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Vincenzo in cammino verso...

Una salita faticosa


Il piccolo Vincenzo era arrabbiato per quella salita faticosissima e quelle scale interminabili della sua fantasia.
Strada facendo borbottava tra se e non si dava pace perché quella sfacchinata l’aveva ritenuta inutile e superflua.


Insomma era infuriato in quel momento, nei confronti di sua madre che l’aveva chiamato sino a lì sopra, senza un apparente, anche se, a dire il vero, in cuor suo, sentiva il grande desiderio di riabbracciarla.


Appena la vide non volle avvicinarsi e per questo rimase a debita distanza.
Le teneva il cruccio, il broncio insomma, quello suo, famoso delle arrabbiature d’eccezione.
Per la verità, per quel suo caratterino, quando gli veniva il ghiribizzo per aver ricevuto ciò che riteneva un gran torto, davvero, il malumore e la rabbia, non se li toglieva dalla testa e dal cuore, se non dopo intere settimane.


Preferiva soffrire e rimuginare per giorni e giorni, piuttosto che superare quell’ intimo malessere.
La sua indole era quella e nessuno, oramai, la poteva cambiare.
Lo costringeva a soffrire, procurandogli tanta tristezza vivendo male la sua condizione di bimbo deluso.


Non capiva, invece, che nella vita è meglio dimenticare al più presto ogni possibile torto e levare dall’animo, quanto prima possibile, ogni acredine e astio.


Del resto, Vincenzo, che colpa ne aveva se nessuno mai l’aveva consigliato e aiutato a correggere quell’aspetto della sua personalità che gli procurava solo un pressante deterioramento interiore?


Ai tempi di allora, bisogna pur ammettere che l’educazione non andava tanto per il sottile.
Ogni bimbo cresceva e imparava a vivere autonomamente, il che era abbastanza, per non dire troppo.


Era sufficiente, per essere considerata una persona a modo e perbene, rispondere con un “grazie”, possibilmente, con “grazie no” quando era offerto a un bimbo, un dolce; era pure opportuno salutare le persone con “buongiorno” o “buonasera”… e poi… non ricordo altro!
Ecco perché l’educazione era ben chiara e rigida.


Bastava eseguire quelle poche regole sopra elencate perché tutto il resto fosse automaticamente vietato, negato, proibito, escluso, semplicemente tabù.


Ritornando al nostro racconto, Vincenzo, arrivato stanco e furibondo di fronte a sua madre prese a dire:


- Non voglio parlare più con te mamma!
Perché mi hai costretto a fare questa ripida salita che mi ha procurato sofferenza e tanto affanno, quando invece potevi venirmi incontro?
La tua è stata semplicemente una soverchieria.
Per quale motivo mi hai fatto questo torto?
Semplicemente per la tua comodità?
Sono affaticato e pure sudato e…
Tu invece te ne stai placida, calma e sorridente seduta in questa panchina, come se tutto il mio malessere fosse una cosa normale.
Sei insensibile.
Ti sembra giusto questo tuo comportamento?
Ammettilo.
Mi vuoi prendere in giro.
È vero?
Ti sei presa gioco di me.


- Non fare così piccolo mio!
Oramai sei con me ed è questo ciò che conta.
Dammi adesso “ nu baciuzzu” e abbracciami.
Ti ho aspettato tanto.
Lo sai vero?
E ora ti rifiuti di correre incontro a me!
Devi fare solo quattro passi e mi raggiungi.
Perché vuoi farmi patire?
Non essere scontroso!
Sono solo quattro passi per raggiungere la tua mamma.
Non ci vuole granché!
Su avvicinati!


- Parli bene quando si tratta di sforzi che devono compiere gli altri anzi… che pesano sulle mie spalle.
Ma lo vuoi capire che sono piccolino?
Non immagini neanche ciò che ho dovuto superare per essere qui presente davanti a te.


- Non direi proprio che sei piccolo!
Non mi pare davvero tu sia bambino.
Tutt’altro!
Comunque…
Se lo dici tu?
Se ti fa piacere!
Ora mi alzo e ti vengo ad abbracciare così non ne parliamo più.
Sapessi quanto tempo ho atteso ma tu, con il tuo da fare e i tuoi impegni, ti sei forse scordato di me!
Eppure ho avuto tanta pazienza, senza mai lamentarmi.
Noi mamme non ci stanchiamo e stiamo sempre in attesa dei nostri figli.
A volte impieghiamo tutta una vita ad aspettare l’arrivo del nostro bimbo, nel mio caso, proprio te.
E se non dovesse bastare il tempo che scorre su questa terra, aspettiamo anche in cielo, con tanta fiducia, pur inesorabilmente seduti in una panchina solitaria e semplice come questa.
E non pensare che sia comoda la nostra posizione di madri preoccupate!


- Adesso parli in questo modo ed io non ti voglio vedere più.
Vattene… Vattene…
Sono ancora arrabbiato!
Ora desidero scappare e abbandonarti, come hai fatto tu nei momenti in cui ne ho avuto più bisogno.
Dov’eri quando ti ho chiamato?
Anzi ora ti do le botte che meriti.
Adesso mi hai fatto piangere; era tanta la mia rabbia, la mia tensione e il mio desiderio di vederti da non riuscire, davvero a contenerli.
Non facevo che stare in ansia per te e il cuore mi batteva fortissimo.
Lo stai sentendo mamma!
Vedi tu stessa.
Metti la tua mano nel mio petto e t’accorgerai quanto batte!
Ora sì, finalmente posso abbracciarti.
Mi sento sereno e rilassato.
Stringimi e non abbandonarmi mai più.
Promettimelo.
Era da tanto, troppo, che non ti vedevo e ti sei fatta attendere.


- Ed io?
Non ho sofferto forse come te la tua lontananza?
Rasserenati e rimani appoggiato sul mio cuore.
Non servono oramai a nulla i rammarichi e le accuse.
Se sono qui, è per stare con te e consolarti per quello che vorrai, per tutto il tempo che deciderai, un minuto o per sempre.
Lo desideri?


- Certo mamma che lo devi fare.
Chi se non tu, può darmi certezza e poi non sai quante brutte cose mi sono capitate!
Te le devo raccontare tutte per filo e per segno.
Per fortuna i miei, sono accadimenti da bambino e si possono riferire, altrimenti mamma, come farei a dirti e a tradurti le pene e le mie ansie non colmate.
Quelle rimaste inascoltate assieme ai miei sentimenti calpestati e spesso distrutti.
Questo trattamento lacerante hanno riservato a me quei cattivi, trattandomi come si fa con un’inutile cicca quando si butta via, si stritola sotto la scarpa.
Senti mamma certe volte…


- Non ti devi lamentare più figliolo mio!
Non serve a nulla.
E poi, non lo sai che anche le cicche buttate per terra e abbandonate perché ritenute inservibili, qualche volta, sono i più poveri, quelli bisognosi, che le raccattano come merce rara, le mettono assieme perché, alla fine, riescono a comporre una sigaretta per dare grande conforto e soddisfazione.
Non dolerti se oggi ricevi angherie, maltrattamenti, vessazioni perché chi le fa, presto o tardi, avrà quel che si merita.
Io le conosco bene queste persone che ti hanno fatto tanto male, ed anche per nome.
So bene qual è la loro faccia, il loro cuore indurito dal tempo.
Non è sempre colpa loro, se spesso è venuta a mancare chiara la visione del vero senso della vita.
Credimi sono spesso in buona fede.
La malafede, invece, riceve sempre il suo pari compenso.
Vedrai un giorno, che proprio le misere persone, quelle che ti hanno procurato angherie e tormento, torneranno domani, a chiedere a te la pietà e la misericordia.
E tu che farai di fronte ad una simile situazione?
Lesinerai il tuo perdono diventando malvagio come loro?
Perciò figliolo mio…
Non badare a queste che sono davvero piccolezze.
Le miserie della vita le devi bandire con tutta la tua forza dal tuo animo.

- Tu mamma, perché questi consigli me li vieni a dare solo adesso?
Non mi potevi istruire prima?
Oggi mi sarei sentito più forte.
Sapessi, proprio per questo, quanti sbagli ho commesso!


- Se questi consigli, figlio mio, li sto dando solo ora, cosa cambia?
Vuol dire che prima non potevo o non era il momento giusto.
Del resto non è di certo finito il mondo!
Comunque… impara lo stesso e per quello che può servirti!
In ogni momento della nostra vita abbiamo sempre da assimilare qualcosa!
Lo puoi fare pure tu, se solo lo vuoi anche adesso.
Il tempo per capire, non basta mai figliolo mio!
Questa mia, sei vuoi, chiamala piccola lezione della vita.
Ti servirà e la devi mettere in pratica altrimenti non sarà servito a nulla il mio intervento.
E poi per quanto riguarda gli sbagli?
Chi non li fa?
Tutti ne facciamo… a tanti… anche noi mamme.
Soprattutto noi mamme… che spesso siamo accusate per qualsiasi cosa facciamo.
Se amiamo poco, se molto, se siamo ritrose, espansive, tristi o allegre, se inflessibili o di larga mano.
Se quindi siamo noi mamme fragili, non puoi tu figliolo, avere pietà degli altri che hanno le tue stesse fragilità e compiono i tuoi tessi errori?
In sostanza devi riuscire a perdonare ma soprattutto perdonarti.
Devi per prima cosa, mostrare comprensione e imparare a tollerare, per prima te stesso.
Poi vedrai che gli altri, se ti mostrerai clemente, t’imiteranno.
Ti ricompenseranno anche con un semplice sorriso o con una piccola frase d’incoraggiamento.
Non c’è regalo più bello.
Del resto, le ricompense, figliolo mio caro, non richiedono grandi gesti, clamori, forti contraccambi e consistenti doni.
Basta semplicemente uno sguardo amorevole, una parola buona detta al momento giusto.
Tutta qua sta la verità della vita.
D’altro non saprei dirti.
Adesso, se vuoi, posiamo continuare ancora questo discorso.
Così parlando, il nostro legame si rafforzerà e ti sentirai più unito alla radice di tua madre. Lo vuoi?


- Sì mamma che lo voglio!
Sono qui per questo.
Da te desidero imparare ogni cosa perché ti confesso d’essere un perfetto incapace, di far tutto male.
Ho l’impressione che ogni mia buona azione si trasformi in fraintendimento e diventa miseria; si ritorce, si ripercuote negativamente contro me stesso, come un’arma letale.
Devo essere scalognato e iellato!
Ho paura di questo, mamma.
Il male è una brutta bestia che non posso combattere all’infinito perché mi stanco e…


- Vuol dire che quando tu ti stancherai chiamerai me!
Lo sai che ti sono sempre vicino.
Perciò non dovrai temere nulla.


- Lo so!
Dici questo per consolarmi.
Poi quando ti chiamo perché ho grande bisogno, anzi grido forte e tu non mi senti, come farò?
Non posso continuare a lagnarmi all’infinito.
Perciò mi sono convinto che…
Sarebbe bene, per me, che sparisca da questo mondo, così tutti saranno felici di non vedermi mai più.
Me ne andrò….
Questo devo fare a ogni costo!
Ci devo pensare e trovare, al più presto, una soluzione.
Ho ragione mamma?
Non dirmi che mi sbaglio.


- Piuttosto, Vincenzino mio, non cominciare adesso a parlare con leggerezza.
Hai torto marcio a esprimerti in questo modo.
Vuoi discutere seriamente con me oppure ti piace commiserarti?


- Le mie, mamma ti sembrano sciocchezze?
Lo dicevo che sono un bimbo inutile che non valgo nulla e sono un perditempo.


- Volevo solamente dirti che è bene che impari a parlare sensatamente e senza eccessivi coinvolgimenti personali.
Se continuerai ad agire in questo modo, farai danno solo a te stesso.
E tu lo vuoi davvero?
Ti piace torturarti e soffrire?
La tua mamma, invece, non lo gradisce e non te lo permetterà.
Fin quando io potrò, farò di tutto per evitarti i mali più terribili, ma non sarò, purtroppo, sempre presente a sollevarti e a consolarti.
Questo lo devi sapere... piccolo mio!
Non che non lo voglia!
Semplicemente perché non potrò mai esserti materialmente accanto, anche se lo sarò con lo spirito.


- Lo “Spirito” mamma….!
Cos’è lo Spirito?
Non lo voglio sapere il significato di questa parola.
Con la scusa che è un concetto astratto e che non si può toccare ne sentire, alla fine, tutti lo sanno che non risolve concretamente mai niente e ogni cosa rimane come prima; una vera e propria presa in giro.
Mi sembra, quello, un concetto che è tirato fuori nei discorsi dei grandi quando qualcuno vuole illudersi o illudere gli altri.
Come se citando lo “Spirito” volessero tirare fuori dal cilindro la parola “magica” che incanta e stordisce il mondo.
Questo accade, mamma, nelle fiabe e nel mio mondo incantato di bimbo!
Nella realtà, non dovrebbe funzionare così!
Ti stai accorgendo che quando sono io a parlare di fiabe e di concetti astratti, tutti mi definiscono illuso e sognatore, mentre quando siete voi grandi che trattate di argomenti inconsistenti come quelli che riguardano “lo Spirito” pretendere d’essere credibili, seri e affidabili.


Per un attimo, tra i due, si fece assoluto silenzio come se ciascuno volesse riposarsi o aspettasse che l’altro riprendesse la parola.


Quella mamma, in verità se ne stava muta perché desiderava che Vincenzo riflettesse bene sulle parole dallo stesso pronunciate.


- Senti mamma! Riprese all’improvviso.
Lo stai ascoltando questo canto indiano che arriva fioco da tanto lontano?
Poco a poco diventa più forte.
Sale quassù come trasportato da un grande fuoco!
Il lo sento ed è di sicuro il vento che lo conduce!
È un richiamo per me.
Devo andare adesso con i miei compagni di strada a giocare.
Devo mettere in testa la mia penna da pellirossa.
Lo so che mi stanno aspettando.
Non li vedi i miei amici?
Senza di me come faranno?
Chi sarà il capo tribù?
Nessuno può farlo senza di me!
Ti devo salutare mamma.
Non preoccuparti che tornerò presto.
Anzi subito!
Appena il tempo di organizzarmi con i miei compagni e di stabilire chi è con noi o contro di noi indiani Apache e poi...


- Dove vai Vincenzo?
Guardati bene intorno!
Tu oramai non sei più un bambino…
E poi questo non è più il tempo per te di giocare.
Lascia i ricordi nel cassetto, guarda avanti e di fronte a te.
Non percepisci nulla?
Proprio nulla.


- Te l’ho detto mamma che i miei compagni m’aspettano.
Li sto vedendo tutti che osservano me.
Si sono fermati all’orizzonte e attendono che li raggiunga.
Loro vogliono che ti lasci e torni a giocare e correre veloce come il vento.
Sapessi mamma…
Quando corro, mi sento intimamente libero e con la mente che m’incita ad andare sempre più lontano.
Mi verrebbe la voglia di fare lungi salti di uno o tre metri e non fermarmi se non per assaporare la gioia e la felicità di non essere raggiunto da qualcuno.
Io sono veloce e sarei pure capace, se sentissi la tua voce distante come il vulcano Etna, di raggiungerti in un baleno.
Mi credi mamma?
Li vedi adesso i miei nemici?
Sono proprio di fronte a te!
Ci sono quei cattivi cowboy che vogliono imprigionare i miei indiani ed io non lo posso permettere.
Lo stai vedendo pure tu, con i tuoi stessi occhi, che hanno bisogno del mio intervento.


- Sei sempre il solito sognatore figliolo!
Speravo che col tempo cambiassi e vedessi la realtà della vita per come si presenta.
Invece continui, dopo tutto questo tempo, a rincorrere i sogni e le tue immaginazioni di là dalla fantasia.
Io lo so oramai che dovrò rassegnarmi ad avere un figlio sognatore ed eterno idealista.
Un figlio che desidera ad ogni costo che tutti gli esseri umani siano buoni e sinceri.
Mi accorgo pure che la tua originaria innocenza, pur screpolata dal tempo e dall’età, l’hai tenuta intatta nella sostanza e nell’essenza.
Guarda bene l’orizzonte figlio mio!
Non ci sono né indiani e neanche cowboy che vogliono farsi la guerra.
È la tua immaginazione che è rimasta integra nel tuo essere bambino, che continua a far rivivere ciò che non sei riuscito a dimenticare e a lasciare nel tempo, in quel tempo passato che ormai non ti appartiene più.


- Lo dici apposta mamma!
Per farmi arrabbiare di nuovo.
Guarda le mie mani se non vuoi credere alle mie parole!
Ho estratto dalla mia tasca questa penna indiana che metterò sul capo per iniziare la battaglia.
La vedi o no?
Adesso ti sei convinta?


- Non pensare più a queste competizioni infantili.
Lasciale, per un attimo, che le facciano altri bimbi.
Tu rimani con me e non badare ad altre vicende del passato.
Non puoi alimentarti quotidianamente dei sogni e combattere il nemico cattivo invisibile che vuole distruggere chissà cosa e chi!
Guarda me, i miei occhi e non vedere soltanto la tua fantasia.


- Adesso mamma vuoi rimproverarmi?
L’ho capito!
Sei qui per questo?
Tu sei una realtà o la mia fantasia?
Non ti accorgi che le due cose possono vivere insieme?
Lo sai perché?
Posso farlo giacché sono io che le alimento.
Non è bello che sia così?
È forse un peccato grave che abbia queste idee per la testa?
Perché ti lamenti?
Forse non ti piace che viva così?
Forse ti vergogni d’avere un figlio come me sognatore?
E se magari tu fossi solamente il frutto della mia immaginazione, ti dispiacerebbe davvero essere venuta, ritornata nella mia mente, rivivere in me e con me?
Dai mamma!
Adesso devi essere tu a darmi un bacio.
Ancora uno.
Ora si…
Lo sto sentendo dolcemente sulla mia guancia!
Lo sai che vuol dire questo tuo gesto?
Significa che per davvero tu “esisti”.
Non importa se nella realtà o nella fantasia.
Non domando di più.
Io non chiedo di meglio adesso.
Sono contentissimo di questa mia condizione.
Perché, mamma, non me lo fai adesso un dono, per ricordare questo momento d’incontro particolare?
Un regalo qualsiasi anche di poca importanza.
Decidi tu!


- Vediamo cosa posso fare e che a te piaccia.
Fammi pensare!
Vuoi che ti racconti la fiaba, una delle tante che a te una volta, piaceva e che ti lasciava incantato e a bocca aperta?


- No mamma!
Adesso mi prendi in giro!
Prima di tutto perché questo non è il momento.
Poi… ti faccio presente che non ci sono, davanti a noi gli altri fratellini e neanche Amalia e Maria.
Vorresti dire che la racconteresti solo per me e per loro niente?
Non ci credo!
Non affidarmi l’incarico di esporla poi agli altri assenti, perché io me la scordo facilmente così pure come termina il finale.
Senza gli altri fratelli non puoi iniziare un racconto!


- Lascia stare i tuoi fratelli e le tue sorelle.
Loro non hanno bisogno per adesso di me!
Se io sono venuta per farmi una chiacchierata con te, vuol dire che adesso tu sei la persona più importante.


- Che vuol dire che lo sarò solo per oggi… e poi domani?
Mi considererai dopo un buono a nulla?
Adesso mi vuoi fare rattristare.


- Non volevo dire questo, ma soltanto che oggi è necessario che ti faccia sentire la persona più importante della mia vita, come il tuo cuore desidera.
Non è questo ciò che dentro di te desideri?
Poi domani si vedrà.
Vorrà dire che se ti servirò, tornerò a farti compagnia di nuovo come oggi.


- Senti mamma.
Per oggi di fiabe non ne voglio ascoltare.


- Te lo dicevo che avevo ragione!
Il motivo è che tu oramai sei cresciuto.
Sei grande… sei davvero un adulto.
Non puoi più inseguire l’immaginazione.
Guardati intorno.
Te ne stai rendendo conto adesso?
Non vedere solo con gli occhi della fantasia.


- Mi hai frainteso mamma perché le fiabe soprattutto quelle non raccontate, le amo e le amerò per sempre…
Sento, però, dentro di me che potresti regalarmi qualcosa di più bello delle fiabe, di più importante...
Non so come dirtelo!
Forse è per questo motivo che mi hai chiamato ed ho voluto vederti ardentemente e fortemente.
Credo il motivo della tua presenza sia che adesso, succeda qualcosa di grande… di infinito e meraviglioso.
Eccezionale…
Che ne so…
Voglio dire importantissimo ed essenziale nella mia vita.
Giustificherà forse, il motivo per avere aspettato tanto questo momento e avere superato il tempo e lo spazio.


- Che posso darti io figliolo di mio, che già non ti ho dato e che non hai?
Tutto ti ho donato.
Finanche il mio cuore che non possiedo più perché l’ho spezzettato per voi figli in nove parti uguali.
Che desideri da me Vincenzo caro, davvero non saprei!
Piacerebbe anche a me farti un dono, il più bello che ci sia.


- Io sì mamma che lo so!
Adesso ho tutto chiaro quale può essere il tuo regalo per me.
Tanto per cominciare voglio da te un altro bacio.
E poi desidero dartene uno anch’io su quella tua guancia vellutata indimenticabile.
Ti dico una cosa segreta adesso...
Sono sicuro che se dovessi riconoscerti a occhi chiusi, tra mille mamme, anche da vecchio e fossero passati mille anni, non avrei nessuna difficoltà, a individuarti attraverso un bacio sulla tua guancia.
Davvero lo dico e sono pure serio!
E poi… ci sarà sempre il tuo profumo incantato del tuo essere mamma, che ho ancora dentro la mente, le mie narici e nel mio cuore, custodito in uno scrigno come un gran tesoro.
Ecco!
Adesso te lo dico ciò desidero più di ogni altra cosa al mondo.
Fammi addormentare, mamma, tra le tue braccia e poi appoggiare la mia testa sulle tue spalle, per appisolarmi come facevi quando ero piccolissimo.
Mi sentirò in paradiso, al sicuro da tutto e da tutti, protetto, amato e felice d’essere nato, proprio perché riassaporerò la gioia d’avere te!
Se vorrai cantami, per favore, la tua solita nenia, quella stessa che intonavi quando eri intenta in cucina, tra i fornelli, nelle tue mille faccende.


- Vincenzo mio!
Adesso te lo divo dire per forza.
Non sei davvero… più un bambino.
Hai sessantotto anni.
Sei pesante!
Non potrò di certo tenerti in braccio.


- Non importa mamma.
Appoggerò semplicemente la mia testa sulla tua spalla senza farti male.
Usa la tua fantasia, quella stessa delle tue fiabe antiche.
Abbracciami solo per un altro ultimo momento.
Che possa sentirmi piccolino e addormentarmi con te.
Solo di questo ho bisogno e basta!


- Ecco figliolo mio.
Riposati.
Rimarrai abbracciato a me per l’eternità.


(Brano tratto dal libro dello stesso autore, “Le storie fantastiche di tre fratellini: Amalia, Maria e Vincenzo. Volume II”. Youcanprint Self-Publishing. Novembre . 2015, pagg. 269.
Il libro di Fiabe è illustrato con disegni ideati, inventati e dipinti dallo stesso autore come l’immagine allegata al presente brano.)




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Racconto scritto il 07/10/2017 - 11:54
Da Vincenzo Scuderi
Letta n.955 volte.
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