Era un pomeriggio come tanti altri, le giornate, cominciavano ad accorciarsi, e lo studio, presto sarebbe stato buio. Se ne stava con la testa china sui libri, leggendo la lezione di italiano. Piano, cercava di capire ogni parola di quello che leggeva. A scuola la maestra stava spiegando le poesie e le figure retoriche. Come sempre studiava con la sua mamma, e le piaceva passare quel tempo con lei, anche se studiare non era sempre...bello e non tutte le materie le erano simpatiche. Ma andava bene e si sforzava di andare meglio. Tornò a leggere. Metafora, ossimoro...ossimoro? Cosa voleva dire, quella strana parola? Cercò di ricordare se la maestra l'aveva detta...no..non ne era sicura.
«Mamma? Cos'è un ossimoro?» Si girò verso di lei per sentire la risposta, ma rimase paralizzata. La madre, era bianca, abbandonata sulla poltrona, e stava ferma. Cosa doveva fare?
«Mamma...mamma?» Chiamò ancora, ma niente. Stava per mettersi a piangere, poi si ricordò che la madre le aveva insegnato il numero del pronto intervento. Corse in cucina, dove stava il telefono, e con mani tremanti, prese la cornetta. La prima volta, sbagliò numero. Poi sentì finalmente, una voce che le chiese, di cosa si trattava. E come meglio poteva, cercò di spiegare quello che era accaduto. Anche se poi non sapeva davvero cosa era accaduto. Era preoccupata, e spaventata.
L'ambulanza, arrivò pochi minuti dopo. Ma a lei sembrò che ci mise molto ma molto più tempo. I medici, si misero subito ad armeggiare intorno a sua madre, e lei a stento tratteneva le lacrime.
Quando la portarono via per ricoverarla, riuscì, a fatica, a seguirla. Non fu facile, convincere i medici, ma sebbene fosse una bambina, sapeva essere molto tenace.
I medici del pronto soccorso, constatarono che la donna aveva avuto un collasso, probabilmente dovuto da un periodo di stress, ma decisero comunque di tenerla in osservazione, ricoverandola. La bambina, non si era mai mossa, e quando il medico di guardia, l'aveva fatta uscire, si era messa, seduta, su di una delle panche del corridoio.
Il medico, lasciò la stanza, per recarsi, allo studio che occupava nel reparto, quando era di turno. Aveva già visto, quella donna, quasi otto anni prima, di fatti, ricordò era di turno, quando la ragazza, partorì. Doveva avvisare i parenti, il marito di sicuro...anche perché non poteva certo lasciare che la bambina passasse lì tutta la sera, e magari la notte, si disse, entrando nella stanzetta, dove stava una scrivania, una vetrina, con alcuni farmaci, il dispensatore dell'acqua e quello del caffè, oltre tre sedie, un computer, e il mobile dove teneva le cartelle cliniche più vecchie, che ancora non erano state copiate in digitale. Sospirò. Aveva avuto, una mattinata difficile, e anche il primo pomeriggio, non era stato una passeggiata, ma ora lo aspettava un compito ingrato. Era sempre spiacevole dover spiegare ad un parente allarmato che il proprio congiunto si era sentito male...tanto valeva togliersi il pensiero. Controllò tra i suoi dati, e trovò il nome che cercava:Dave, Cardston.
Era nel suo studio. Erano mesi che non tornava lì. Negli ultimi anni aveva trasferito i suoi affari altrove, ed era stato meglio. O almeno così si era sempre detto. Ma era dovuto tornare, e fare i conti coi ricordi, e i problemi. Aveva avuto una giornataccia, e si sentiva stremato. Un'ombra di barba gli scuriva il mento, e i suoi occhi erano cerchiati. Aveva anche un tremendo mal di testa. Allentò la cravatta, e slacciò la camicia. La giacca l'aveva buttata da qualche parte, quando era entrato. Il trillo del telefono, quasi lo fece sobbalzare. Altri problemi. Ma era ben deciso ad ignorarli. Lasciò che squillasse, convinto che, chiunque fosse, lo scocciatore, avrebbe riagganciato subito. Tutti quelli che lo conoscevano, sapevano che o rispondeva immediatamente, o non rispondeva affatto. E invece, il telefono aveva continuato a squillare, con insistenza. E alla fine aveva ceduto.
«Cardston.» Disse una voce fredda, ed irritata. Chi diavolo lo chiamava a quell'ora?
«Chiamo dall'ospedale...sua ...»
«Chi diavolo è? Ha voglia di scherzare?» La voce dell'uomo era sprezzante. Il medico sembrò disorientato.
«Parlo col signor Dave, Cardston?»Aveva forse sbagliato numero?
«Sono io. Con chi accidenti parlo?»Il medico fece un sospiro.
«Sono il dottor, Colonti. Sua moglie...e sua...»
«La mia... cosa!?! »La voce sembrava quasi un ringhio.
«Sua moglie..Melania, Transaldi, ha avuto un malore...» Mel? Quel nome gli trafisse il cervello come un lampo. Chi era quell'uomo? E che centrava lui, con Mel? E soprattutto, perché lo aveva chiamato?
«Senta, ci deve essere uno sbaglio.»
«So che è sconvolto...» Stava dicendo il medico. Ma lui non era sconvolto, arrabbiato, accigliato, sì, ma sconvolto, no. Quell'uomo stava dicendo cose senza senso.«Me ne rendo conto, ma la bambina...» Ma di che blaterava, ora?
«La bambina?»Chiese, cercando di venire, a capo di quella assurda conversazione.
«Sua figlia.» La figlia di Mel? Aveva una figlia? Ma lui cosa c'entrava? Non la vedeva da più di otto anni!
«Senta, sono stanco. Vuole arrivare al punto, e dirmi che accidenti sta succedendo?»
«Sua moglie, ha avuto un malore, e sua figlia, è qui in ospedale. Da sola!»Il tono era di rimprovero. Chiudere, la chiamata, fu il suo primo istinto. Poi, il suo cervello, stanco, riprese a funzionare. Sua moglie, sua figlia. Ora capiva il senso. Ma lui non aveva nessuna moglie e nessuna figlia, e di sicuro non aveva sposato Mel. Cosa stava succedendo?
«Che ospedale?» Ringhiò. Ormai la collera si era impadronita di lui. Doveva vederci chiaro e subito.
Pochi minuti dopo era in macchina.
Aveva, chiesto all'accettazione, il numero della stanza, di Melanaia, e lo avevano indirizzato al primo piano. Era scuro in volto, i pugni, stretti, lungo i fianchi, l'andatura sostenuta. Era fuori di sé. Il primo piano, era deserto, eccezion fatta, per una ragazzina, che sedeva su di una panca, a testa bassa. Passò oltre velocemente, con una strana sensazione, che non volle soffermarsi ad esaminare, e poi aveva fretta, d'incontrare il sedicente medico che gli aveva telefonato. Entrò nella stanza, a passo deciso, ma non poté fare a meno di chiedersi cosa ci facesse, lì.
«Buonasera. Lei è il signor Cardston, vero?»
«Sì.»La voce una lama tagliente.
«Ci siamo parlati al telefono. Sono Jack Colonti. Vuole vedere sua moglie?» Chiese, sapendo che di solito erano le prima cosa, che gli domandavano. Certo, quell'uomo non sembrava affatto il solito marito preoccupato.
«Posso parlarle?»
«Ora, sta riposando.»
«Allora è inutile. Quando potrò parlarle?» Il medico si stupì, di tanta durezza.
«Forse domani. » Disse.
«Bene. Tornerò domani.» Replicò. Gli occhi ridotti a due fessure.
«Ha già parlato a sua figlia? Era molto spaventata. »Il tono era di rimprovero.
«Non ne vedo il motivo.»Non si scompose minimamente. Che razza di uomo era?
«Be', ora che tornerà a casa con lei, di sicuro si tranquillizzerà.» Fissò i suoi occhi in quegli del medico. Non si aspettava, certo che lui si occupasse di una bambina, che non aveva mai visto e che non era sua?
«È stata Melania, a dirle che siamo sposati?»
«Sua moglie, era incosciente, quando l'hanno ricoverata. E lo è rimasta per quasi tutto il tempo.»
«E allora chi le ha parlato di me?» Era intenzionato a scoprire a che gioco stavano giocando quell'uomo e Mel.
«I suoi dati, erano stati inseriti nella cartella di sua figlia, quando sua moglie partorì.»
«Perché?» Il medico lo guardò stupito.
« È prassi inserire i dati del padre, oltre quelli della madre.» Ma lui non era il padre. Dannazione.
«Dov'è la bambina?» Chiese, quasi con ferocia. Quella giornata era cominciata male, e stava finendo peggio.
«In corridoio. È molto sveglia per avere otto anni.» Otto anni? No, si disse con forza, non era possibile.
«Bene.» Disse solo, uscendo velocemente. Non aveva nessuna intenzione, di accollarsi quel fardello.
Lasciò la stanza del medico, e tornò in corridoio. Era stanco ed arrabbiato. Uno spiacevole dubbio si stava insinuando nella sua mente, ma era ben deciso ad allontanarlo da sé.
Il corridoio era ancora deserto. A parte la bambina. Se ne stava ancora rannicchiata sulla panca, a testa bassa. Passò oltre, ma arrivato quasi alla fine del corridoio girò sui tacchi e tornò indietro. Il cielo sapeva cosa stesse facendo, e perché. Si fermò a pochi passi dalla bambina.
«Vieni.» Le disse. Il tono, aspro, non gli riusciva proprio di addolcirlo.
«Dove. E chi sei?» La bimba, alzò il volto verso di lui, rivelando due grandi e profondi occhi verdi, e un volto grazioso incorniciato, dai capelli neri, legati in due codini. Trasalì.
«Sono...un amico della mamma...» La bambina, scosse la testa.
«Non è vero. Tu sei il mio papà. Ho visto le foto.» Ora però lo stava guardando con ostilità. Ma non aveva tempo da perdere per discutere con una bambina.
«Vieni.» Disse ancora. Lei scosse la testa.
«Non mi muovo. Là c'è la mamma.» Bene. Che serata! Pensò. Si passò una mano tra i capelli. Era nervoso. Solo un cieco, avrebbe potuto negare la somiglianza, e lui non era affatto cieco.
«Tua, madre, ti direbbe di venire con me.» Disse. Dannazione! Non poteva essere vero. Ma neanche poteva lasciare una bambina, che forse era sua, in un ospedale.
«Resto.»
«Non puoi. Devi mangiare e dormire. E qui, non puoi farlo.» Pura logica, ma la bambina, sembrava ignorarla. Cosa doveva fare?
«Vieni!» Disse ancora, stava perdendo la pazienza.
«Devo proprio?» Ma che razza di domanda?
«Sì.» La bambina, scese dalla panca e lo seguì mogia. Perfetto! Si disse. Passò un dito nel colletto della camicia. Era esausto. Come doveva comportarsi, e che tranello era mai quello? Ogni tanto spiava la bambina, di sottecchi. Gli somigliava molto, non c'era dubbio. Il colore dei capelli, quello degli occhi, e anche alcuni atteggiamenti. Ma forse si stava solo suggestionando. Scosse la testa, e prese la mano della bambina. Per fortuna, lei non disse nulla, ma lo lasciò fare.
Aveva parcheggiato, davanti all'ospedale. Prese le chiavi dell'auto, e aprì la portiera. La bimba, si lasciò andare ad un esclamazione di stupore, ma poi non disse altro, chiudendosi in un mutismo ostinato. A quanto pareva a nessuno dei due andava a genio quella cosa.
Entrando nella sua suite, si rese condo che aveva accumulato ancora più tensione. Cercò di scuotere le spalle. Aveva bisogno di un bagno caldo. Buttò da una parte la giacca, e tolse la cravatta. Stava per sbottonarsi la camicia, ma poi ricordandosi della bambina, ci ripensò. Avrebbe dovuto prendere una stanza anche per lei. Si disse, lasciandosi cadere sulla poltrona. Era sfinito, per giungere all'albergo, ci avevano messo un'infinità, a causa del traffico, e ora, non voleva altro che rilassarsi, e cercare di risolvere il problema. Dannazione! Avrebbe dovuto chiudere tutti i suoi affari in quella città, già da anni! Ma ormai recriminare non serviva a nulla.
«Che facciamo ora, papà? È tardi, ho fame e domani c'è scuola.» Aprì gli occhi di scatto, e si rizzò a sedere. Scuola? La bambina, dannazione, non sapeva neanche come si chiamava, lo guardava, con cipiglio, le mani sui fianchi.
«Ordiniamo, da mangiare.» Disse risoluto. Componendo il servizio in camera. Cosa diamine mangiava una bambina, di otto anni?
«Ti va una pizza?» Chiese.
La bambina annuì.
«Come ti chiami?»
«Katy. Come facciamo coi libri?» Chiese ancora, Katy. Come facevano?
«Dove abitate tu e la mamma?»
«Dall'altro lato della città.» Che meraviglia! Che poteva fare? Lui il giorno dopo doveva lavorare, e poi doveva assolutamente parlare con Mel. Che pasticcio!
«Va bene, mangeremo fuori. Così recuperiamo anche i libri.» Disse. La bambina si rabbuiò.
«Devo ancora finire i compiti!» Lui la guardò basito. No. Quello era troppo. Doveva trattarsi di un incubo.
«E se domani saltassi la scuola?» Propose. Ma che si era impazzito?
«I compiti devo sempre farli! Mamma dice che se non si fanno si accumulano, e poi non si capisce nulla.»
«Se non vai a scuola, potrai farli domani mattina.»
«E chi mi aiuterà domani? Tu?»
«Io ho da lavorare.» Ma si pentì subito della frase.
«Voglio la mamma!» Aveva gli occhi lucidi, e sarebbe scoppiate in lacrime.
«La mamma, tornerà presto. Dai mettiti il cappotto.» La bimba lo guardò meravigliata.
«Perché?» Scosse la testa, sconsolato. Afferrò la giacca, fece per mettersi la cravatta, ma poi la lanciò lontano, avrebbe rischiato di soffocarsi, se l'avesse messa.
«Andiamo a recuperare i libri. E poi penseremo al da farsi.»
Dave, era sfinito. Distrutto. Erano andati a prendere i libri, e alcune cose di Katy nel loro appartamento, fortuna che Mel teneva le chiavi di riserva sotto un vaso, davanti alla porta, anche se era una pessima abitudine, ragionò. Ad ogni modo non avrebbe voluto aggiungere un accusa di furto con scasso, ai problemi di quella giornata interminabile. L'appartamento era piccolo, ma pulito ed ordinato. Si era guardato in torno per cercare qualche traccia, che lo conducesse al padre della bambina, ma nulla, c'erano solo foto di Katy e Mel. Era bella come ricordava.
Poi si erano recati in una pizzeria. Rabbrividì. Si era sentito come un pesce fuor d'acqua, mentre, ragionò agli altri, doveva essere sembrata una scena, normale. Un padre che cenava con la figlia. Ma Katy, era davvero sua figlia? I tempi tornavano, e gli somigliava...ma non era abbastanza. Durante la cena, la bambina era stata pressoché muta, e a lui non era sembrato il caso di intavolare una conversazione.
Dopo cena erano saliti in macchina, e in silenzio erano tornati in albergo.
Aveva scaricato i giocattoli che lei aveva voluto e la cartella, e poi erano saliti. Katy era stanca, lui di più. Le aveva detto, di stare buona, sul divano, ed era sparito in bagno per farsi una doccia.
L'acqua calda, aveva ritemprato un poco il suo corpo, ma per lo spirito c'era da fare ben poco. Ora, si disse chiudendo il getto d'acqua, e uscendo, doveva pensare a come sistemare la sua ospite per la notte. Afferrò il pigiama, che aveva recuperato prima, e se lo infilò in fretta. Ora, che non c'era più il rumore dell'acqua, si accorgeva che dal salotto non giungeva nessun rumore. Cosa era accaduto? Quando ritornò, però Katy non c'era. Dove diavolo era finita? Era arrabbiato, ma anche spaventato. Poi notò che la porta della camera era aperta. Entrò nella stanza, e trovò la bambina, profondamente addormentata, nel suo letto. S'intenerì un poco. Doveva essere esausta. Era molto bella. E se davvero, era sua figlia, doveva esserne orgoglioso. Certo però che Mel l'aveva tirata su, bene. Rimboccò le coperte a Katy, e poi si stese a sua volta. Poco dopo crollò addormentato, i pensieri ancora gli agitavano la mente.
La mattina dopo si svegliò di soprassalto. Mentre tutti gli avvenimenti del giorno prima, gli tornavano alla mente. Katy, dormiva. Cosa doveva fare? Ragionò sulle opportunità che aveva, erano ben poche, rifletté anche perché non poteva portarsi una bambina di otto anni, ad appuntamenti di affari, o riportarla in ospedale, visto che non conosceva ancora le condizioni di Mel, e poi avrebbe voluto parlarle da solo. E neanche poteva lasciarla in albergo. La scuola. Ecco la soluzione, per qualche ora, almeno. Si alzò, fece una rapida doccia, e si vestì immediatamente. Poi svegliò, la bambina.
«Mamma...ah papà, perché mi hai svegliato?» Disse stropicciandosi gli occhi.
«Perché devi andare a scuola.»
«Non ho fatto i compiti!» Protestò. Dave alzò gli occhi al cielo.
«Le maestre capiranno.» Katy mise il broncio.
«No. Penseranno che dico le bugie.»
«Parlerò io alle maestre. Forza, vestiti e facciamo colazione.»
«Io non faccio colazione, mamma mi mette la merenda nello zaino.» Merenda? E lui cosa, le dava come merenda?
«Va bene, ci fermeremo a comprare qualcosa, lungo il tragitto.»Disse risoluto. Ma che ne sapeva lui di compiti, merende, e altro? Era sconcertato e furioso. Dannazione! Doveva parlare con Mel!
Aveva passato una mattinata d'inferno. E ormai era quasi ora di pranzo. Stava seduto, su di una scomoda sedia, accanto al letto di Melania. Era bella, ma pallida. Gli appariva così fragile nel sonno. Aveva accompagnato Katy a scuola. E le maestre si erano mostrate comprensive, alcune pure troppo, ma era una scena che non gli era certo estranea. Altre erano state più che altro curiose. Soprattutto, dopo che Katy, aveva detto candidamente « È il mio papà.» e a lui non era rimasto altro che fare buon viso a cattivo gioco.
Il resto della mattina, era stato estenuante, incontri da sostenere, contratti da firmare, o far firmare. Si passò una mano tra i capelli. Anche a pranzo aveva un appuntamento. Diamine!
Melania, aprì a fatica gli occhi. Si sentiva la testa piena d'ovatta. Dove diavolo era? Pensò. Poi istintivamente ricordò l'odore di disinfettante tipico degli ospedali, e alcuni frammenti, della sera precedente le tornarono alla memoria. Aprì del tutto gli occhi e li richiuse. Era un incubo? Tutto quello non stava accadendo. Non poteva essere vero. Si alzò a sedere contro i cuscini.
«Ti sei svegliata. Come ti senti?» La voce, era piatta, asciutta ma tradiva una nota di collera. No. Non poteva più ignorare la presenza di Dave. Ma cosa ci faceva lì l'uomo che otto anni prima le aveva sconvolto la vita? E Katy? Dov'era? L'aveva visto, gli aveva parlato? Cielo, era così confusa.
«Cosa ci fai qui?»
«Buongiorno anche a te. Mi ha fatto chiamare il dottor Colonti.» Lei lo guardò, spaventata.
«Perché?»
«Crede che siamo marito e moglie, e che Katy sia mia. Sono io quello che vorrebbe spiegazioni.» Melania sospirò. E lui si sentì un mostro, per averle riversato addosso la sua tensione, ma di sicuro le ultime ore per lui non erano state una passeggiata.
«Katy è tua. E non ho detto io che eravamo sposati. Dov'è ora Katy?»
«A scuola, ce l'ho portata io.»
«Tu? Hai parlato con lei?» Perché a un tratto sembrava spaventata?
«Veramente, è stata con me, da ieri sera.» Lei lo osservò. Sembrava stanco.
«Cosa vi siete detti?» Era così importante?
«É convinta anche lei, che io sia suo padre.» Disse. Piatto.
«Perché è così! Come sta?» Che conversazione, assurda.
«Bene, anche se le manchi ed è preoccupata.»
«I medici ti hanno detto qualcosa?» Chiese Melania, e lui comprese che era ansiosa di uscire.
«No. Ci devo ancora parlare. Quando finisce la scuola di Katy, nel pomeriggio?» Mel, scosse la testa.
«Tra meno di un ora.»
«Dannazione!» Si alzò di scatto.
«Che ti prende?» Sembrava furioso.
«Ho un pranzo d'affari. Pensavo...lasciamo perdere. È meglio che mi sbrighi.»
«Cosa hai intenzione di fare?» Sembrava allarmata. E s'intenerì, un po'. La capiva, era facile preoccuparsi per Katy. Seguendo uno strano impulso, le si avvicinò e le diede un bacio veloce sulla fronte.
«Penso di portarla al pranzo con me. Magari si annoierà. Ma deve pur mangiare.»
«Sei arrabbiato, vero?»
«Pensa e rimetterti.» uscì in fretta dalla stanza. Cosa gli stava accadendo? Di colpo si sentiva quasi responsabile...ma non era quello il momento si soffermarsi ad analizzare certe sensazioni ed in più era in ritardo.
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Leggerò senz'altro anche la seconda parte. Mi sta piacendo troppo questo racconto. Tu sì che ne capisci, tu sì che ci sai fare.
Complimenti e bravissima!!!
Ho letto in precedenza un certo numero di altri tuoi racconti lunghi e questo senz'altro uno dei migliori del suo genere, anche se stabilire un vero e proprio genere mi è difficile, magari per dirla all'inglese lo reputo un 'drama'.
Un racconto per cui degno di nota e di pregevole fattura/lettura e scritto in maniera scorrevole e dai personaggi credibili.
Il malore della madre di Katy, nonostante la circostanza non proprio positiva, è servito per ritrovarsi un po' tutti.
Adesso è tutto in mano di Dave, un personaggio ben caratterizzato e sotto una scorza dura in realtà ha dei valori non indifferenti. Molto tenera anche la bambina. Sequenze del racconto non banali...