Ti prego, sparami Carlo, toglimi fuori da questa vita, da questo nostro rapporto che è solo un'amara illusione. Ti prego- Lei teneva le sue mani a reggere la canna della pistola, appoggiata alla sua fronte, e poi il mio indice che si avvinghiava sul grilletto, il colpo era assordante, ma nello stesso tempo tutto sembrava così veloce. Le sue mani scivolavano via dalla canna della pistola quasi all'istante e il suo corpo si piegava all'indietro, spinto dalla violenza del colpo. Da quel momento riponevo la pistola nella tasca interna del mio impermeabile e andavo via come se nulla fosse successo, come un pappone che si scocciava della sua puttana e se la levava di torno, come un bastardo. Da quel giorno le sensazioni che ricadevano su di me, erano angoscianti, soffocanti, come se il cielo mi cadesse addosso, senza potermi dare la possibilità di respirare, come se dovessi essere vittima del tempo, dell'aria. Anche gli sguardi intorno a me, mi davano ai nervi, negli occhi della gente rivedevo sempre quelli di Laura, ma erano occhi che mi giudicavano, che mi scrutavano, che celavano le mie colpe, vedevano il mio atroce delitto, da uomo fallito, uomo senza cuore, uomo che non aveva saputo amare, un uomo egoista, ipocrita, ma soprattutto bastardo. Una mia impressione più agghiacciante era quella di essermi reso conto che mai più quegli occhi indagatori della gente, sarebbero andati via da me, mi avrebbero accompagnato per il resto della mia vita, ormai diventata un inferno.
Caltagirone 25 marzo 2011
Racconto scritto il 10/09/2017 - 20:42
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