Mentre il sangue scorre fuori da quel sorriso, sciupa la bellezza della vita stemperandola nella morte, scolora le tinte vivaci in un grigiore spento e di un dolore acuto che non è riuscita ad attutire. Quel pensiero orrendo era presente da un pò , prima quasi impercettibile poi piú reale; andare avanti con fatica tutti i giorni è per lei una catarsi e non è riuscita ad abbandonare quel malsano proposito. Un tripudio d’emozioni, sensazioni, desideri a spingerla a fare a sportellate per emergere, calpestare, fare la guerra e lei spettatrice, nemmeno consapevole di tutta la vita che le si agita dentro. Un’esistenza che incanta e seduce; una vita che rende schiavi, che frantuma, che esplode di colpo, d’un tratto, senza preavviso, che libera e rigenera, che implode dentro per distruggere l’anima, schizzando pezzi ovunque, come se ci fosse anche solo una mano pietosa a raccogliere quell’anima statica e guidarla per il riposo eterno. Trascinata, tracimata, travolta, spazzata via dalla piena del sentire, a perdersi senza sorriso, senza sapere dove sta andando, senza aver voglia neanche di saperlo, soltanto piangere senza ritegno, senza voglia di combattere contro la forza della vita, lasciandosi trasportare da essa, alla fine del viaggio. Un’anima delicata che quando si abbandona è facile perdersi e non bastano gli occhi sensibili a riportarla a ragion veduta; la paura, la debolezza, la fragilità, la forza, l’impotenza con tutto ciò che aveva dentro, comprese le briciole non le sono state d’aiuto. Aveva tra le mani Il portachiavi; un piccolo peluche, che aveva preso dal portaoggetti dell’auto; il metallo tintinnò, un rumore freddo, glaciale, che lasciava presagire nulla di buono! Scese dalla macchina con movimenti lenti, misurati, nessuna fretta; scollegò l’allarme e inserì le chiavi nel portone del garage. Aprì e fu dentro, disse a se stessa: “Che meraviglia essere a casa”! Le ricordava sempre l’infanzia; la sensazione di protezione che le dava l’essere nell’intimità delle sue mura domestiche e che aveva sempre ricercato in qualunque posto che le avrebbe richiamato il suo nido. Salì le scale; aprendo la porta la sorprese un intenso profumo provenire dalla cucina, di piatti cucinati in famiglia della nostra terra napoletana, basati su prodotti naturali, genuini, che da sempre sono stati presenti nella nostra borsa della spesa. Già, il pranzo di quel giorno; non era brava a cucinare, come forse non era brava a fare molte altre cose, ma non le importava più ormai. Non avrebbe più cercato di migliorarsi, intanto, immobile in mezzo alla stanza, si godeva il profumo emanato dai cibi, che sagacemente la madre aveva preparato e che a breve avrebbe assaporato. C’erano tanti altri profumi: tabacco, vaniglia, fiori freschi e di pulito, libri, legno, vernice; ancora spezie, cioccolato, the al bergamotto. Li percepiva distintamente, profumi che si confondevano, si mescolavano in un’alchimia che generava quell’inconfondibile aroma di casa. Pace, serenità, festa, gioia, calore, amore erano tutt’uno fra quelle mura. Si levò la giacca e la posò sul divano, l’avrebbe riposta più tardi nell’armadio, mentre il sole entrava dalle ampie finestre e le tende erano sollevate ad accogliere la luce. Decise di stappare una bottiglia di spumante pregiato: Asprinio d'Aversa extra but, Grotta del Sole dal gusto saturo, raccolto in un bicchiere e il suo aroma inconfondibile si liberò nella stanza. Prima avvicinò il bicchiere al naso per percepire una certa maturità e intanto continuava a fare roteare lo spumante nel bicchiere e annusava frequentemente, tenendo tutta l’attenzione alle sue reazioni, alla curiosità con cui seguiva il suo assaggio. Si sentiva stanca, aveva bisogno di rilassarsi, di riposare; prese il bicchiere e andò verso la stanza da bagno, lo posò su un ripiano di marmo. Fece scorrere l’acqua calda nella vasca e vi aggiunse il suo bagno schiuma preferito, mentre l’acqua scendeva spumeggiando, andò in camera da letto e si spogliò. Rimase con due veli azzurri, sottili come una carezza, a trasparire le più intime bellezze del suo corpo ambrato e ritornò in bagno. Entrando vide il bicchiere, lo sollevò, assaporò l’ultimo sorso rimasto. L’ambiente era caldo, denso di vapore, inebriante; lo specchio era coperto da una patina di condensa. Si avvicinò e improvvisamente un “click” scattò nella sua testa. Una folgorazione che fu abbastanza forte da impennare il suo grande cuore e il suo respiro si fece affannoso, mentre aveva la sensazione che il tempo impazziva ad ogni scoccar di secondo. Caldo e gocce di sudore imperlavano il suo viso, vapore, fastidio, mani impazzite, superfici tastate, tremore di febbre, interruttore, specchio, armadietto, mani che scivolano bagnate, flaconi e scatole sotto le dita, cartone strappato, boccetta di vetro, pillole colorate e poi tosse, saliva, acqua fredda in un bicchiere, deglutire, ansimare, mani a cercare pacchetto di carta, un piccolo quadrato, lacerato, strappato, brillante di metallo, tagliente in mano, la morte è sottile, il confine è sottile, piedi nell’acqua calda, distesa nel liquido, pressione sulla pelle tesa e fine del polso, taglio fili blu di vita recisi, rivoli di rosso scorrere lungo il braccio e cadere sul freddo marmo e sul tappeto. La tristezza che si rivela passione quando è ormai impazzito il tempo e le lancette non lo fendono più, mentre va a tingere la schiuma candida, a violentare la bellezza del bianco con la sua drammatica vitalità, a colorare l’acqua, a profumarla di vita andata a male, uscita dal corpo e pronta per il disfacimento, per la frantumazione, per l’irrancidimento, per la morte, quella vita che, quando abbandona, non può che andare incontro alla sparizione, quasi non fosse mai esistita, quasi fosse stato tutto un gioco, un esperimento, un bluff. La vita se ne scorreva via, a frantumarsi, appunto; a disfarsi in un niente d’acqua, come si fosse smaterializzata. Una strana calma all’improvviso; battito lento del cuore, sempre più lento, una morbidezza calda e sensuale nei movimenti, un sorriso dolce, esausto che solleva appena gli angoli della bocca. Era un sogno ricorrente, lucido che portava con sé una pace infinita. Quando tutto sembrava rientrato nei giusti binari, la diciottenne si lancia nel vuoto dal terzo piano schiantandosi violentemente al suolo. Non possiamo sapere, cosa può essere successo in quelle ore e minuti che hanno preceduto l’insano gesto; immaginiamo che sia solo un attimo e che ha raccolto tutte le sue forze per compiere quel maledetto atto. Se la delusione le ha spento un sogno, il dolore elaborato dall’abbandono, non le riesce di superarlo e mettere la parola fine ad una storia d'amore è difficile da digerire. Il disinganno l’ha percepito come una tegola capitatole all’improvviso e alla solitudine non ha saputo fronteggiare la delusione d'amore. La fine del grande amore che fino a poco tempo prima la univa al suo compagno, non riesce a darsi un perché. Ha avuto giorni e momenti di disperazione; tendendo ad idealizzare il proprio sentimento ed il partner stesso e a non rassegnarsi alla decisione dell’altro, cercando continue risposte che spieghino la fine del rapporto d’amore. Apatia, svogliatezza, senso di vuoto, perdita di interesse verso le proprie passioni, perdita di appetito, insonnia, difficoltà di concentrazione, tutti sapientemente miscelati coi tipici sintomi del disturbo bipolare della personalità che alla povera sventurata ha concesso il discutibile lusso di sperimentare stati d’animo che alternano sensazioni di euforia, quando ci si trovava a stretto contatto con la persona amata, a disforia vera e propria (depressione), quando se ne separava nuovamente. La mancata accettazione del fatto di essere stata lasciata e l’incapacità di rassegnarsi alla fine di un bel sogno, specialmente quando prima dell’abbandono le cose sembravano andare meravigliosamente bene tra di loro. Ogni secondo della sua giornata viene vissuto con un pensiero ossessivo legato all’amore perduto ed alle ragioni per le quali è finita, non è riuscita a cambiare lo status quo, cercando di vivere il suo tempo in maniera più equilibrata e con la minore sofferenza possibile. In lei c’è la sensazione di aver perso la propria identità e non riesce a comprendere di trovarsi in una realtà illusoria e transitoria, determinata da null’altro che non sia la dolce abitudine del condividere la propria vita con un’altra persona. Credeva fortemente che il proprio amore era qualcosa di diverso, che avesse un’origine trascendente, che era la manifestazione terrena dell’amore universale che univa tutte le creature. La paura di soffrire ancora, era sempre presente nella sua mente, di vederlo con un altra e soffrire, di restare sola e di non riuscire più a trovare una persona adatta a lei. Si colpevolizzava per quello che era successo, arrivava quasi a giustificare l’altro per averla lasciata perchè non era alla sua altezza, perchè non curava il suo aspetto per piacergli di più, perchè non prestava attenzione alle sue esigenze; insomma, si sentiva brutta, fragile, piccola e inutile. Non riusciva ad ammettere che le storie finiscono per altre ragioni, finiscono perchè si esaurisce l’amore, e di sicuro non è la pancia, non è l’aspetto estetico, non sono i capelli incolti e il vestire male, è qualcosa che cambia negli occhi dell’altro, e a quel punto era meglio che sparisse dalla sua vita. La cosa che più la imbestialiva erano quelle parole di commiserazione di lui: “voglio restare tuo amico, perchè non riesco ad amarti, eppure sei così magnifica ”, proprio non riusciva a mandarle giù; che le arrovellava il cervello e che non riusciva ad eliminarle dai suoi pensieri. Non è riuscita a confidarsi con le amiche e i familiari del disagio che provava in quei momenti di delusione, che non si riferiscono al solo amore perduto, che era solo la punta dell’iceberg, ma un concatenarsi di situazioni negative che l’hanno destabilizzata e i segnali deboli di aiuto che ha lanciato non sono stati identificati e recepiti. L’ha amata tanto la serenità di un lungo sonno, di un lungo, infinito abbandono ed in questa pace, trovare la rinascita! Come scivolare fuori dal grembo e raggiungere la vita, e vomitarla in un urlo primordiale, con la voglia di perdersi e mettere fine ai tormenti. Che gioia sarebbe! “È stato bello”! “È stato brutto”! “È stata bene”! “È stata male”! Che esperienza ha vissuto? Comunque sia sempre un’esperienza rimane! Possiamo, soltanto dire che l’attimo appena passato non è accettabile, senza darsi la possibilità di ritrovarsi diversa, a rifarsi come pane fresco tutte le mattine, a guardarsi senza paura di vedere crepe nell’animo, con la voglia di rinascere senza il timore di continuare. Senza aspettare, senza rinchiudersi in grigie stazioni vivendo l’attesa, condannata alla prigionia, a prendersi cura delle debolezze, senza trasformarle in scudi ad aver cura della bellezza, della meraviglia, dell’estasi, senza inseguire sogni di morte per la troppa voglia di vivere.
Racconto scritto il 02/10/2017 - 11:01
Da Savino Spina
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Commenti
be bella fantasia
drammatico racconto
drammatico racconto
GIANCARLO POETA DELL'AMORE 02/10/2017 - 18:57
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Una tragedia accaduta tre giorni fa ad Arzano; rispetto il dolore dei genitori e sono vicino col cuore al loro dramma che ha travolto la loro vita! Come padre alla notizia, non volevo crederci, perché poteva accadere a una nostra figlia o figlio! Non accetto e non giustifico un gesto così estremo, ma non giudico una ragazza che decide di morire! Se ne sono dette tante in paese, sul motivo che abbia generato quel maledetto proposito! Io non conoscendo la ragazza, la famiglia e i fatti, ho immaginato che le cose si siano svolte come descritte nel mio racconto, che è semplicemente frutto della mia fantasia!
Savino Spina 02/10/2017 - 14:21
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