Era un mondo perfetto. Tutto era stato robotizzato e nazionalizzato: banche, fabbriche, negozi eccetera.
Padroni, impiegati, operai, lavoro salariato; il modello sociale delle classi contrapposte, fu relegato nei libri di storia. Ogni famiglia era un gruppo imprenditoriale a se stante, che generava profitti gestendo uno dei robot che facevano muovere il sistema.
Era un mondo perfetto. Ma non felice, forse perché la vera felicità è un’onirica illusione.
Era un mondo perfetto. Ma il germe della cupidigia, dell’accumulo patrimoniale, minò le sue fragili fondamenta; appoggiate su un instabile serenità di facciata. E quando una famiglia ruppe il patto non scritto, acquistando un secondo robot per incrementare i profitti, fu l’inizio della fine.
Le famiglie imprenditrici fecero a gara per superare le altre come potenza economica, acquistando robot da impiegare in nuove fabbriche nazionalizzate, destinate a costruire altri robot da vendere in quantità industriale alle ingorde famiglie.
Sembrava che il sistema fosse riuscito a creare al suo interno: il moto perpetuo dell’eterna crescita.
Si gonfiò a dismisura la bolla robotica, sino a scoppiare quando il mercato, ormai saturo, dei robot, arrestò la sua crescita.
Solo allora le famiglie si allarmarono, cedendo al panico che mutò in rabbia, quando scopersero di essere in possesso di un numero imprecisato di robot disoccupati che non generavano nessun reddito; ferraglia inutile, nemmeno degna di percepire un sussidio sociale, gettata in un angolo ad arrugginire. Moderni reietti tecnologici dell’ormai fallito modello sociale basato sul fantasmagorico: nazionalcapitalismoroboticofamigliare, tronfio e chilometrico brand, ideato per pubblicizzare… il vuoto pneumatico del sistema.
Pareva un mondo perfetto… disegnato e popolato da esseri imperfetti!
FINE
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