Certezza di vivere
Quando penso all’autunno, ed io ci penso spesso, lo vedo passare… insieme alla mia vita; e non fa male.
Se dovessi descrivere il mio carattere, lo definirei “autunnale”. L’autunno non è una sorpresa per me che lo porto dentro.
Ora mi vengono in mente le lunghe camminate nei sottoboschi dei cerri, a cercare funghi, ma solo quelli veramente buoni. Ce n’erano alcuni molto grossi, con il cappello bianco e verdognoli sotto (molto velenosi), che mi piaceva prendere a calci per vederli schizzare come morbide schegge contro gli alberi; e devo dire che i funghi, quanto gli alberi, erano pacifici e indifferenti alle mie gesta.
Andavo a caccia di funghi speciali. Ne conoscevo una specie nota come “le recchie d’prèvete” (le orecchie del prete), davvero ottimi per il sugo: di un gusto sublime, croccanti al palato, profumati e leggeri al tempo stesso. I funghi porcini sono poca cosa al confronto.
Mia madre era una donna semplice, affettuosa e dolcissima, di grande fede e devotissima alla Madonna. La domenica mattina, prima di andare a messa, si dava da fare per preparare il buon sugo domenicale, a base della consueta conserva di pomodoro fatta in casa. Nel sugo finivano le suddette “recchie d’prèvete”, rosolate in olio extravergine di oliva e tronchetti di maiale, con l’aggiunta dei vari odori e una grossa cipolla che cuoceva tutta intera. Tutto ciò per condire un lauto piatto (due, con il bis, per me) di “cecatielli” fatti a mano. I “cecatielli” sono un poco più corti e incavati dei noti “strozzapreti”. E' evidente la figura ricorrente del prete, sia nei funghi che nella pasta, ma questo non conta; o forse sì, se consideriamo l’altissimo valore, gusto, sapore e sublime significato – quasi spirituale – del piatto di cui stiamo parlando. Ho fatto qualche ricerca su internet, anche nei siti che trattano di funghi, ma non ho trovato una descrizione o perlomeno un’immagine rispondente alle “recchie d’prevète”. Ho notato soltanto una ricetta pugliese: Un piatto di pasta calamarata con cozze patelle, dalle parti di Taranto, che si chiama uguale; ma non ha nulla a che vedere con i miei pregevoli miceti.
Questi funghi spuntavano, anzi rimanevano nascosti, sotto le foglie di quercia. Si potevano avvistare solo osservando accuratamente i letti di foglie. La loro presenza poteva essere tradita da segnali abbastanza impercettibili per un profano. Si trattava spesso di leggeri rigonfiamenti nei depositi fogliari. Utilizzavo un bastone per smuovere i cumoli sospetti e, solo ogni tanto, spuntava … un orecchio!
Parlo di un fungo che, invece del solito cappello, nella parte superiore si mostra proprio come un orecchio umano. Non ho trovato informazioni a riguardo del loro legame con i preti. Si potrebbe immaginare che la vocazione dei sacerdoti, la loro dedizione all’ascolto confessionale, quanto la conoscenza profonda delle persone e le vicende delle comunità, fossero assimilabili alla strana presenza di questi orecchi in natura; discreti e seminascosti. Sempre con la fantasia si poteva intuire che fossero orecchi capaci di ascoltare gli ignari, nelle veci e per conto dei preti; sia essi contadini, cacciatori, contrabbandieri, pie donne, o finanche le coppie che vi si appartavano per vivere un amore.
Beh, per la verità, non credo che quei luoghi fossero frequentati dagli innamorati. Ehm, ahimè, non c’erano ragazze neanche a distanza di chilometri; ma seppure io ne avessi incontrata qualcuna, sarei diventato rosso rosso come la salsa di pomodoro che preparava mia madre. Se da quelle parti fosse passata una signorina forse non le avrei rivolto nemmeno la parola, per tanta che era la mia timidezza. Non sarei stato neppure capace di rimediare un bacetto.
Le foglie, invece, abbondavano in grande quantità ed io le raccoglievo in grossi mucchi; poi mi ci tuffavo dentro, come fossero le onde del mare… e qualche volta mi ci addormentavo, sognando fanciulle alate che venivano con gli ultimi raggi del sole.
Ma il sole calava presto in autunno. Talvolta mi svegliavo infreddolito, e le ombre della sera mi riportavano semplicemente alla realtà; mi ricordavano la strada del ritorno al tepore del focolare.
Autunno mio!
Malinconia dolce
di foglie e colori
che pulsano nelle vene.
Mi dai la certezza
di vivere ancora
nel tempo delle mele.
Sulle ali delle farfalle
che volano tuttora
sui fiori gialli.
Sono andato via da molto tempo, lontano dai boschi della giovinezza; gli amati boschi del Sannio. Vi farò certamente ritorno per scovare altri ricordi, da conservare e da gustare ancora. E voglio dire, dopotutto, che non mi sono mai allontanato davvero. Mi porto dentro ogni cosa.
L’autunno, per me, è espressivo di tutte le stagioni; anche della vita.
Ho imparato, con i suoi insegnamenti, a riconoscere la libertà e la bellezza del vivere.
Ora vivo in terra d’Abruzzo, su di un’altra collina, non molto distante da quelle natie. Se guardo a Sud, vedo i profili ultimi di quella terra e mi sento un tutt’uno con questo unico e immenso paradiso. Ieri ho visto le cime dei monti imbiancati dalla prima neve, ed è tutto come deve essere; ogni cosa accade nella meraviglia dell’autunno, fuori e dentro di me.
Oggi è una bella giornata.
Domani andrò a caccia di “prataioli”. Ce ne sono tanti da queste parti, buonissimi, da farci il sugo…
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profumi e immagini di un tempo familiare.
Complimenti
sono quelli che poi ci accompagnano per tutta la vita
sono bolli tondi sulla pelle
e non a caso amiamo più certe stagioni che altre
c'è sempre un perchè
complimenti Francesco